psicopedagogia2011

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Forum didattico del corso di Psicopedagogia dei linguaggi a.a.2011-12 a cura di F. Briganti Stanza di collaborazione del gruppo classe


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    ES.n. 1 AUTISMO (chiude 27 febbraio x esami 29 e sessione estiva)

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    Amodio Michela


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    ES.n. 1 AUTISMO (chiude 27 febbraio x esami 29 e sessione estiva) - Pagina 16 Empty ES.n. 1 AUTISMO

    Messaggio  Amodio Michela Gio Feb 02, 2012 11:07 pm

    Capitolo 4 La costruzione dell'alleanza con la famiglia del libro Facciamo il punto su l'autismo

    L'Autismo è un disturbo dello sviluppo caratterizzato da deficit nell'interazione sociale e nella comunicazione, con manifestazioni caratterizzate da comportamenti ripetitivi e scarsi interessi. La medicina classifica la sindrome autistica all'interno della categoria dei Disturbi pervasivi dello sviluppo, a significare la sua insorgenza in età neo natale con compromissione della normale crescita intellettuale ed emotiva, non di quella fisica, contemplando anormalità in tutte e tre le aree considerate:
    •Sociale
    •Comunicativa
    •Comportamentale
    Dalle diverse fonti consultate e studiate durante il nostro percorso di studi, abbiamo più volte riscontrato il coinvolgimento di ricercatori, clinici, operatori affascinati dalla particolarità del funzionamento psicologico delle persone colpite da questo disturbo, tutti concordi nel superare l’idea che la consulenza dei genitori con figli autistici possa tradursi in indicazioni generali, generiche, su cosa si potrebbe fare, oppure nella consegna di strumenti utili ma lasciati alla lettura degli interessati e alla applicazione senza guida e senza verifiche di ciò che poi succede nell’ambiente di vita. Per offrire adeguato sostegno o aiuto alla famiglia, può essere importante individuare precocemente questa patologia, identificando quelle peculiarità cognitive, comportamentali e relazionali del bambino nello sviluppo del linguaggio, nelle anomalie dell’ascolto, nel mancato orientamento alla voce familiare, nell’assenza di gesti deittici, protodichiarativi e referenziali, nell’assenza di attenzione condivisa, nell’eccessiva tendenza a restare solo, nelle reazioni esagerate ai rumori, nell’assenza di azioni anticipatrici ecc. Abbiamo riscontrato l’importanza dell’aiuto che la famiglia può fornire ai bambini affetti da questa patologia anche durante la frequenza di questo corso di Didattica Aggiuntiva, e non neghiamo che, durante lo svolgimento di alcune ricerche sul ruolo della famiglia, è emersa l’esistenza di genitori che, purtroppo, vengono ancora lasciati fuori dal percorso terapeutico del proprio figlio. Alcuni di loro, vengono poco coinvolti nella fase di consulenza al bambino, senza ricevere risposte operative, concrete ai loro quesiti circa le possibili azioni da intraprendere nel contesto di vita familiare e sociale per fronteggiare i comportamenti problematici dell’autismo, così da non sentirsi aiutati dagli specialisti, lasciati soli nella ricerca del modo di affrontare l’accudimento del figlio. Il padre e la madre del bambino autistico possono trovarsi di fronte a complesse e raffinate interpretazioni psicologiche delle difficoltà del figlio, senza tuttavia riuscire a tradurre sul piano educativo gli orientamenti operativi utili al contrasto dei sintomi più fastidiosi del disturbo. Concordiamo pienamente nel coinvolgimento familiare sia nella fase diagnostica che di programmazione dell’intervento e, conseguentemente, nella fase di individuazione dei bisogni espressi dai genitori stessi. Le famiglie che vengono lasciate sole ad affrontare il difficile compito di allevare un bambino affetto da autismo vanno ben presto incontro alla disperazione ed allo sfinimento causati dagli equivoci sulla natura dell'autismo, dalla scarsa disponibilità di servizi specializzati e soprattutto dall'impossibilità di programmare il futuro del bambino stesso; sappiamo che l'autismo perdura per tutta la vita e, conseguentemente, le persone affette da autismo hanno bisogno per tutta l'esistenza di protezione e di livelli differenziati di aiuto, di una continuità di servizi specializzati e di opportunità di vita adulta indipendente dalla famiglia. Ai genitori, ritenuti molto spesso la concausa di questa patologia, è richiesto amore incondizionato per i figli e l’acquisizione di competenze e abilità che permettano di interagire con il proprio figlio e di risolvere i comportamenti problema. Nel lavoro di alleanza tra genitori e operatori deve esserci uno scambio reciproco di esperienze vissute dai primi, e conoscenze possedute dai secondi. L’approccio psicoeducativo Teacch (Treatment and Education of Autistic and Communication Handicapped Children di Eric Schopler), focalizza l’attenzione sulla collaborazione tra famiglia e istituzioni. Sei sono i principi guida di questo orientamento: migliorare le abilità individuali e stimolare un miglior adattamento al contesto, procedere a una valutazione formale e informale attraverso la somministrazione di scale di sviluppo, basare le strategie di intervento sui principi della terapia cognitiva e comportamentale, aumentare le abilità dei genitori nel lavoro con il figlio e nell’accettare i suoi deficit, utilizzare segnali visivi per ottimizzare le possibilità di intervento educativo, promuovere un intervento olistico e multidisciplinare sul bambino che veda il coinvolgimento di operatori diversi. Strategie e tecniche specifiche per crescere un figlio con questo disturbo, esistono e si sono dimostrate efficaci ma, senza una solida formazione dei familiari, ogni intervento viene vanificato per le ben note difficoltà a generalizzare delle persone con autismo. Nell’ambito della formazione dei genitori esistono delle metodologie ben specifiche diffuse nei programmi strutturati di formazione dei genitori:
    Istruzione e informazione; le competenze per interagire con il proprio figlio, vengono acquisite. Possono essere presentate delle idee generali ai genitori, prima di addentrarsi nelle specifiche, favorendo anche il coinvolgimento dei genitori più restii
    Modellamento; per consentire ai genitori di apprendere i comportamenti più corretti da adottare
    Simulazione, feedback e compiti a casa; per incoraggiare i genitori ad applicare con il proprio figlio determinate abilità e valutarne il feedback. I compiti a casa, invece, inducono i genitori ad applicare, nell’ambito domestico, le abilità acquisite con l’ausilio degli operatori.
    Tra genitori e operatori è importante che si instauri un rapporto empatico; le caratteristiche stesse dell'autismo causano una ulteriore condizione di stress per i genitori e rendono estremamente problematica la vita di tutta la famiglia. La figura dell’educatore deve essere concepita quindi come una “risorsa”, pronta a leggere ogni piccolo aspetto della vita familiare, alternando i momenti di formazione a quelli di sostegno puramente emotivo, anche nei periodi di stanchezza e sconforto. Non bisogna dimenticare infatti che alla famiglia della persona con autismo non sono risparmiati i problemi che affliggono ogni altra famiglia, come le difficoltà economiche, la malattia, i doveri verso i genitori anziani e il compito di garantire agli altri figli una crescita più normale possibile. I familiari delle persone autistiche, genitori e fratelli, dovrebbero essere aiutate a mantenere lo stile di vita e i rapporti sociali che avevano prima della sua nascita. Questo significa che le famiglie dovrebbero poter accedere a servizi organizzati che dispongono di professionisti dotati di una formazione specifica, in modo da poter mantenere ad esempio il posto di lavoro, oltre che la possibilità di trovare il tempo di prendersi cura degli altri eventuali figli e degli interessi comuni alla vita quotidiana. E' necessario quindi che vengano organizzati periodi di respiro che consentano ai familiari di ricaricarsi e trovare nuove energie per affrontare le difficoltà di ogni giorno; figli e genitori devono anche poter contare su una prospettiva di vita adulta indipendente nella comunità e su programmi di supporto e di educazione al distacco progressivo dalla famiglia, anche attraverso l'organizzazione di periodi di vacanza e fine settimana da trascorrere al di fuori della famiglia a cominciare dall'età infantile.

    Lavoro ben fatto,
    le richieste dell'esercizio sono state esaurite e
    la sintesi è coerente e significativa.
    Emergono le considerazioni critiche del gruppo.

    la tutor Dott.ssa Nunzia Giglio
    Nicla Latorre
    Nicla Latorre


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    ES.n. 1 AUTISMO (chiude 27 febbraio x esami 29 e sessione estiva) - Pagina 16 Empty Re: ES.n. 1 AUTISMO (chiude 27 febbraio x esami 29 e sessione estiva)

    Messaggio  Nicla Latorre Ven Feb 03, 2012 12:13 am

    GRUPPO FORMATO DA:
    IMMACOLATA PISCOPO
    ANTONIA TROTTA
    LATORRE NICLA
    COCORULLO MYRIAM

    TESTO: “FACCIAMO IL PUNTO SULL’AUTISMO” – CAPITOLO 4: “LA COSTRUZIONE DELL'ALLEANZA CON LA FAMIGLIA”

    L'autismo è considerato dalla comunità scientifica internazionale un disturbo che interessa la funzione cerebrale; la persona affetta da tale patologia mostra una marcata diminuzione dell'integrazione sociale e della comunicazione. Il disturbo interessa molti aspetti della condotta umana e dei funzionamenti psico-mentali: movimento, attenzione, memoria, coscienza, empatia, apprendimento, linguaggio, carattere e interazione sociale. Prima del XX secolo non esisteva il concetto clinico di autismo; tra i precursori della ricerca vi fu John Langdon Down (che nel 1862 scoprì la sindrome che porta il suo nome) che aveva approfondito alcune manifestazioni cliniche che oggi verrebbero classificate come autismo. Il termine autismo deriva dal greco autòs che significa se stesso, e fu inizialmente introdotto dallo psichiatra Svizzero Eugen Bleuler nel 1911 per indicare un sintomo comportamentale della schizofrenia. Il termine autismo, in seguito, passò a indicare una specifica sindrome patologica, a opera di Leo Kanner , che parlò di "autismo infantile precoce". Questa forma classica è rappresentata da bambini isolati, arroccati nel loro "congelamento", "fortezze vuote", distaccati da ciò che si vive intorno a loro. La figura però non è completa, mancano le crisi di angoscia e di "vero terrore", le urla, le azioni autolesionistiche che l’autistico presenta come reazioni alla "paura", dovuta all’iperstimolazione che la relazione gli infligge.
    Grossolanamente si può dire che i bambini autistici fisicamente sono sani e si sviluppano come i loro coetanei, ma sono affetti da gravi anomalie nella comunicazioni e da un certo ritardo mentale.
    Allo stato attuale, la questione del rapporto tra "psicoanalisi" e autismo è complessa, ma le classiche contrapposizioni dicotomiche non rappresentano lo stato dell'arte della riflessione attuale sui rapporti tra scienze psicologiche e disturbi dello spettro autistico. In primo luogo, non si deve erroneamente confondere la più ampia psicologia clinica con la psicoanalisi (la quale è un particolare indirizzo teorico della psicoterapia, che è a sua volta una parte della psicologia clinica); quelle contestate sono inoltre alcune vecchie ipotesi interpretative della psicoanalisi di più di mezzo secolo fa. Al contrario, la ricerca e l'intervento in psicologia clinica dello sviluppo ha prodotto invece una significativa quantità di dati scientifici verificati sui vari aspetti della genesi, della valutazione clinica, delle caratteristiche funzionali e delle possibili linee di intervento riabilitativo e di sostegno nei confronti dei soggetti autistici e delle loro famiglie..In secondo luogo, la stessa psicoanalisi, in parallelo al suo sviluppo clinico e teorico, ha abbandonato molte delle sue originali ipotesi in merito di cinquanta anni fa, revisionando significativamente le vecchie ipotesi sul ruolo dei genitori nella genesi dei disturbi dello spettro autistico.
    In effetti, una grande quantità di ricerche, da John Bowlby in poi, ha mostrato come l'ambiente familiare influenzi grandemente lo sviluppo e le caratteristiche dei figli, malati e non, e come le dinamiche familiari e le relazioni genitori-figli possano essere soggette a disfunzioni, divenendo fonte di malesseri e gravi disagi. Nel caso dell'autismo, a volte viene oggi vissuta in modo estremamente conflittuale l'osservazione del funzionamento delle dinamiche familiari, con l'effetto talvolta di impedire o ritardare interventi psicologici e psicoterapeutici che sarebbero invece potenzialmente utili, se non indispensabili.
    Eric Schopler è il fondatore del celebre approccio TEACCH, un programma globale che ha come fine sia lo sviluppo del miglior grado possibile di autonomia nella vita personale, sociale e lavorativa, attraverso strategie educative che potenzino le capacità della persona autistica, sia di confutare credenze errate secondo le quali i genitori, e soprattutto le madri, venivano ritenute ingiustamente responsabili delle problematiche dei loro figli autistici.
    I genitori, dunque, non sono la causa del disturbo e possono diventare parte essenziale dell’intervento, collaboratori necessari ed efficaci nel portare avanti il processo individuale di adattamento (Schopler).
    I genitori dei bambini autisti hanno sicuramente un ruolo decisamente difficile, devono riuscire ad equilibrare l’affetto per i loro figli con le competenze e le abilità necessarie per interagire con loro, costruendo dunque un’alleanza significativa tra operatori e genitori affinché si crei un’intensa relazione di ascolto, sostegno e di empowerment.
    Fondamentale, dunque, è questa alleanza in quanto sottolinea la netta partecipazione di entrambe le parti che collaborano a un compito/obiettivo comune; Schopler, infatti, ha concettualizzato alcuni principi base dell’itervento psicoeducativo collaborativo che sono il risultato dell’intesa tra genitori e operatori:
    migliorare l’adattamento dell’individuo al mondo in cui vive, potenziando le abilità esistenti attraverso tecniche educative disponibili per compensare i deficit;
    un’attenta valutazione di ogni individuo implica sia un assessment formale, sia una valutazione informale da parte dei genitori, degli insegnanti, ecc;
    promuovere un insegnamento strutturato per prevenire i comportamenti/problemi;
    dare priorità all’incremento delle abilità esistenti; operatori e genitori devono essere sempre formati, ossia acquisire le abilità necessarie per affrontare i problemi a cui saranno sottoposti.
    Vari sono i modi per aiutare i genitori ad acquisire conoscenze e abilità:
    1. istruzione e informazione,
    2. modellamento e simulazione,
    3. feedback e compiti a casa.
    Il primo è un approccio secondo il quale si cerca di offrire ai genitori uno schema, un quadro organizzativo su idee generali, prima di focalizzare l’attenzione sulle tecniche specifiche.
    Il secondo mostra come l’abilità genitoriale non deve essere sottovalutata e come gli operatori non devono dare per scontato che i genitori conoscano o sappiano certe cose, infatti essi acquisiscono le tecniche in questione sia dalle prime dimostrazioni dell’operatore stesso e sia dalle dimostrazioni che coinvolgono direttamente il loro figlio, oppure vengono strutturate sessioni di role-play dove viene chiesto ai genitori di impersonare la parte del figlio e vedere l’operatore come si comporta di fronte a determinati comportamenti.
    Il terzo ha come obiettivo l’incoraggiamento dei genitori ad applicare concretamente con il loro figlio le abilità e valutarne i feedback.
    Il genitore è dunque sostenuto psicologicamente anche nel semplice gesto da parte dell’operatore di aver riconosciuto gli sforzi e le sue conquiste, è importante incoraggiarlo quando si sente demoralizzato o incompreso, instaurando sempre più un’alleanza psico-educativa.
    Molti genitori hanno paura se guardano un po’ più lontano negli anni, iniziano a pensare a quando non ci saranno più e al mondo “bendato” che non guarda oltre le apparenze nel quale il figlio dovrà “sopravvivere”.
    Nel nostro Paese già da un po’ di anni esistono proposte di “programmi respiro” che prevedono ambienti speciali e accoglienti, progettati e strutturati per quelle che sono le difficoltà tipiche dell’autismo: è interessante (e confortante per le famiglie) sapere che nel nostro paese sono presenti associazioni la cui ideologia e missione, oltre che essere quella di migliorare il presente di questa categoria di disabili, è anche quella di salvaguardarne il futuro, che la persona disabile dovrà affrontare dopo la scomparsa dei suoi genitori (il cosiddetto “dopo di noi”, per utilizzare l’espressione di R. Medeghini).
    Quanto affermato finora, comunque, ci fa comprendere in che misura sia fondamentale la presenza dei genitori nel piano riabilitativo-educativo per un bambino autistico, e come siano importanti tutte le dovute iniziative alle quali devono intervenire in stretta collaborazione con gli operatori (e qui possiamo parlare di una vera e propria “alleanza”) affinché si riesca a garantire al proprio figlio autistico un approccio di vita migliore.
    Esse, oltre ad essere la fonte più attendibile di informazioni sul bambino per gli addetti ai lavori, hanno il merito di contribuire notevolmente al successo dell’intervento riabilitativo. E questo successo può essere incrementato se esiste una collaborazione attiva tra genitori, educatori (la prof. Nunzia Giglio, con la quale abbiamo affrontato tutte le tematiche inerenti all’autismo, è appunto un’esponente di questa categoria), insegnanti e gli altri servizi presenti sul territorio. Wink

    Lavoro complesso e ottimamente articolato,
    le richieste dell'esercizio sono state esaurite e superate
    la sintesi è arricchita da una veste critica e da un confronto coerente con il quadro teorico.
    Si vede che il gruppo ha lavorato attraverso riflessioni originali
    da una base teorica.
    la tutor Dott.ssa Nunzia Giglio
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    ES.n. 1 AUTISMO (chiude 27 febbraio x esami 29 e sessione estiva) - Pagina 16 Empty Re: ES.n. 1 AUTISMO (chiude 27 febbraio x esami 29 e sessione estiva)

    Messaggio  immacolatapiscopo Ven Feb 03, 2012 12:15 am

    GRUPPO FORMATO DA:
    IMMACOLATA PISCOPO
    ANTONIA TROTTA
    LATORRE NICLA
    COCORULLO MYRIAM

    TESTO: “FACCIAMO IL PUNTO SULL’AUTISMO” – CAPITOLO 4: “LA COSTRUZIONE DELL'ALLEANZA CON LA FAMIGLIA”

    L'autismo è considerato dalla comunità scientifica internazionale un disturbo che interessa la funzione cerebrale; la persona affetta da tale patologia mostra una marcata diminuzione dell'integrazione sociale e della comunicazione. Il disturbo interessa molti aspetti della condotta umana e dei funzionamenti psico-mentali: movimento, attenzione, memoria, coscienza, empatia, apprendimento, linguaggio, carattere e interazione sociale. Prima del XX secolo non esisteva il concetto clinico di autismo; tra i precursori della ricerca vi fu John Langdon Down (che nel 1862 scoprì la sindrome che porta il suo nome) che aveva approfondito alcune manifestazioni cliniche che oggi verrebbero classificate come autismo. Il termine autismo deriva dal greco autòs che significa se stesso, e fu inizialmente introdotto dallo psichiatra Svizzero Eugen Bleuler nel 1911 per indicare un sintomo comportamentale della schizofrenia. Il termine autismo, in seguito, passò a indicare una specifica sindrome patologica, a opera di Leo Kanner , che parlò di "autismo infantile precoce". Questa forma classica è rappresentata da bambini isolati, arroccati nel loro "congelamento", "fortezze vuote", distaccati da ciò che si vive intorno a loro. La figura però non è completa, mancano le crisi di angoscia e di "vero terrore", le urla, le azioni autolesionistiche che l’autistico presenta come reazioni alla "paura", dovuta all’iperstimolazione che la relazione gli infligge.
    Grossolanamente si può dire che i bambini autistici fisicamente sono sani e si sviluppano come i loro coetanei, ma sono affetti da gravi anomalie nella comunicazioni e da un certo ritardo mentale.
    Allo stato attuale, la questione del rapporto tra "psicoanalisi" e autismo è complessa, ma le classiche contrapposizioni dicotomiche non rappresentano lo stato dell'arte della riflessione attuale sui rapporti tra scienze psicologiche e disturbi dello spettro autistico. In primo luogo, non si deve erroneamente confondere la più ampia psicologia clinica con la psicoanalisi (la quale è un particolare indirizzo teorico della psicoterapia, che è a sua volta una parte della psicologia clinica); quelle contestate sono inoltre alcune vecchie ipotesi interpretative della psicoanalisi di più di mezzo secolo fa. Al contrario, la ricerca e l'intervento in psicologia clinica dello sviluppo ha prodotto invece una significativa quantità di dati scientifici verificati sui vari aspetti della genesi, della valutazione clinica, delle caratteristiche funzionali e delle possibili linee di intervento riabilitativo e di sostegno nei confronti dei soggetti autistici e delle loro famiglie..In secondo luogo, la stessa psicoanalisi, in parallelo al suo sviluppo clinico e teorico, ha abbandonato molte delle sue originali ipotesi in merito di cinquanta anni fa, revisionando significativamente le vecchie ipotesi sul ruolo dei genitori nella genesi dei disturbi dello spettro autistico.
    In effetti, una grande quantità di ricerche, da John Bowlby in poi, ha mostrato come l'ambiente familiare influenzi grandemente lo sviluppo e le caratteristiche dei figli, malati e non, e come le dinamiche familiari e le relazioni genitori-figli possano essere soggette a disfunzioni, divenendo fonte di malesseri e gravi disagi. Nel caso dell'autismo, a volte viene oggi vissuta in modo estremamente conflittuale l'osservazione del funzionamento delle dinamiche familiari, con l'effetto talvolta di impedire o ritardare interventi psicologici e psicoterapeutici che sarebbero invece potenzialmente utili, se non indispensabili.
    Eric Schopler è il fondatore del celebre approccio TEACCH, un programma globale che ha come fine sia lo sviluppo del miglior grado possibile di autonomia nella vita personale, sociale e lavorativa, attraverso strategie educative che potenzino le capacità della persona autistica, sia di confutare credenze errate secondo le quali i genitori, e soprattutto le madri, venivano ritenute ingiustamente responsabili delle problematiche dei loro figli autistici.
    I genitori, dunque, non sono la causa del disturbo e possono diventare parte essenziale dell’intervento, collaboratori necessari ed efficaci nel portare avanti il processo individuale di adattamento (Schopler).
    I genitori dei bambini autisti hanno sicuramente un ruolo decisamente difficile, devono riuscire ad equilibrare l’affetto per i loro figli con le competenze e le abilità necessarie per interagire con loro, costruendo dunque un’alleanza significativa tra operatori e genitori affinché si crei un’intensa relazione di ascolto, sostegno e di empowerment.
    Fondamentale, dunque, è questa alleanza in quanto sottolinea la netta partecipazione di entrambe le parti che collaborano a un compito/obiettivo comune; Schopler, infatti, ha concettualizzato alcuni principi base dell’itervento psicoeducativo collaborativo che sono il risultato dell’intesa tra genitori e operatori:
    migliorare l’adattamento dell’individuo al mondo in cui vive, potenziando le abilità esistenti attraverso tecniche educative disponibili per compensare i deficit;
    un’attenta valutazione di ogni individuo implica sia un assessment formale, sia una valutazione informale da parte dei genitori, degli insegnanti, ecc;
    promuovere un insegnamento strutturato per prevenire i comportamenti/problemi;
    dare priorità all’incremento delle abilità esistenti; operatori e genitori devono essere sempre formati, ossia acquisire le abilità necessarie per affrontare i problemi a cui saranno sottoposti.
    Vari sono i modi per aiutare i genitori ad acquisire conoscenze e abilità:
    1. istruzione e informazione,
    2. modellamento e simulazione,
    3. feedback e compiti a casa.
    Il primo è un approccio secondo il quale si cerca di offrire ai genitori uno schema, un quadro organizzativo su idee generali, prima di focalizzare l’attenzione sulle tecniche specifiche.
    Il secondo mostra come l’abilità genitoriale non deve essere sottovalutata e come gli operatori non devono dare per scontato che i genitori conoscano o sappiano certe cose, infatti essi acquisiscono le tecniche in questione sia dalle prime dimostrazioni dell’operatore stesso e sia dalle dimostrazioni che coinvolgono direttamente il loro figlio, oppure vengono strutturate sessioni di role-play dove viene chiesto ai genitori di impersonare la parte del figlio e vedere l’operatore come si comporta di fronte a determinati comportamenti.
    Il terzo ha come obiettivo l’incoraggiamento dei genitori ad applicare concretamente con il loro figlio le abilità e valutarne i feedback.
    Il genitore è dunque sostenuto psicologicamente anche nel semplice gesto da parte dell’operatore di aver riconosciuto gli sforzi e le sue conquiste, è importante incoraggiarlo quando si sente demoralizzato o incompreso, instaurando sempre più un’alleanza psico-educativa.
    Molti genitori hanno paura se guardano un po’ più lontano negli anni, iniziano a pensare a quando non ci saranno più e al mondo “bendato” che non guarda oltre le apparenze nel quale il figlio dovrà “sopravvivere”.
    Nel nostro Paese già da un po’ di anni esistono proposte di “programmi respiro” che prevedono ambienti speciali e accoglienti, progettati e strutturati per quelle che sono le difficoltà tipiche dell’autismo: è interessante (e confortante per le famiglie) sapere che nel nostro paese sono presenti associazioni la cui ideologia e missione, oltre che essere quella di migliorare il presente di questa categoria di disabili, è anche quella di salvaguardarne il futuro, che la persona disabile dovrà affrontare dopo la scomparsa dei suoi genitori (il cosiddetto “dopo di noi”, per utilizzare l’espressione di R. Medeghini).
    Quanto affermato finora, comunque, ci fa comprendere in che misura sia fondamentale la presenza dei genitori nel piano riabilitativo-educativo per un bambino autistico, e come siano importanti tutte le dovute iniziative alle quali devono intervenire in stretta collaborazione con gli operatori (e qui possiamo parlare di una vera e propria “alleanza”) affinché si riesca a garantire al proprio figlio autistico un approccio di vita migliore.
    Esse, oltre ad essere la fonte più attendibile di informazioni sul bambino per gli addetti ai lavori, hanno il merito di contribuire notevolmente al successo dell’intervento riabilitativo. E questo successo può essere incrementato se esiste una collaborazione attiva tra genitori, educatori (la prof. Nunzia Giglio, con la quale abbiamo affrontato tutte le tematiche inerenti all’autismo, è appunto un’esponente di questa categoria), insegnanti e gli altri servizi presenti sul territorio. Wink

    Lavoro complesso e ottimamente articolato,
    le richieste dell'esercizio sono state esaurite e superate
    la sintesi è arricchita da una veste critica e da un confronto coerente con il quadro teorico.
    Si vede che il gruppo ha lavorato attraverso riflessioni originali
    da una base teorica.
    la tutor Dott.ssa Nunzia Giglio
    Myriam Cocorullo
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    ES.n. 1 AUTISMO (chiude 27 febbraio x esami 29 e sessione estiva) - Pagina 16 Empty Re: ES.n. 1 AUTISMO (chiude 27 febbraio x esami 29 e sessione estiva)

    Messaggio  Myriam Cocorullo Ven Feb 03, 2012 12:16 am

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    ANTONIA TROTTA
    LATORRE NICLA
    COCORULLO MYRIAM

    TESTO: “FACCIAMO IL PUNTO SULL’AUTISMO” – CAPITOLO 4: “LA COSTRUZIONE DELL'ALLEANZA CON LA FAMIGLIA”

    L'autismo è considerato dalla comunità scientifica internazionale un disturbo che interessa la funzione cerebrale; la persona affetta da tale patologia mostra una marcata diminuzione dell'integrazione sociale e della comunicazione. Il disturbo interessa molti aspetti della condotta umana e dei funzionamenti psico-mentali: movimento, attenzione, memoria, coscienza, empatia, apprendimento, linguaggio, carattere e interazione sociale. Prima del XX secolo non esisteva il concetto clinico di autismo; tra i precursori della ricerca vi fu John Langdon Down (che nel 1862 scoprì la sindrome che porta il suo nome) che aveva approfondito alcune manifestazioni cliniche che oggi verrebbero classificate come autismo. Il termine autismo deriva dal greco autòs che significa se stesso, e fu inizialmente introdotto dallo psichiatra Svizzero Eugen Bleuler nel 1911 per indicare un sintomo comportamentale della schizofrenia. Il termine autismo, in seguito, passò a indicare una specifica sindrome patologica, a opera di Leo Kanner , che parlò di "autismo infantile precoce". Questa forma classica è rappresentata da bambini isolati, arroccati nel loro "congelamento", "fortezze vuote", distaccati da ciò che si vive intorno a loro. La figura però non è completa, mancano le crisi di angoscia e di "vero terrore", le urla, le azioni autolesionistiche che l’autistico presenta come reazioni alla "paura", dovuta all’iperstimolazione che la relazione gli infligge.
    Grossolanamente si può dire che i bambini autistici fisicamente sono sani e si sviluppano come i loro coetanei, ma sono affetti da gravi anomalie nella comunicazioni e da un certo ritardo mentale.
    Allo stato attuale, la questione del rapporto tra "psicoanalisi" e autismo è complessa, ma le classiche contrapposizioni dicotomiche non rappresentano lo stato dell'arte della riflessione attuale sui rapporti tra scienze psicologiche e disturbi dello spettro autistico. In primo luogo, non si deve erroneamente confondere la più ampia psicologia clinica con la psicoanalisi (la quale è un particolare indirizzo teorico della psicoterapia, che è a sua volta una parte della psicologia clinica); quelle contestate sono inoltre alcune vecchie ipotesi interpretative della psicoanalisi di più di mezzo secolo fa. Al contrario, la ricerca e l'intervento in psicologia clinica dello sviluppo ha prodotto invece una significativa quantità di dati scientifici verificati sui vari aspetti della genesi, della valutazione clinica, delle caratteristiche funzionali e delle possibili linee di intervento riabilitativo e di sostegno nei confronti dei soggetti autistici e delle loro famiglie..In secondo luogo, la stessa psicoanalisi, in parallelo al suo sviluppo clinico e teorico, ha abbandonato molte delle sue originali ipotesi in merito di cinquanta anni fa, revisionando significativamente le vecchie ipotesi sul ruolo dei genitori nella genesi dei disturbi dello spettro autistico.
    In effetti, una grande quantità di ricerche, da John Bowlby in poi, ha mostrato come l'ambiente familiare influenzi grandemente lo sviluppo e le caratteristiche dei figli, malati e non, e come le dinamiche familiari e le relazioni genitori-figli possano essere soggette a disfunzioni, divenendo fonte di malesseri e gravi disagi. Nel caso dell'autismo, a volte viene oggi vissuta in modo estremamente conflittuale l'osservazione del funzionamento delle dinamiche familiari, con l'effetto talvolta di impedire o ritardare interventi psicologici e psicoterapeutici che sarebbero invece potenzialmente utili, se non indispensabili.
    Eric Schopler è il fondatore del celebre approccio TEACCH, un programma globale che ha come fine sia lo sviluppo del miglior grado possibile di autonomia nella vita personale, sociale e lavorativa, attraverso strategie educative che potenzino le capacità della persona autistica, sia di confutare credenze errate secondo le quali i genitori, e soprattutto le madri, venivano ritenute ingiustamente responsabili delle problematiche dei loro figli autistici.
    I genitori, dunque, non sono la causa del disturbo e possono diventare parte essenziale dell’intervento, collaboratori necessari ed efficaci nel portare avanti il processo individuale di adattamento (Schopler).
    I genitori dei bambini autisti hanno sicuramente un ruolo decisamente difficile, devono riuscire ad equilibrare l’affetto per i loro figli con le competenze e le abilità necessarie per interagire con loro, costruendo dunque un’alleanza significativa tra operatori e genitori affinché si crei un’intensa relazione di ascolto, sostegno e di empowerment.
    Fondamentale, dunque, è questa alleanza in quanto sottolinea la netta partecipazione di entrambe le parti che collaborano a un compito/obiettivo comune; Schopler, infatti, ha concettualizzato alcuni principi base dell’itervento psicoeducativo collaborativo che sono il risultato dell’intesa tra genitori e operatori:
    migliorare l’adattamento dell’individuo al mondo in cui vive, potenziando le abilità esistenti attraverso tecniche educative disponibili per compensare i deficit;
    un’attenta valutazione di ogni individuo implica sia un assessment formale, sia una valutazione informale da parte dei genitori, degli insegnanti, ecc;
    promuovere un insegnamento strutturato per prevenire i comportamenti/problemi;
    dare priorità all’incremento delle abilità esistenti; operatori e genitori devono essere sempre formati, ossia acquisire le abilità necessarie per affrontare i problemi a cui saranno sottoposti.
    Vari sono i modi per aiutare i genitori ad acquisire conoscenze e abilità:
    1. istruzione e informazione,
    2. modellamento e simulazione,
    3. feedback e compiti a casa.
    Il primo è un approccio secondo il quale si cerca di offrire ai genitori uno schema, un quadro organizzativo su idee generali, prima di focalizzare l’attenzione sulle tecniche specifiche.
    Il secondo mostra come l’abilità genitoriale non deve essere sottovalutata e come gli operatori non devono dare per scontato che i genitori conoscano o sappiano certe cose, infatti essi acquisiscono le tecniche in questione sia dalle prime dimostrazioni dell’operatore stesso e sia dalle dimostrazioni che coinvolgono direttamente il loro figlio, oppure vengono strutturate sessioni di role-play dove viene chiesto ai genitori di impersonare la parte del figlio e vedere l’operatore come si comporta di fronte a determinati comportamenti.
    Il terzo ha come obiettivo l’incoraggiamento dei genitori ad applicare concretamente con il loro figlio le abilità e valutarne i feedback.
    Il genitore è dunque sostenuto psicologicamente anche nel semplice gesto da parte dell’operatore di aver riconosciuto gli sforzi e le sue conquiste, è importante incoraggiarlo quando si sente demoralizzato o incompreso, instaurando sempre più un’alleanza psico-educativa.
    Molti genitori hanno paura se guardano un po’ più lontano negli anni, iniziano a pensare a quando non ci saranno più e al mondo “bendato” che non guarda oltre le apparenze nel quale il figlio dovrà “sopravvivere”.
    Nel nostro Paese già da un po’ di anni esistono proposte di “programmi respiro” che prevedono ambienti speciali e accoglienti, progettati e strutturati per quelle che sono le difficoltà tipiche dell’autismo: è interessante (e confortante per le famiglie) sapere che nel nostro paese sono presenti associazioni la cui ideologia e missione, oltre che essere quella di migliorare il presente di questa categoria di disabili, è anche quella di salvaguardarne il futuro, che la persona disabile dovrà affrontare dopo la scomparsa dei suoi genitori (il cosiddetto “dopo di noi”, per utilizzare l’espressione di R. Medeghini).
    Quanto affermato finora, comunque, ci fa comprendere in che misura sia fondamentale la presenza dei genitori nel piano riabilitativo-educativo per un bambino autistico, e come siano importanti tutte le dovute iniziative alle quali devono intervenire in stretta collaborazione con gli operatori (e qui possiamo parlare di una vera e propria “alleanza”) affinché si riesca a garantire al proprio figlio autistico un approccio di vita migliore.
    Esse, oltre ad essere la fonte più attendibile di informazioni sul bambino per gli addetti ai lavori, hanno il merito di contribuire notevolmente al successo dell’intervento riabilitativo. E questo successo può essere incrementato se esiste una collaborazione attiva tra genitori, educatori (la prof. Nunzia Giglio, con la quale abbiamo affrontato tutte le tematiche inerenti all’autismo, è appunto un’esponente di questa categoria), insegnanti e gli altri servizi presenti sul territorio. Wink

    Lavoro complesso e ottimamente articolato,
    le richieste dell'esercizio sono state esaurite e superate
    la sintesi è arricchita da una veste critica e da un confronto coerente con il quadro teorico.
    Si vede che il gruppo ha lavorato attraverso riflessioni originali
    da una base teorica.
    la tutor Dott.ssa Nunzia Giglio.
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    Messaggio  mancinoangela Ven Feb 03, 2012 12:23 am

    Capitolo 4 : la costruzione dell’alleanza con la famiglia
    Libro : facciamo il punto sull’autismo


    Le lezioni di approfondimento sull’autismo sono state molto significative per tutti noi.
    Ho scelto questo capitolo perché durante tutte le lezioni, dato che il tema ha toccato un mio parente, mi sono sempre chiesta , quale fossero le reazioni e i metodi migliori per riuscire a creare un buon clima tra scuola , famiglia, educatori e istituzioni .
    Queste lezioni , questo capitolo insieme ad un altro libro di A. Diavoletto : “la presa in carico del disabile” mi sono stati molto utili per vedere la situazione in modo più chiaro , realistico e meno negativo di quanto potesse sembrarmi.
    Il diritto del disabile ad avere un proprio percorso di vita ha investito a pieno titolo la famiglia.
    Essa è investita di un doppio ruolo: quello di genitori che amano e curano il proprio figlio, e quello di genitori che acquisiscono competenze e abilità per affrontare al meglio le problematiche dei loro figli.
    Gli interventi verso la famiglia sono dunque mirati a sostenere la famiglia nello svolgimento delle sue funzioni affettive, curative, educative favorendo il mantenimento e la valorizzazione delle capacità e delle responsabilità familiari.
    Nello specifico per l’autismo molti falsi miti si sono creati attorno alla famiglia. Si pensava che l’origine derivasse dalla famiglia e soprattutto dalla madre (utero ostile).
    Oggi grazie a molte esperienze di operatori che usano vari metodi si è constatato che non è cosi.
    La famiglia non è un problema ma è sicuramente “lo spazio privilegiato”, una potenziale risorsa nella collaborazione con gli operatori nel definire e portare avanti il progetto educativo.
    La creazione di un’alleanza è uno degli obiettivi più difficili da raggiungere perché all’interno di questa alleanza ci sono due soggetti che svolgono un ruolo molto particolare e difficile e conciliare le aspettative, i bisogni e gli obiettivi è cosa assai complessa.
    Sicuramente è fondamentale la partecipazione attiva dei familiari al trattamento riabilitativo perché ciò permette di creare un ruolo nell’educazione del figlio, li aiuta a riconoscere progressi e avere fiducia nelle possibilità di un cambiamento.
    D’altra parte come segnala Schopler, fondatore dell’approccio TEACCH, : “l’esperienza può essere il miglior insegnante”. In effetti spesso gli interventi dei genitori nascondono una saggezza implicita che somiglia a quella esplicita degli operatori.
    Il compito non facile degli operatori è proprio quello di creare un gruppo di lavoro in cui c’è una sorta di parità (anche se va fatta attenzione a non confondere i ruoli) tra i membri dello staff.
    Schopler e collaboratori hanno sintetizzato alcuni principi base dell’intervento psicoeducativo collaborativo :
    1) Migliorare adattamento potenziando abilità e modificando l’ambiente per compensare deficit.
    2) Attenta valutazione formale e informale(dei genitori)
    3) Insegnamento strutturato per prevenire i problemi
    4) Incrementare le abilità esistenti riconoscendo punti di forza e da migliorare
    5) Basarsi su teorie comportamentali e cognitive dell’apprendimento
    6) Gli operatori e i genitori devono essere formati per acquisire abilità necessarie all’intervento pratico.
    Per formare ci sono molti modi che vanno da un’istruzione vera e propria che dia basi teoriche puntando all’acquisizione di nuove competenze e non a martirizzare passati comportamenti eventualmente sbagliati del genitore. Altri metodi si formazione possono essere il modellamento dove si apprende sul campo facendo familiarizzare con le tecniche studiate, oppure con simulazioni vere e proprie in cui spesso gli operatori forniscono feedback immediati sul lavoro che si sta svolgendo. Altra tecnica importante sono i “compiti a casa” attraverso cui il genitore può mettersi alla prova nell’ambiente domestico svolgendo compiti educativi con il proprio figlio.
    Agli operatori è chiesto il delicato compito di riuscire a dosare la trasmissione delle sue competenze usando molta empatia e cercando di comprendere quelli che sono i bisogni dei genitori durante tutto il percorso. Spesso infatti, durante questo cammino di crescita condiviso il genitore potrebbe aver bisogno un sostegno emotivo più che l’acquisizione di nuove competenze.
    Due modelli importanti da tenere presente sono quelli consigliati da Cavell che indica due modalità attraverso cui l’operatore può agire per creare un alleanza che poggia su basi solide.
    La prima è quella di lasciare che siano i genitori a raccontare la propria storia e come le problematiche del figlio abbiano cambiato loro e la loro relazione.
    L’altra è “esplorare i miti dei genitori” cioè cercare di capire quali sono le loro idee sul ruolo di genitore e avanzare discussioni.
    Oltre ai genitori che vengono formati però dalla’ltra parte c’è la figura degli educatori.
    Il modo in cui gli operatori intervengono si può sintetizzare in due parole : copyng e empowerment.
    Copyng significa saper affrontare e gestire un problema mentre empowerment significa “sentire il problema” o meglio sentire di avere potere, di essere in grado di fare.”
    Spesso gli aiuti alle famiglie hanno avuto un effetto opposto: invece che incrementare l’empowerment della famiglia lo indeboliva perché creava un atteggiamento di delega o di passività.
    Questo a volte capita perche non si riesce a creare una sinergia tra gli operatori e la famiglia, spesso entrambe si chiudono a riccio sulle proprie posizioni e professioni negando il confronto.
    Questo non deve accadere, se si vuole creare un lavoro di rete, se davvero l’obiettivo comune è quello di creare un progetto di vita che possa guardare a un futuro di possibile autonomia anche per adulti con autismo, allora è necessario che tutte le persone coinvolte siano messe in condizione di poter sentire un sufficiente e comune “senso del potere”.
    L’assunzione di responsabilità da parte di tutti garantirà un intervento unitario e coordinato verso un nuovo modo di intendere e guardare all’autismo.
    Molto interessante mi è parsa l’ultimo parte in cui si è parlato di “programmi respiro”.
    Ricordo di aver visto una volta un film in cui si parlava proprio della possibilità di programmi che piano piano ti abituino a un autonomia e che ti accompagnano in questo percorso fino a farti giungere all’obiettivo di una vita indipendente lontano dalla famiglia.
    Non bisogna mai perdere il contatto con la realtà e con il fatto che l’autismo è solo una parte di quello che è una persona, è la parte ingombrante che spesso fa distrarre e non fa cogliere quale potenziale si nasconde dietro la persona .

    Bibliografia
    Ianes D., Zampella M., Facciamo il punto su....l'autismo, Erickson, 2009
    Aldo Diavoletto, La presa in carico del disabile in età evolutiva. Aspetti psico-sociali, Aracne, 2011

    Lavoro svolto da Mancino Angela

    Lavoro ben fatto,
    le richieste dell'esercizio sono state esaurite e
    la sintesi è coerente e significativa.
    Emergono le considerazioni critiche del gruppo.
    la tutor Dott.ssa Nunzia Giglio
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    Messaggio  antoniatrotta Ven Feb 03, 2012 12:28 am

    Componenti del gruppo:
    Antonia Trotta
    Immacolata Piscopo
    Nicla Latorre
    Myriam Cocorullo

    Abbiamo relazionato sul 4° capitolo del testo “FACCIAMO IL PUNTO SULL’AUTISMO”: “La costruzione dell’alleanza con la famiglia”.

    L'autismo è considerato dalla comunità scientifica internazionale un disturbo che interessa la funzione cerebrale; la persona affetta da tale patologia mostra una marcata diminuzione dell'integrazione sociale e della comunicazione. Il disturbo interessa molti aspetti della condotta umana e dei funzionamenti psico-mentali: movimento, attenzione, memoria, coscienza, empatia, apprendimento, linguaggio, carattere e interazione sociale. Prima del XX secolo non esisteva il concetto clinico di autismo; tra i precursori della ricerca vi fu John Langdon Down (che nel 1862 scoprì la sindrome che porta il suo nome) che aveva approfondito alcune manifestazioni cliniche che oggi verrebbero classificate come autismo. Il termine autismo deriva dal greco autòs che significa se stesso, e fu inizialmente introdotto dallo psichiatra Svizzero Eugen Bleuler nel 1911 per indicare un sintomo comportamentale della schizofrenia. Il termine autismo, in seguito, passò a indicare una specifica sindrome patologica, a opera di Leo Kanner , che parlò di "autismo infantile precoce". Questa forma classica è rappresentata da bambini isolati, arroccati nel loro "congelamento", "fortezze vuote", distaccati da ciò che si vive intorno a loro. La figura però non è completa, mancano le crisi di angoscia e di "vero terrore", le urla, le azioni autolesionistiche che l’autistico presenta come reazioni alla "paura", dovuta all’iperstimolazione che la relazione gli infligge.
    Grossolanamente si può dire che i bambini autistici fisicamente sono sani e si sviluppano come i loro coetanei, ma sono affetti da gravi anomalie nella comunicazioni e da un certo ritardo mentale.
    Allo stato attuale, la questione del rapporto tra "psicoanalisi" e autismo è complessa, ma le classiche contrapposizioni dicotomiche non rappresentano lo stato dell'arte della riflessione attuale sui rapporti tra scienze psicologiche e disturbi dello spettro autistico. In primo luogo, non si deve erroneamente confondere la più ampia psicologia clinica con la psicoanalisi (la quale è un particolare indirizzo teorico della psicoterapia, che è a sua volta una parte della psicologia clinica); quelle contestate sono inoltre alcune vecchie ipotesi interpretative della psicoanalisi di più di mezzo secolo fa. Al contrario, la ricerca e l'intervento in psicologia clinica dello sviluppo ha prodotto invece una significativa quantità di dati scientifici verificati sui vari aspetti della genesi, della valutazione clinica, delle caratteristiche funzionali e delle possibili linee di intervento riabilitativo e di sostegno nei confronti dei soggetti autistici e delle loro famiglie..In secondo luogo, la stessa psicoanalisi, in parallelo al suo sviluppo clinico e teorico, ha abbandonato molte delle sue originali ipotesi in merito di cinquanta anni fa, revisionando significativamente le vecchie ipotesi sul ruolo dei genitori nella genesi dei disturbi dello spettro autistico.
    In effetti, una grande quantità di ricerche, da John Bowlby in poi, ha mostrato come l'ambiente familiare influenzi grandemente lo sviluppo e le caratteristiche dei figli, malati e non, e come le dinamiche familiari e le relazioni genitori-figli possano essere soggette a disfunzioni, divenendo fonte di malesseri e gravi disagi. Nel caso dell'autismo, a volte viene oggi vissuta in modo estremamente conflittuale l'osservazione del funzionamento delle dinamiche familiari, con l'effetto talvolta di impedire o ritardare interventi psicologici e psicoterapeutici che sarebbero invece potenzialmente utili, se non indispensabili.
    Eric Schopler è il fondatore del celebre approccio TEACCH, un programma globale che ha come fine sia lo sviluppo del miglior grado possibile di autonomia nella vita personale, sociale e lavorativa, attraverso strategie educative che potenzino le capacità della persona autistica, sia di confutare credenze errate secondo le quali i genitori, e soprattutto le madri, venivano ritenute ingiustamente responsabili delle problematiche dei loro figli autistici.
    I genitori, dunque, non sono la causa del disturbo e possono diventare parte essenziale dell’intervento, collaboratori necessari ed efficaci nel portare avanti il processo individuale di adattamento (Schopler).
    I genitori dei bambini autisti hanno sicuramente un ruolo decisamente difficile, devono riuscire ad equilibrare l’affetto per i loro figli con le competenze e le abilità necessarie per interagire con loro, costruendo dunque un’alleanza significativa tra operatori e genitori affinché si crei un’intensa relazione di ascolto, sostegno e di empowerment.
    Fondamentale, dunque, è questa alleanza in quanto sottolinea la netta partecipazione di entrambe le parti che collaborano a un compito/obiettivo comune; Schopler, infatti, ha concettualizzato alcuni principi base dell’itervento psicoeducativo collaborativo che sono il risultato dell’intesa tra genitori e operatori:
    • migliorare l’adattamento dell’individuo al mondo in cui vive, potenziando le abilità esistenti attraverso tecniche educative disponibili per compensare i deficit;
    • un’attentiva valutazione di ogni individuo implica sia un assessment formale, sia una valutazione informale da parte dei genitori, degli insegnanti, ecc;
    • promuovere un insegnamento strutturato per prevenire i comportamenti/problemi;
    • dare priorità all’incremento delle abilità esistenti;
    • operatori e genitori devono essere sempre formati, ossia acquisire le abilità necessarie per affrontare i problemi a cui saranno sottoposti.
    Vari sono i modi per aiutare i genitori ad acquisire conoscenze e abilità:
    1. istruzione e informazione,
    2. modellamento e simulazione,
    3. feedback e compiti a casa.
    Il primo è un approccio secondo il quale si cerca di offrire ai genitori uno schema, un quadro organizzativo su idee generali, prima di focalizzare l’attenzione sulle tecniche specifiche.
    Il secondo mostra come l’abilità genitoriale non deve essere sottovalutata e come gli operatori non devono dare per scontato che i genitori conoscano o sappiano certe cose, infatti essi acquisiscono le tecniche in questione sia dalle prime dimostrazioni dell’operatore stesso e sia dalle dimostrazioni che coinvolgono direttamente il loro figlio, oppure vengono strutturate sessioni di role-play dove viene chiesto ai genitori di impersonare la parte del figlio e vedere l’operatore come si comporta di fronte a determinati comportamenti.
    Il terzo ha come obiettivo l’incoraggiamento dei genitori ad applicare concretamente con il loro figlio le abilità e valutarne i feedback.
    Il genitore è dunque sostenuto psicologicamente anche nel semplice gesto da parte dell’operatore di aver riconosciuto gli sforzi e le sue conquiste, è importante incoraggiarlo quando si sente demoralizzato o incompreso, instaurando sempre più un’alleanza psicoeducatica.
    Molti genitori hanno paura se guardano un po’ più lontano negli anni, iniziano a pensare a quando non ci saranno più e al mondo “bendato” che non guarda oltre le apparenze nel quale il figlio dovrà “sopravvivere”.
    Nel nostro Paese già da un po’ di anni esistono proposte di “programmi respiro” che prevedono ambienti speciali e accoglienti, progettati e strutturati per quelle che sono le difficoltà tipiche dell’autismo: è interessante (e confortante per le famiglie) sapere che nel nostro paese sono presenti associazioni la cui ideologia e missione, oltre che essere quella di migliorare il presente di questa categoria di disabili, è anche quella di salvaguardarne il futuro, che la persona disabile dovrà affrontare dopo la scomparsa dei suoi genitori (il cosiddetto “dopo di noi”, per utilizzare l’espressione di R. Medeghini). Quanto affermato finora, comunque, ci fa comprendere in che misura sia fondamentale la presenza dei genitori nel piano riabilitativo-educativo per un bambino autistico, e come siano importanti tutte le dovute iniziative alle quali devono intervenire in stretta collaborazione con gli operatori (e qui possiamo parlare di una vera e propria “alleanza”) affinché si riesca a garantire al proprio figlio autistico un approccio di vita migliore. Esse, oltre ad essere la fonte più attendibile di informazioni sul bambino per gli addetti ai lavori, hanno il merito di contribuire notevolmente al successo dell’intervento riabilitativo. E questo successo può essere incrementato se esiste una collaborazione attiva tra genitori, educatori (la prof. Nunzia Giglio, con la quale abbiamo affrontato tutte le tematiche inerenti all’autismo, è appunto un’esponente di questa categoria), insegnanti e gli altri servizi presenti sul territorio. Smile


    Lavoro complesso e ottimamente articolato,
    le richieste dell'esercizio sono state esaurite e superate
    la sintesi è arricchita da una veste critica e da un confronto coerente con il quadro teorico.
    Si vede che il gruppo ha lavorato attraverso riflessioni originali
    da una base teorica.
    la tutor Dott.ssa Nunzia Giglio.
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    ES.n. 1 AUTISMO (chiude 27 febbraio x esami 29 e sessione estiva) - Pagina 16 Empty Re: ES.n. 1 AUTISMO (chiude 27 febbraio x esami 29 e sessione estiva)

    Messaggio  Concetta Sarnelli Ven Feb 03, 2012 6:12 am

    Gruppo formato da: Angela Causa, Alessandra Cipollaro, Concetta Sarnelli.
    Dal testo “Facciamo il punto sull’autismo” – Capitolo 3 “Evoluzione dei disturbi dello spettro autistico. I bambini che escono dall’autismo (off autism).”


    La lettura del capitolo in questione ci fa riflettere sulla possibilità di “uscire” dall’autismo e sulle conseguenze legate a questo fenomeno; prima di parlare di off autism, però, è necessario chiarire cosa sia l’autismo e quali sono i sintomi attraverso cui si manifesta.
    L’autismo non è una malattia, ma è un disturbo dello sviluppo della funzione cerebrale, caratterizzato, nel suo aspetto tipico, da tre tipi di sintomi: interazione sociale alterata, problemi nella comunicazione verbale, non verbale e di immaginazione, attività e interessi insoliti o estremamente limitati. Tale disturbo impedisce, inoltre, di comprendere e organizzare le informazioni percepite dai sensi, per cui il soggetto autistico reagisce a queste aggressioni esterne con isolamento e stereotipie e, nei casi più gravi, con auto ed etero aggressività. L’evoluzione degli studi ha dato modo di pensare che le cause scatenanti siano di origine organica, in particolare del cromosoma 16 e forse del cromosoma 7, ma la possibilità dell’esistenza di concause, lascia ancora in sospeso questa discussione.
    Ma si può guarire dall’autismo?
    “Il decorso naturale del disturbo autistico prevede un miglioramento dei sintomi dopo i 5 anni. Dopo questa età si assiste a un miglioramento dei contatti sociali del bambino e dei suoi intenti comunicativi. […] La linea evolutiva globale di fondo sembrerebbe in relazione non tanto con le singole tipologie di interventi, quanto con la costanza, la sistematicità, la durata nel tempo dei trattamenti, la loro coerenza interna, la capacità di creare e mantenere comunque attorno al soggetto autistico un clima affettivo di sostegno con costanza di investimenti.” (http://www.lameridianaonlus.org/materiale/Alessandroni. pdf)
    Grazie a tali trattamenti, caratterizzati spesso da interventi comportamentali, i soggetti autistici col tempo migliorano le loro capacità cognitive e linguistiche, “silenziando” i geni responsabili dell’autismo, nonostante il substrato anatomopatologico (e ve ne sono tanti e diversi) che costituisce la base organica delle manifestazioni cliniche, può non cambiare completamente. Bisogna tener presente, però, che gli off autism posso presentare ulteriori disturbi come quelli relativi all’attenzione e all’iperattività. Potremmo dire, quindi, che la tempestività dell’intervento è uno dei fattori principali per far si che un bambino guarisca; tutto ciò non può non farci riflettere sull’importanza del ruolo del docente: quest’ultimo deve essere preparato e appunto tempestivo per dare quel contributo determinante nella vita del bambino autistico.

    Bibliografia
    - L. TRisciuzzi, "La pedagogia clinica", Laterza.
    - -Ianes D., Zampella M., Facciamo il punto su....l'autismo, Erickson, 2009


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    la sintesi è stringata ma completa.
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    Messaggio  Francesca Fuscaldo Ven Feb 03, 2012 8:58 am

    Testo: "Integrazione scolastica degli alunni con disturbi dello spettro autistico"
    CAP 4: "Autismi e pedagogia"
    Gruppo Ilaria Di Scala; Francesca Fuscaldo

    In questo breve capitolo è racchiusa un’importante riflessione sul rapporto tra autismi e pedagogia.
    Il compito della pedagogia è quello di ricordare quanto è avvenuto nel campo dell’autismo, rileggendo il tutto in chiave educativa, ma non solo, come ci ricordano gli autori, infatti, può rappresentare anche un valido strumento di sostegno del lavoro degli operatori.
    Nella parte iniziale del testo, viene esaminato il lungo e travagliato percorso che ha visto l’affermazione dell’autismo in tutta la sua specificità, non più confondibile con i problemi psichici di varia natura. Certamente la legge Basaglia rappresenta un punto di svolta, con essa, infatti si supera la logica dei manicomi, ed apre la strada a nuove generazioni di psichiatri ma anche di educatori (gli autori evidenziano appunto il nome di Enrico Micheli), che si impegnano a ricercare strumenti sempre più specifici ed efficaci per intervenire sugli autismi configurandosi sempre più come “nuova generazione di tecnici con competenza specifica”. La questione ci riguarda da vicino, noi future insegnanti di sostegno abbiamo il dovere di mettere a punto metodologie sempre più rispondenti alle richieste e bisogni del singolo soggetto, come appunto evidenziano gli autori: “ vorremmo affrontare gli autismi, INCARNATI, e non l’autismo astratto”. Bisogna collocarsi nell’ottica di una struttura formativa che adegua i propri percorsi alle diverse abilità degli alunni: ma ciò appare possibile solo se noi insegnanti assumiamo il principio che l’apprendimento è possibile anche nella disabilità e che questa possibilità può concretizzarsi nell’abbandono di percorsi omogenei. La pedagogia, in questo senso, ci può aiutare, possiamo ricordare, infatti, gli orientamenti della scuola dell’infanzia (D.M 3 giugno 1991), diretta conseguenza di una florida stagione pedagogica (in riferimento a Franco Frabboni), la quale risulta fortemente in sintonia con proposte specifiche verificate in relazioni agli autismi (proposta floortime).
    Vanno considerate però alcune problematiche. La prima sfida è rappresentata dal fattore tempo, come appunto ricordano gli autori: nella nostra società “il precariato va meglio della stabilità”, pensiamo che in questa frase sia racchiuso tutto il discorso, ma come ben sappiamo l’autismo esige competenze di progetto, messe alla prova del tempo. Gli educatori, gli educatori, non possono non possedere specifiche competenze atte a promuovere un consistente progetto di vita del soggetto autistico. La seconda sfida è rappresentata dal momento della valutazione, che diventa sempre più istantanea, rifiutando la sequenza del “prima” e del “poi”. In questa concezione del tempo un bambino autistico non può trovare il proprio spazio, viene necessariamente escluso. La terza sfida è rappresentata dall’autoreferenzialità dei singoli soggetti che operano per l’integrazione e il ben-essere di questi bambini. Come ben sappiamo, la collaborazione tra professioni e ruoli è importantissima, il sistema cura e il sistema educazione devono fondersi in un unico sistema. La quarta e ultima sfida è rappresentata dall’eccessivo assistenzialismo, una dimensione che è costruita attorno alla disabilità come elemento permanente e quindi con la necessità, altrettanto permanente, che gli altri si preoccupino di organizzarsi per dare: per dare aiuto, sussidi, risposte, per risolvere i bisogni. E’ una società, la nostra, che ha strutture violente anche quando la violenza non si esprime con delle azioni in forma diretta: è una violenza sottile che induce il disabile a chiudersi nella propria condizione di disabile. Come si può superare l’assistenzialismo? Bisogna insegnare al soggetto autistico a crescere con la capacità di operare delle scelte ma soprattutto noi insegnanti di sostegno, educatori, operatori dobbiamo “chiedere” e non imporre le nostre esigenze, dobbiamo saper organizzare con i soggetti autistici in modo che si attivi la loro capacità di organizzarsi, in questo modo possiamo promuovere il loro processo di crescita, permettendo loro di diventare “adulti”. Chi vive infatti, nell’assistenzialismo può avere la sensazione di essere al centro mondo, in questo modo però può rimanere nella condizione di “eterno bambino”, il protagonismo è pericoloso e va assolutamente prevenuto, promuovendo la capacità di operare scelte, di organizzarsi ma soprattutto di essere autonomi.
    Concludendo possiamo affermare, che non avendo mai avuto esperienze dirette con bambini autistici, riteniamo di fondamentale importanza ricevere suggerimenti e apporti teorici su questa tematica, il seguente documento di indirizzo, ci propone un’ampia visione di questo settore, offrendoci dei consigli e indicazioni preziosissimi che andranno ad arricchire il nostro bagaglio conoscitivo.

    Lavoro sufficiente,
    le richieste dell'esercizio sono state esaurite e
    la sintesi è stringata ma completa.
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    ES.n. 1 AUTISMO (chiude 27 febbraio x esami 29 e sessione estiva) - Pagina 16 Empty Re: ES.n. 1 AUTISMO (chiude 27 febbraio x esami 29 e sessione estiva)

    Messaggio  Ilaria Di Scala Ven Feb 03, 2012 8:59 am

    Testo: "Integrazione scolastica degli alunni con disturbi dello spettro autistico"
    CAP 4: "Autismi e pedagogia"
    Gruppo Ilaria Di Scala; Francesca Fuscaldo

    In questo breve capitolo è racchiusa un’importante riflessione sul rapporto tra autismi e pedagogia.
    Il compito della pedagogia è quello di ricordare quanto è avvenuto nel campo dell’autismo, rileggendo il tutto in chiave educativa, ma non solo, come ci ricordano gli autori, infatti, può rappresentare anche un valido strumento di sostegno del lavoro degli operatori.
    Nella parte iniziale del testo, viene esaminato il lungo e travagliato percorso che ha visto l’affermazione dell’autismo in tutta la sua specificità, non più confondibile con i problemi psichici di varia natura. Certamente la legge Basaglia rappresenta un punto di svolta, con essa, infatti si supera la logica dei manicomi, ed apre la strada a nuove generazioni di psichiatri ma anche di educatori (gli autori evidenziano appunto il nome di Enrico Micheli), che si impegnano a ricercare strumenti sempre più specifici ed efficaci per intervenire sugli autismi configurandosi sempre più come “nuova generazione di tecnici con competenza specifica”. La questione ci riguarda da vicino, noi future insegnanti di sostegno abbiamo il dovere di mettere a punto metodologie sempre più rispondenti alle richieste e bisogni del singolo soggetto, come appunto evidenziano gli autori: “ vorremmo affrontare gli autismi, INCARNATI, e non l’autismo astratto”. Bisogna collocarsi nell’ottica di una struttura formativa che adegua i propri percorsi alle diverse abilità degli alunni: ma ciò appare possibile solo se noi insegnanti assumiamo il principio che l’apprendimento è possibile anche nella disabilità e che questa possibilità può concretizzarsi nell’abbandono di percorsi omogenei. La pedagogia, in questo senso, ci può aiutare, possiamo ricordare, infatti, gli orientamenti della scuola dell’infanzia (D.M 3 giugno 1991), diretta conseguenza di una florida stagione pedagogica (in riferimento a Franco Frabboni), la quale risulta fortemente in sintonia con proposte specifiche verificate in relazioni agli autismi (proposta floortime).
    Vanno considerate però alcune problematiche. La prima sfida è rappresentata dal fattore tempo, come appunto ricordano gli autori: nella nostra società “il precariato va meglio della stabilità”, pensiamo che in questa frase sia racchiuso tutto il discorso, ma come ben sappiamo l’autismo esige competenze di progetto, messe alla prova del tempo. Gli educatori, gli educatori, non possono non possedere specifiche competenze atte a promuovere un consistente progetto di vita del soggetto autistico. La seconda sfida è rappresentata dal momento della valutazione, che diventa sempre più istantanea, rifiutando la sequenza del “prima” e del “poi”. In questa concezione del tempo un bambino autistico non può trovare il proprio spazio, viene necessariamente escluso. La terza sfida è rappresentata dall’autoreferenzialità dei singoli soggetti che operano per l’integrazione e il ben-essere di questi bambini. Come ben sappiamo, la collaborazione tra professioni e ruoli è importantissima, il sistema cura e il sistema educazione devono fondersi in un unico sistema. La quarta e ultima sfida è rappresentata dall’eccessivo assistenzialismo, una dimensione che è costruita attorno alla disabilità come elemento permanente e quindi con la necessità, altrettanto permanente, che gli altri si preoccupino di organizzarsi per dare: per dare aiuto, sussidi, risposte, per risolvere i bisogni. E’ una società, la nostra, che ha strutture violente anche quando la violenza non si esprime con delle azioni in forma diretta: è una violenza sottile che induce il disabile a chiudersi nella propria condizione di disabile. Come si può superare l’assistenzialismo? Bisogna insegnare al soggetto autistico a crescere con la capacità di operare delle scelte ma soprattutto noi insegnanti di sostegno, educatori, operatori dobbiamo “chiedere” e non imporre le nostre esigenze, dobbiamo saper organizzare con i soggetti autistici in modo che si attivi la loro capacità di organizzarsi, in questo modo possiamo promuovere il loro processo di crescita, permettendo loro di diventare “adulti”. Chi vive infatti, nell’assistenzialismo può avere la sensazione di essere al centro mondo, in questo modo però può rimanere nella condizione di “eterno bambino”, il protagonismo è pericoloso e va assolutamente prevenuto, promuovendo la capacità di operare scelte, di organizzarsi ma soprattutto di essere autonomi.
    Concludendo possiamo affermare, che non avendo mai avuto esperienze dirette con bambini autistici, riteniamo di fondamentale importanza ricevere suggerimenti e apporti teorici su questa tematica, il seguente documento di indirizzo, ci propone un’ampia visione di questo settore, offrendoci dei consigli e indicazioni preziosissimi che andranno ad arricchire il nostro bagaglio conoscitivo.

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    Messaggio  antonellagallo86 Ven Feb 03, 2012 9:38 am


    sul cap. 4: "l'alleanza con la famiglia" dal testo: facciamo il punto sull'autismo.


    L’Autismo è una sindrome comportamentale causata da un disordine dello sviluppo biologicamente determinato, con esordio nei primi tre anni di vita. Le aree prevalentemente interessate sono quelle relative all’interazione sociale reciproca, all’abilità di comunicare idee e sentimenti e alla capacità di stabilire relazioni con gli altri (Baird e coll., 2003; Berney, 2000; Szatmari, 2003).
    L’Autismo, pertanto, si configura come una disabilità “permanente” che accompagna il soggetto nel suo ciclo vitale, anche se le caratteristiche del deficit sociale assumono un’espressività variabile nel tempo. La capacità di interagire con l’altro è solitamente compromessa: emozioni, interessi, attività e stili di comportamento propri del gruppo d’appartenenza, sono deficitari. Al bambino autistico spesso viene attribuito un’incapacità ad interessarsi a ciò che lo circonda e difficilmente attiva relazioni con i pari.
    Nel primo anno di vita, i comportamenti che indicano una compromissione qualitativa dell’interazione sociale sono: lo sguardo sfuggente, l’assenza di sorriso sociale, difficoltà a tenerlo in braccio e difficoltà nel richiamare la sua attenzione su un oggetto o su un evento interessante.
    Fra il secondo ed il quinto anno di età, questo deficit è caratterizzato principalmente da comportamenti espliciti: tende ad isolarsi, non risponde al suo nome, non rende partecipe l’altro ad attività per lui interessanti e non partecipa alle attività degli altri, usando gli altri per soddisfare i propri bisogni.
    La compromissione qualitativa dell’interazione sociale non si limita a considerare la presenza o l’assenza di un comportamento quanto il reale piacere di un soggetto di condividere con l’altro esperienze, affetti ed interessi. Ne consegue che le persone affette da autismo hanno bisogno per tutta l’esistenza di protezione e di livelli differenziati di aiuto, di una continuità di servizi specializzati e di opportunità di vita adulta indipendente dalla famiglia. Vera o apparente che sia, l'indifferenza del bambino autistico verso i familiari che già hanno investito amore e dedizione nel loro piccolo apparentemente perfetto costituisce precocemente una vera tragedia affettiva: i genitori si sentono rifiutati da un bambino che non corrisponde ai loro sentimenti e che tuttavia non possono ne vogliono abbandonare a se stesso. Il senso di responsabilità verso la loro creatura che capiscono indifesa di fronte al mondo e di cui ben presto intuiscono la sofferenza li sprona a cercare in tutti i modi di aiutarla, senza riuscire a tradurne l'attaccamento in partecipazione emotiva alla vita di famiglia o in apprendimento. Nessuna persona con autismo dovrebbe essere privata della libertà di sviluppare le capacità indispensabili a condurre una vita indipendente nei limiti delle proprie possibilità. A nostro parere il futuro delle persone con autismo dipende più dal livello di consapevolezza di genitori e professionisti, dall’adattamento dell’ambiente e dalla disponibilità di servizi specializzati che dalla gravità individuale della disabilità. La conseguenza logica è la necessità di una collaborazione fra servizi, istituzioni e famiglie, e un programma politico per l’autismo, che preveda la creazione di una continuità di aiuti e servizi per tutto l’arco dell’esistenza. Speriamo fermamente che tutte le famiglie di persone affette da autismo abbiano la possibilità di disporre di una rete di servizi accessibili già dai primi anni di vita del bambino, specifici, rigorosi, flessibili e coerenti.

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    Messaggio  rosa.rapacciuolo Ven Feb 03, 2012 10:32 am

    Per quanto riguarda il disturbo autistico esistono diversi metodi e tecniche psicoeducative abilitative e riabilitative basate su diversi indirizzi ovvero su dinamiche relative alla psicologia dello sviluppo, sulla strutturazione dell’ambiente su base visiva, sulla comunicazione alternativa/aumentativa e infine sull’analisi comportamentale.
    Per quel che concerne le metodologie basate sulla psicologia dello sviluppo l’obiettivo è di tipo socio-comunicativo (es. lo sguardo per focalizzare l’attenzione). Tra le diverse metodologie quelle che hanno avuto maggiore diffusione nel nostro Paese sono il DIR/Floortime di Greenspan e il Metodo Denver. Ciò che accomuna queste tecniche è il fatto di mettere al centro dell’intervento il bambino con le sue curiosità, i suoi interessi e i suoi desideri. L’approccio educativo cambia in base alle esigenze di quel determinato bambino, in quel contesto, in quel particolare momento storico.
    Per quanto riguarda l’AERC (Attivazione Emotiva con Reciprocità Corporea) il suo vantaggio più grande di questa tecnica è quello di mettere al centro dell’intervento terapeutico la reciprocità. Infatti gli studi basati su questo metodo ritengono fondamentale per le nostre azioni la motivazione, sia interna che esterna, in tutti i contesti in cui una persona vive. Essa fa riferimento ai 4 “perché” dell’etologia che definiscono un comportamento ovvero il suo scopo, la sua storia , il sistema motivazionale e infine la sua storia filogenetica. Fondamentale per questo tipo di approccio è il rapporto faccia a faccia per avviare una comunicazione verbale (avvolte pressoché assente nei bambini autistici) come inizio per uno sviluppo completo dell’intersoggettività. I bambini con DSA soffrono spesso di evitamento visivo, uditivo e tattile, in questo senso giochi fisici possono contribuire a creare una buona sintonia emotiva fra adulto e bambino che potranno rappresentare una buona base di partenza per iniziare attività di tipo collaborativo. Un intervento di questo tipo deve avvenire in famiglia perché è in questo ambito che le modalità affiliative hanno maggior potere oltre che riscontro. Questi interventi andranno condotti anche nel contesto scolastico, tra i coetanei, in piccolo gruppo, per far acquisire al bambino con DSA i primi rudimenti della socialità.
    Per quanto riguarda il modello di educazione strutturata quello che ha avuto maggiore sviluppo è sicuramente il TEACCH, ideato dall’Università del Noth Carolina, un programma la cui validità è riconosciuta in tutto il mondo e che tiene conto di tutte le risorse che girano intorno a un bambino con DSA, dalla famiglia alla scuola. Gli interventi sono realizzati in diversi ambiti, dal lavoro individuale (teso a creare un ambiente empatico e sereno), alle attività, dal lavoro in piccolo gruppo, dalla rete dei servizi, agli interventi in ambito familiare e scolastico. Per quanto riguarda la sfera comunicativa, che è una delle più compromesse, per i bambini affetti da DSA uno degli interventi di maggiore efficacia è sicuramente quello della Comunicazione Aumentativa e Alternativa. Il termine “aumentativa” indica l’uso di strumenti e tecniche che cercano di sviluppare, appunto aumentare il linguaggio del soggetto. Questa modalità riguarda sia il soggetto autistico che il partner comunicativo di riferimento che avrà così modo di farsi comprendere meglio. Il termine “alternativa” si riferisce all’uso di altri codici in sostituzione del linguaggio, che è il principale. Questa metodologia si serve di mezzi di tipo iconografico come foto, disegni ecc.; viene chiamata anche CAA assistita, per distinguerla da quella non assistita dove ci si serve solo del corpo. Possiamo inoltre distinguere tra CAA senza tecnologia, a bassa tecnologia, e ad alta tecnologia. Il metodo CAA dovrebbe partire da una valutazione funzionale delle abilità del soggetto per capire quali sono gli strumenti più adatti in quel momento, per quel soggetto. Nella CAA, per essere efficace, devono essere coinvolti tutti gli ambiti in cui il soggetto si trova a vivere (scuola, famiglia), e in questo senso la CAA rappresenta una concreta applicazione dei principi dell’ICF che mette in risalto il ruolo che hanno i fattori ambientali al fine dell’integrazione della persona disabile.
    Per quanto riguarda gli interventi psicoeducativi quello più importante è forse l’Applied Behavior Analysis (ABA) che utilizza i dati emersi dall’analisi del comportamento per capire il rapporto che intercorre tra i vari comportamenti e le condizioni esterne, cercando di formulare ipotesi sul perché un dato comportamento si verifica, al fine di mettere in atto delle strategie volte a modificare il comportamento e conseguentemente i fattori del contesto. Lo studioso Lovaas ha poi ulteriormente affinato questo metodo elaborando il Discrete Trial Training (DTT) o Insegnamento a sessioni separate, che prevede che le competenze da apprendere siano suddivise in sequenze di sotto-obiettivi. Si devono tenere in considerazione 3 componenti: l’istruzione, la risposta e la conseguenza. Il metodo è incentrato sul coinvolgimento della famiglia, ma anche degli insegnanti, dei compagni di scuola, e delle varie figure di riferimento. L’obiettivo è essenzialmente quello di incrementare la socialità, ridurre comportamenti problematici, attraverso procedure particolari. L’intervento si struttura sul “ comportamento problema”, di qualunque tipo esso sia, che può compromettere, ostacolare e inibire le possibilità di apprendimento . L’analisi di questi tipi di comportamenti richiede un lavoro di tipo quantitativo e qualitativo che si basa sull’Analisi Funzionale (modello ABC). Vengono presi in considerazione, in particolare, gli antecedenti, il comportamento, le conseguenze e il contesto. L’obiettivo fondamentale è quello di individuare la reale funzione di quel comportamento, e ciò avviene attraverso l’osservazione. Così sarà poi possibile impostare l’intervento più adatto che potrà essere di tipo positivo-sostitutivo o positivo-punitivo. Procedure di intervento mirate sono poi in timeout, il costo della risposta, l’ipercorrezione, il blocco fisico.
    Tra le strategie educative tipiche dell’approccio ABA abbiamo la Task analysis, uso degli aiuti, tecniche di “ prompting” e “fading”, apprendimento senza errori, uso di modelli competenti, uso di rinforzi positivi, uso dello Shaping e del Chaining.
    Tra gli interventi psicoeducativi più importanti abbiamo quelli relativi alle abilità cognitive e meta cognitive, quelli relativi allo sviluppo dell’intersoggettività e abilità sociali, quelli diretti al gioco, quelli tesi a sviluppare le abilità scolastiche in classe, e infine interventi psicoeducativi sulla sessualità.


    IL GRUPPO è FORMATO DA ROSA RAPACCIUOLO & CINZIA MARINIELLO

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    Messaggio  cinziamariniello Ven Feb 03, 2012 10:35 am

    Per quanto riguarda il disturbo autistico esistono diversi metodi e tecniche psicoeducative abilitative e riabilitative basate su diversi indirizzi ovvero su dinamiche relative alla psicologia dello sviluppo, sulla strutturazione dell’ambiente su base visiva, sulla comunicazione alternativa/aumentativa e infine sull’analisi comportamentale.
    Per quel che concerne le metodologie basate sulla psicologia dello sviluppo l’obiettivo è di tipo socio-comunicativo (es. lo sguardo per focalizzare l’attenzione). Tra le diverse metodologie quelle che hanno avuto maggiore diffusione nel nostro Paese sono il DIR/Floortime di Greenspan e il Metodo Denver. Ciò che accomuna queste tecniche è il fatto di mettere al centro dell’intervento il bambino con le sue curiosità, i suoi interessi e i suoi desideri. L’approccio educativo cambia in base alle esigenze di quel determinato bambino, in quel contesto, in quel particolare momento storico.
    Per quanto riguarda l’AERC (Attivazione Emotiva con Reciprocità Corporea) il suo vantaggio più grande di questa tecnica è quello di mettere al centro dell’intervento terapeutico la reciprocità. Infatti gli studi basati su questo metodo ritengono fondamentale per le nostre azioni la motivazione, sia interna che esterna, in tutti i contesti in cui una persona vive. Essa fa riferimento ai 4 “perché” dell’etologia che definiscono un comportamento ovvero il suo scopo, la sua storia , il sistema motivazionale e infine la sua storia filogenetica. Fondamentale per questo tipo di approccio è il rapporto faccia a faccia per avviare una comunicazione verbale (avvolte pressoché assente nei bambini autistici) come inizio per uno sviluppo completo dell’intersoggettività. I bambini con DSA soffrono spesso di evitamento visivo, uditivo e tattile, in questo senso giochi fisici possono contribuire a creare una buona sintonia emotiva fra adulto e bambino che potranno rappresentare una buona base di partenza per iniziare attività di tipo collaborativo. Un intervento di questo tipo deve avvenire in famiglia perché è in questo ambito che le modalità affiliative hanno maggior potere oltre che riscontro. Questi interventi andranno condotti anche nel contesto scolastico, tra i coetanei, in piccolo gruppo, per far acquisire al bambino con DSA i primi rudimenti della socialità.
    Per quanto riguarda il modello di educazione strutturata quello che ha avuto maggiore sviluppo è sicuramente il TEACCH, ideato dall’Università del Noth Carolina, un programma la cui validità è riconosciuta in tutto il mondo e che tiene conto di tutte le risorse che girano intorno a un bambino con DSA, dalla famiglia alla scuola. Gli interventi sono realizzati in diversi ambiti, dal lavoro individuale (teso a creare un ambiente empatico e sereno), alle attività, dal lavoro in piccolo gruppo, dalla rete dei servizi, agli interventi in ambito familiare e scolastico. Per quanto riguarda la sfera comunicativa, che è una delle più compromesse, per i bambini affetti da DSA uno degli interventi di maggiore efficacia è sicuramente quello della Comunicazione Aumentativa e Alternativa. Il termine “aumentativa” indica l’uso di strumenti e tecniche che cercano di sviluppare, appunto aumentare il linguaggio del soggetto. Questa modalità riguarda sia il soggetto autistico che il partner comunicativo di riferimento che avrà così modo di farsi comprendere meglio. Il termine “alternativa” si riferisce all’uso di altri codici in sostituzione del linguaggio, che è il principale. Questa metodologia si serve di mezzi di tipo iconografico come foto, disegni ecc.; viene chiamata anche CAA assistita, per distinguerla da quella non assistita dove ci si serve solo del corpo. Possiamo inoltre distinguere tra CAA senza tecnologia, a bassa tecnologia, e ad alta tecnologia. Il metodo CAA dovrebbe partire da una valutazione funzionale delle abilità del soggetto per capire quali sono gli strumenti più adatti in quel momento, per quel soggetto. Nella CAA, per essere efficace, devono essere coinvolti tutti gli ambiti in cui il soggetto si trova a vivere (scuola, famiglia), e in questo senso la CAA rappresenta una concreta applicazione dei principi dell’ICF che mette in risalto il ruolo che hanno i fattori ambientali al fine dell’integrazione della persona disabile.
    Per quanto riguarda gli interventi psicoeducativi quello più importante è forse l’Applied Behavior Analysis (ABA) che utilizza i dati emersi dall’analisi del comportamento per capire il rapporto che intercorre tra i vari comportamenti e le condizioni esterne, cercando di formulare ipotesi sul perché un dato comportamento si verifica, al fine di mettere in atto delle strategie volte a modificare il comportamento e conseguentemente i fattori del contesto. Lo studioso Lovaas ha poi ulteriormente affinato questo metodo elaborando il Discrete Trial Training (DTT) o Insegnamento a sessioni separate, che prevede che le competenze da apprendere siano suddivise in sequenze di sotto-obiettivi. Si devono tenere in considerazione 3 componenti: l’istruzione, la risposta e la conseguenza. Il metodo è incentrato sul coinvolgimento della famiglia, ma anche degli insegnanti, dei compagni di scuola, e delle varie figure di riferimento. L’obiettivo è essenzialmente quello di incrementare la socialità, ridurre comportamenti problematici, attraverso procedure particolari. L’intervento si struttura sul “ comportamento problema”, di qualunque tipo esso sia, che può compromettere, ostacolare e inibire le possibilità di apprendimento . L’analisi di questi tipi di comportamenti richiede un lavoro di tipo quantitativo e qualitativo che si basa sull’Analisi Funzionale (modello ABC). Vengono presi in considerazione, in particolare, gli antecedenti, il comportamento, le conseguenze e il contesto. L’obiettivo fondamentale è quello di individuare la reale funzione di quel comportamento, e ciò avviene attraverso l’osservazione. Così sarà poi possibile impostare l’intervento più adatto che potrà essere di tipo positivo-sostitutivo o positivo-punitivo. Procedure di intervento mirate sono poi in timeout, il costo della risposta, l’ipercorrezione, il blocco fisico.
    Tra le strategie educative tipiche dell’approccio ABA abbiamo la Task analysis, uso degli aiuti, tecniche di “ prompting” e “fading”, apprendimento senza errori, uso di modelli competenti, uso di rinforzi positivi, uso dello Shaping e del Chaining.
    Tra gli interventi psicoeducativi più importanti abbiamo quelli relativi alle abilità cognitive e meta cognitive, quelli relativi allo sviluppo dell’intersoggettività e abilità sociali, quelli diretti al gioco, quelli tesi a sviluppare le abilità scolastiche in classe, e infine interventi psicoeducativi sulla sessualità.

    IL Gruppo è formato da CINZIA MARINIELLO & ROSA RAPACCIUOLO
    Il lavoro è molto ben fatto.
    Le richieste dell'esercizio sono state esaurite.
    La sintesi è significativa e arricchita dal confronto teorico.
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    Messaggio  Federica.Tortorelli Ven Feb 03, 2012 12:10 pm

    Il gruppo è composto da Federica Tortorelli e Maria Guerra.
    Il testo da noi scelto è: "Facciamo il punto sull'autismo" Capitolo 1 "Le cause dell'autismo e le sue basi biologiche, lo screening precoce, la diagnosi."

    Per autismo s’intende un disturbo pervasivo dello sviluppo che impedisce il normale sviluppo del cervello comportando una compromissione qualitativa dell’interazione sociale, una compromissione qualitativa della comunicazione e compromettendo la modalità di comportamento, interessi e attività ristretti, ripetitivi e stereotipati.
    L'autismo è un grave disturbo, perché pur accompagnandosi ad un aspetto fisico normale, è un handicap che coinvolge diverse funzioni cerebrali e perdura per tutta la vita. Questo viene considerato dalla comunità scientifica internazionale (classificazione ICD 10 dell'OMS e DSM IV) un disturbo pervasivo dello sviluppo, e si manifesta entro il terzo anno di età con deficit nelle seguenti aree:
    - comunicazione;
    - interazione sociale;
    - immaginazione.
    Questi tre sintomi costituiscono la Triade Sintomatologica.
    L'autismo non ha una singola causa: molteplici geni e fattori ambientali, come virus o sostanze chimiche, possono contribuire a determinare il disturbo autistico.
    La componente genetica è una tra le principali cause. Si tratta di differenti combinazioni genetiche che chiamano in causa più di dieci geni. Importante è anche l’età dei genitori che incide sul disturbo autistico, tre volte più frequente se il padre ha più di 40 anni e la madre più di 35 anni. Nonostante i progressi nelle conoscenze, non si è ancora in grado di prevedere i rischi di un disturbo autistico.
    L'autismo è talvolta associato a disturbi neurologici aspecifici, come l'epilessia, o specifici, come la sindrome dell’ X Fragile, la sclerosi tuberosa, la sindrome di Rett o la sindrome di Down. Le altre cause che influiscono, in percentuale minore, su tale disturbo sono infezioni intrauterine o intossicazioni da talidomide soprattutto fra la ventesima e la ventiquattresima settimana di gravidanza, o conseguenti all’uso di farmaci anticonvulsivi.
    L’unica causa evidente che l’autismo possa essere indotto per via relazionale riguarda situazioni di estrema deprivazione a esordio precocissimo, riferibili a bambini tenuti in istituto dalla nascita o poco dopo in un contesto di estrema carenza sia di rapporti umani sia di igiene.
    Le basi neurobiologiche sono state investigate sia con lo studio microscopico del cervello sia con gli esami radiografici. In uno studio del 2005, Bauman e Kemper hanno rilevato in tutte le età una diminuzione delle cellule Purkinje e una maggiore densità cellulare nell’amigdala, nell’ippocampo e nella corteccia entorinare con cellule a struttura semplificata. Viceversa, nei nuclei del cervelletto, le alterazioni erano diverse col variare dell’età: numerosi neuroni anormalmente larghi nei bambini, pochi neuroni piccoli e pallidi negli adulti. Questo fa pensare che la neuropatologia dell’autismo abbia una sua evoluzione nel tempo. L’elettroencefalogramma (EEG) è un altro metodo per valutare la presenza di alterazioni nel cervello. Negli studi di questo metodo le anomalie rilevate sono circa del 90%.
    Il Neurofeedback (EEG biofeedback) è un trattamento che si è rivelato molto vantaggioso per un vasto numero di sintomi della sfera dello spettro autistico. Negli ultimi anni, grazie al rapido sviluppo tecnologico, è stato possibile effettuare una serie di sperimentazioni cliniche sul neurofeedback nell’autismo, con ottimi risultati e benefici che riguardano: crisi epilettiche, iperattività, problemi dell’attenzione, ansietà, capacità di elaborare le informazioni, disordini del sonno e comportamenti ossessivo-compulsivi.
    L’autismo, per molti studiosi, è una grave deficit che colpisce i bambini autistici nella prima infanzia e dura per tutta la vita. La caratteristica più evidente è l’isolamento: non prendono in considerazione gli altri, non guardano i genitori, i coetanei o i vicini; non interagiscono con il mondo esterno e sono troppo sensibili agli stimoli esterni, quindi, stanno completamente fuori dalla società. Non dicono nessuna parola, non comunicano e non hanno niente da esprimere; soddisfano i loro bisogni primari perché non ne hanno altri.
    I bambini autistici, inoltre, hanno spesso risposte anomale ai suoni, al tatto o ad altri stimoli sensoriali e una ridotta sensibilità al dolore, che può contribuire a determinare sintomi comportamentali aggressivi, come la resistenza ad essere abbracciati. Personalmente, l’unica volta che siamo state a contatto con un bambino autistico, è stato durante l’esperienza di tirocinio della prima annualità della didattica aggiuntiva. In questa occasione, trattandosi di una forma di autismo abbastanza grave, abbiamo avuto modo di riscontrare quelli che sono i tratti caratteristici di questo fenomeno: contatto affettivo e fisico quasi assente, capacità verbale ridotta a vocalizzi, stereotipie e manierismi. D’altro canto, è anche però vero che ogni caso di autismo è un caso a sé, con le proprie particolarità e le proprie eccezioni. Ci siamo ritrovate ad affrontare questa situazione per noi nuova, senza avere alcuna preparazione, anche perché il percorso di tirocinio ha inadeguatamente preceduto l’inizio delle lezioni teoriche riguardanti il sostegno.
    L’identificazione precoce dell’autismo rappresenta una sfida importante poiché apre delle possibilità di presa a carico ad un’età dove alcuni processi di sviluppo possono ancora venire modificati. Le ricerche che valutano gli effetti di un intervento precoce mostrano che i bambini beneficiari di tali interventi presentano dei progressi significativi sul piano cognitivo, emotivo e sociale. Si riscontra, presso i bambini, un’accelerazione del ritmo di sviluppo con una crescita del quoziente d’intelligenza (QI), dei progressi nel linguaggio, un miglioramento dei comportamenti e una diminuzione dei sintomi del disturbo autistico. Questi progressi sopravvengono in 1 o 2 anni d’intervento precoce e intensivo, e la maggioranza dei bambini presi a carico (73 %) accede ad un linguaggio funzionale alla fine del periodo d’intervento (in generale attorno ai 5 anni). I benefici del trattamento rimangono costanti in seguito.
    La diagnosi dovrebbe essere posta verso i due anni di età attraverso l’osservazione dei comportamenti precedentemente citati. Il processo della formulazione della diagnosi può richiedere tempi distesi e una collaborazione tra operatori sanitari, familiari e scuola dell’infanzia o nido. La diagnosi clinica e la diagnosi funzionale sono due atti distinti, con finalità ben diverse, dato che la prima ha lo scopo operativo di certificare il disturbo autistico che ha l'allievo in questione e il suo diritto agli interventi previsti dalla legge 104/92; mentre la seconda, particolarmente analitica ed utile per la famiglia, la Scuola e l'Ente locale, richiede anche approfondimenti valutativi degli aspetti rilevanti per l'integrazione scolastica. Nonostante ciò è diffusa in Italia, da parte di alcuni operatori delle ASL una notevole "frettolosità" nella compilazione della diagnosi funzionale e soprattutto una scarsa attenzione a ciò che è rilevante per l'integrazione scolastica. Si considera tale fatto come molto grave.
    Tocca ai genitori affrontare la realtà, contattando i vari professionisti che conoscono meglio “il problema personale di un bambino autistico”. Naturalmente il fanciullo continuerà ad avere gli stessi problemi, ma almeno sapranno la diagnosi del proprio bambino.
    Il bambino inizialmente verrà educato dalla famiglia e dalle istituzioni sociosanitarie competenti, per poi essere affidato all’insegnante di sostegno e, in alcuni casi, qualora richiesto, all’educatrice, la quale riveste, come l’insegnante di sostegno, un ruolo fondamentale.
    La figura dell’Insegnante di Sostegno è nata come docente “specialista”, distinto dagli altri insegnanti curricolari. Soltanto recentemente si è capita l’effettiva importanza di questi insegnanti, che rappresentano una risorsa non solo per il singolo bambino con deficit, ma per l’intera classe. Con l’introduzione di questa figura si è tentato, infatti, di dare una prima risposta ai problemi legati all’integrazione di studenti con handicap o in condizione di svantaggio culturale. L’Insegnante di Sostegno cura e coordina gli interventi volti alla socializzazione, alla formazione e qualificazione e all’inserimento lavorativo di persone con disabilità e in stato o a rischio di emarginazione sociale e culturale. Egli collabora attivamente, assieme all’équipe dei docenti, alla predisposizione del Piano Educativo Individualizzato sancito nella Legge quadro sull’handicap, finalizzato a garantire le linee di continuità educativa.
    Le terapie o gli interventi vengono scelti in base ai sintomi individuali. Le terapie meglio studiate comprendono interventi educativi/comportamentali in ambiente strutturato adattato alle difficoltà specifiche dell'autismo e farmacologici. Sebbene questi interventi non curino l'autismo, spesso portano ad un miglioramento sostanziale. Una tecnica, da noi ritenuta importante, è indubbiamente il TEACCH. La divisione Teacch mosse i suoi primi passi nel 1966 ad opera dello psichiatra Eric Schopler e collaboratori presso il Dipartimento di Psichiatria della Facoltà di Medicina, a Chapell Hill, nel North Carolina. Il Teacch può essere considerato come il sistema di interventi che comprende attività di ricerca, formazione ed un’organizzazione di servizi che prevede interventi lungo tutto il corso della vita delle persone colpite da Autismo e più in generale da Disturbi Generalizzati dello Sviluppo. Questa tecnica si propone di modificare l’ambiente in funzione delle esigenze individuali; sviluppare al massimo grado le autonomie del soggetto autistico; migliorare la qualità di vita del bambino e dei suoi familiari.
    Il compito della scuola consiste nel costruire, insieme ai suoi studenti, percorsi di apprendimento formale e informale fuori e dentro ad essa capaci di favorire lo sviluppo di un progetto e percorso di vita che aiuti a realizzare lo statuto di persona adulta anche se persona con disabilità o abilità differenti. La scuola deve proiettare il suo sguardo e il suo intervento verso il bambino che diventerà adulto. Quindi, la scuola dovrà pensare al progetto di vita per questo bambino con le proprie peculiarità e sviluppare e potenziare le sue autonomie. La scuola deve sicuramente perseguire, anche per l’allievo con autismo, la finalità del promuovere processi di apprendimento significativi. Per tale scopo deve necessariamente fare riferimento a una didattica speciale di qualità, che si fondi sulle conoscenze disponibili circa l’efficacia di vari modelli di intervento, ma che non si fermi ad essi.
    Come future insegnanti di sostegno, aspireremo a dare sempre il nostro meglio per la nuova generazione e ad utilizzare quanto appreso in questi due anni di didattica aggiuntiva.

    Lavoro molto ben strutturato,
    le richieste dell'esercizio sono state esaurite e superate
    la sintesi è arricchita da una veste critica e da un confronto coerente con il quadro teorico.
    Il lavoro si presenta personalizzato e ricco di suggestioni.
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    Messaggio  Maria Guerra Ven Feb 03, 2012 12:12 pm

    Il gruppo è composto da Federica Tortorelli e Maria Guerra.
    Il testo da noi scelto è: "Facciamo il punto sull'autismo" Capitolo 1 "Le cause dell'autismo e le sue basi biologiche, lo screening precoce, la diagnosi."

    Per autismo s’intende un disturbo pervasivo dello sviluppo che impedisce il normale sviluppo del cervello comportando una compromissione qualitativa dell’interazione sociale, una compromissione qualitativa della comunicazione e compromettendo la modalità di comportamento, interessi e attività ristretti, ripetitivi e stereotipati.
    L'autismo è un grave disturbo, perché pur accompagnandosi ad un aspetto fisico normale, è un handicap che coinvolge diverse funzioni cerebrali e perdura per tutta la vita. Questo viene considerato dalla comunità scientifica internazionale (classificazione ICD 10 dell'OMS e DSM IV) un disturbo pervasivo dello sviluppo, e si manifesta entro il terzo anno di età con deficit nelle seguenti aree:
    - comunicazione;
    - interazione sociale;
    - immaginazione.
    Questi tre sintomi costituiscono la Triade Sintomatologica.
    L'autismo non ha una singola causa: molteplici geni e fattori ambientali, come virus o sostanze chimiche, possono contribuire a determinare il disturbo autistico.
    La componente genetica è una tra le principali cause. Si tratta di differenti combinazioni genetiche che chiamano in causa più di dieci geni. Importante è anche l’età dei genitori che incide sul disturbo autistico, tre volte più frequente se il padre ha più di 40 anni e la madre più di 35 anni. Nonostante i progressi nelle conoscenze, non si è ancora in grado di prevedere i rischi di un disturbo autistico.
    L'autismo è talvolta associato a disturbi neurologici aspecifici, come l'epilessia, o specifici, come la sindrome dell’ X Fragile, la sclerosi tuberosa, la sindrome di Rett o la sindrome di Down. Le altre cause che influiscono, in percentuale minore, su tale disturbo sono infezioni intrauterine o intossicazioni da talidomide soprattutto fra la ventesima e la ventiquattresima settimana di gravidanza, o conseguenti all’uso di farmaci anticonvulsivi.
    L’unica causa evidente che l’autismo possa essere indotto per via relazionale riguarda situazioni di estrema deprivazione a esordio precocissimo, riferibili a bambini tenuti in istituto dalla nascita o poco dopo in un contesto di estrema carenza sia di rapporti umani sia di igiene.
    Le basi neurobiologiche sono state investigate sia con lo studio microscopico del cervello sia con gli esami radiografici. In uno studio del 2005, Bauman e Kemper hanno rilevato in tutte le età una diminuzione delle cellule Purkinje e una maggiore densità cellulare nell’amigdala, nell’ippocampo e nella corteccia entorinare con cellule a struttura semplificata. Viceversa, nei nuclei del cervelletto, le alterazioni erano diverse col variare dell’età: numerosi neuroni anormalmente larghi nei bambini, pochi neuroni piccoli e pallidi negli adulti. Questo fa pensare che la neuropatologia dell’autismo abbia una sua evoluzione nel tempo. L’elettroencefalogramma (EEG) è un altro metodo per valutare la presenza di alterazioni nel cervello. Negli studi di questo metodo le anomalie rilevate sono circa del 90%.
    Il Neurofeedback (EEG biofeedback) è un trattamento che si è rivelato molto vantaggioso per un vasto numero di sintomi della sfera dello spettro autistico. Negli ultimi anni, grazie al rapido sviluppo tecnologico, è stato possibile effettuare una serie di sperimentazioni cliniche sul neurofeedback nell’autismo, con ottimi risultati e benefici che riguardano: crisi epilettiche, iperattività, problemi dell’attenzione, ansietà, capacità di elaborare le informazioni, disordini del sonno e comportamenti ossessivo-compulsivi.
    L’autismo, per molti studiosi, è una grave deficit che colpisce i bambini autistici nella prima infanzia e dura per tutta la vita. La caratteristica più evidente è l’isolamento: non prendono in considerazione gli altri, non guardano i genitori, i coetanei o i vicini; non interagiscono con il mondo esterno e sono troppo sensibili agli stimoli esterni, quindi, stanno completamente fuori dalla società. Non dicono nessuna parola, non comunicano e non hanno niente da esprimere; soddisfano i loro bisogni primari perché non ne hanno altri.
    I bambini autistici, inoltre, hanno spesso risposte anomale ai suoni, al tatto o ad altri stimoli sensoriali e una ridotta sensibilità al dolore, che può contribuire a determinare sintomi comportamentali aggressivi, come la resistenza ad essere abbracciati. Personalmente, l’unica volta che siamo state a contatto con un bambino autistico, è stato durante l’esperienza di tirocinio della prima annualità della didattica aggiuntiva. In questa occasione, trattandosi di una forma di autismo abbastanza grave, abbiamo avuto modo di riscontrare quelli che sono i tratti caratteristici di questo fenomeno: contatto affettivo e fisico quasi assente, capacità verbale ridotta a vocalizzi, stereotipie e manierismi. D’altro canto, è anche però vero che ogni caso di autismo è un caso a sé, con le proprie particolarità e le proprie eccezioni. Ci siamo ritrovate ad affrontare questa situazione per noi nuova, senza avere alcuna preparazione, anche perché il percorso di tirocinio ha inadeguatamente preceduto l’inizio delle lezioni teoriche riguardanti il sostegno.
    L’identificazione precoce dell’autismo rappresenta una sfida importante poiché apre delle possibilità di presa a carico ad un’età dove alcuni processi di sviluppo possono ancora venire modificati. Le ricerche che valutano gli effetti di un intervento precoce mostrano che i bambini beneficiari di tali interventi presentano dei progressi significativi sul piano cognitivo, emotivo e sociale. Si riscontra, presso i bambini, un’accelerazione del ritmo di sviluppo con una crescita del quoziente d’intelligenza (QI), dei progressi nel linguaggio, un miglioramento dei comportamenti e una diminuzione dei sintomi del disturbo autistico. Questi progressi sopravvengono in 1 o 2 anni d’intervento precoce e intensivo, e la maggioranza dei bambini presi a carico (73 %) accede ad un linguaggio funzionale alla fine del periodo d’intervento (in generale attorno ai 5 anni). I benefici del trattamento rimangono costanti in seguito.
    La diagnosi dovrebbe essere posta verso i due anni di età attraverso l’osservazione dei comportamenti precedentemente citati. Il processo della formulazione della diagnosi può richiedere tempi distesi e una collaborazione tra operatori sanitari, familiari e scuola dell’infanzia o nido. La diagnosi clinica e la diagnosi funzionale sono due atti distinti, con finalità ben diverse, dato che la prima ha lo scopo operativo di certificare il disturbo autistico che ha l'allievo in questione e il suo diritto agli interventi previsti dalla legge 104/92; mentre la seconda, particolarmente analitica ed utile per la famiglia, la Scuola e l'Ente locale, richiede anche approfondimenti valutativi degli aspetti rilevanti per l'integrazione scolastica. Nonostante ciò è diffusa in Italia, da parte di alcuni operatori delle ASL una notevole "frettolosità" nella compilazione della diagnosi funzionale e soprattutto una scarsa attenzione a ciò che è rilevante per l'integrazione scolastica. Si considera tale fatto come molto grave.
    Tocca ai genitori affrontare la realtà, contattando i vari professionisti che conoscono meglio “il problema personale di un bambino autistico”. Naturalmente il fanciullo continuerà ad avere gli stessi problemi, ma almeno sapranno la diagnosi del proprio bambino.
    Il bambino inizialmente verrà educato dalla famiglia e dalle istituzioni sociosanitarie competenti, per poi essere affidato all’insegnante di sostegno e, in alcuni casi, qualora richiesto, all’educatrice, la quale riveste, come l’insegnante di sostegno, un ruolo fondamentale.
    La figura dell’Insegnante di Sostegno è nata come docente “specialista”, distinto dagli altri insegnanti curricolari. Soltanto recentemente si è capita l’effettiva importanza di questi insegnanti, che rappresentano una risorsa non solo per il singolo bambino con deficit, ma per l’intera classe. Con l’introduzione di questa figura si è tentato, infatti, di dare una prima risposta ai problemi legati all’integrazione di studenti con handicap o in condizione di svantaggio culturale. L’Insegnante di Sostegno cura e coordina gli interventi volti alla socializzazione, alla formazione e qualificazione e all’inserimento lavorativo di persone con disabilità e in stato o a rischio di emarginazione sociale e culturale. Egli collabora attivamente, assieme all’équipe dei docenti, alla predisposizione del Piano Educativo Individualizzato sancito nella Legge quadro sull’handicap, finalizzato a garantire le linee di continuità educativa.
    Le terapie o gli interventi vengono scelti in base ai sintomi individuali. Le terapie meglio studiate comprendono interventi educativi/comportamentali in ambiente strutturato adattato alle difficoltà specifiche dell'autismo e farmacologici. Sebbene questi interventi non curino l'autismo, spesso portano ad un miglioramento sostanziale. Una tecnica, da noi ritenuta importante, è indubbiamente il TEACCH. La divisione Teacch mosse i suoi primi passi nel 1966 ad opera dello psichiatra Eric Schopler e collaboratori presso il Dipartimento di Psichiatria della Facoltà di Medicina, a Chapell Hill, nel North Carolina. Il Teacch può essere considerato come il sistema di interventi che comprende attività di ricerca, formazione ed un’organizzazione di servizi che prevede interventi lungo tutto il corso della vita delle persone colpite da Autismo e più in generale da Disturbi Generalizzati dello Sviluppo. Questa tecnica si propone di modificare l’ambiente in funzione delle esigenze individuali; sviluppare al massimo grado le autonomie del soggetto autistico; migliorare la qualità di vita del bambino e dei suoi familiari.
    Il compito della scuola consiste nel costruire, insieme ai suoi studenti, percorsi di apprendimento formale e informale fuori e dentro ad essa capaci di favorire lo sviluppo di un progetto e percorso di vita che aiuti a realizzare lo statuto di persona adulta anche se persona con disabilità o abilità differenti. La scuola deve proiettare il suo sguardo e il suo intervento verso il bambino che diventerà adulto. Quindi, la scuola dovrà pensare al progetto di vita per questo bambino con le proprie peculiarità e sviluppare e potenziare le sue autonomie. La scuola deve sicuramente perseguire, anche per l’allievo con autismo, la finalità del promuovere processi di apprendimento significativi. Per tale scopo deve necessariamente fare riferimento a una didattica speciale di qualità, che si fondi sulle conoscenze disponibili circa l’efficacia di vari modelli di intervento, ma che non si fermi ad essi.
    Come future insegnanti di sostegno, aspireremo a dare sempre il nostro meglio per la nuova generazione e ad utilizzare quanto appreso in questi due anni di didattica aggiuntiva.

    Lavoro molto ben strutturato,
    le richieste dell'esercizio sono state esaurite e superate
    la sintesi è arricchita da una veste critica e da un confronto coerente con il quadro teorico.
    Il lavoro si presenta personalizzato e ricco di suggestioni.
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    Messaggio  8FEDERICADICARLUCCIO87 Ven Feb 03, 2012 1:18 pm

    Evoluzione dei disturbi dello spettro autistico. I bambini che escono dall'autismo (off autism)

    Considerando l'eterogeneità e la complessità dei quadri clinici che si configurano all'interno dei Disturbi Pervasivi dello Sviluppo, risulta evidente che non esiste LA terapia dell'Autismo. Esistono una serie di possibilità terapeutiche che vanno di volta in volta considerate e selezionate per rispondere ai bisogni specifici di un dato bambino in una determinata fase di sviluppo. Il concetto fondamentale da tenere in considerazione è che, determinate proposte terapeutiche, valide per un determinato bambino, possono non essere altrettanto valide per un altro;così come determinate proposte valide per un bambino, in una determinata fase del suo sviluppo, possono non essere più valide in un'altra fase. Le proposte terapeutiche attualmente disponibili sono di diverso tipo: terapie farmacologiche, interventi abilitativi, interventi psicopedagogici, interventi psicoterapeutici, interventi comportamentali. Per quanto riguarda l'evoluzione a lungo termine , non esistono dati sufficientemente attendibili. Ciò dipende dall' eterogeneità delle casistiche messe a confronto; un'eterogeneità che riguarda la terminologia e la metodologia. Tenendo conto di queste limitazioni, varie ricerche avrebbero messo in evidenza che una percentuale variabile dal 61% al 73% dei casi presenta una prognosi severa, per l'incapacità di acquisire le competenze minime per un adattamento sociale. In una percentuale variabile dal 5% al 17% dei casi, è descritta un'evoluzione soddisfacente con un'adeguata integrazione sociale, nonostante la persistenza di comportamenti bizzarri e modalità relazionali tendenti all'isolamento. Viene descritta,infine, per un numero limitato di casi la possibilità di una “guarigione”. L'evoluzione dipende da vari fattori, quali: il livello cognitivo(la prognosi è decisamente migliore nei soggetti con Quoziente intellettivo più elevato), la presenza di condizioni patologiche associate, l'espressività della sintomatologia autistica ( i soggetti che fin dalle prime fasi di sviluppo presentano una chiusura molto accentuata,presentano un'evoluzione peggiore). Le diverse indagini effettuate sembrano concordare sul fatto che i fattori con maggiore significato predittivo sono il livello cognitivo e lo sviluppo linguistico.
    Lorna Wing nel 1986 descrive la prognosi dei bambini autistici che non si discosta molto da quella descritta da Kanner nel 1943: il 5-10% dei soggetti diverrebbe autosufficiente;
    il 25-30% avrebbe bisogno di una supervisione per tutta la vita;
    per il 60-70% si imporrebbe l'istituzionalizzazione a causa della totale dipendenza degli altri.
    L'intervento precoce e intensivo che coinvolge le funzioni comunicative, cognitive, ed emotive, ha dimostrato un significativo incremento in questi soggetti del linguaggio e delle capacità cognitive e una significativa remissione dei sintomi.
    L’autismo resta una condizione cronica per i bambini, ma le prospettive di oggi sono superiori a quelle di una generazione fa. A quel tempo, la maggior parte delle persone con autismo restavano collocate negli istituti. Oggi, con la giusta terapia, molti dei sintomi dell’autismo possono essere migliorati, anche se la maggior parte delle persone avrà alcuni sintomi per tutta la vita. La maggior parte delle persone con autismo sono in grado di vivere con le loro famiglie o in comunità. Le prospettive dipendono dalla gravità dell’autismo e dal livello di terapia che la persona riceve. Possibili complicazioni sono disturbi associati al cervello come: sindrome dell’ X-fragile; ritardo mentale; sclerosi tuberosa; convulsioni.

    Uno studio britannico del 2004 svolto su 68 adulti, a cui prima del 1980 è stato diagnosticato l'autismo con QI superiore a 50, ha rilevato che il 12% ha raggiunto un alto livello di indipendenza come adulti, il 10% ha alcuni amici e, in genere, lavorano, ma hanno bisogno di un sostegno, il 19% ha una certa indipendenza, vivono a casa e hanno bisogno di un notevole sostegno e supervisione nella vita quotidiana, il 46% necessita di impianti specializzati in cui ricevono un elevato livello di supporto e hanno un'autonomia molto limitata, e il 12% necessita ad alto livello di cure ospedaliere.

    Uno studio svedese del 2005 su 78 adulti con basso quoziente intellettivo ha avuto una prognosi peggiore, ad esempio, solo il 4% ha raggiunto l'indipendenza.




    Fonti

    R.Militerni, Neuropsichiatria infantile, Idelson-Gnocchi,Napoli,2004
    P. Vio, (a cura di). Autismo,Vannini, Gussago, 2005
    http://www.medicinalive.com/autismo/
    http://www.news-medical.net/health/Autism-Prognosis-(Italian).aspx

    Lavoro sufficiente,
    le richieste dell'esercizio sono state esaurite e
    la sintesi è coerente e significativa.
    Il lavoro è abbastanza personalizzato.
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    ES.n. 1 AUTISMO (chiude 27 febbraio x esami 29 e sessione estiva) - Pagina 16 Empty Re: ES.n. 1 AUTISMO (chiude 27 febbraio x esami 29 e sessione estiva)

    Messaggio  Francesca Pelella Ven Feb 03, 2012 2:57 pm

    Re: ES.n. 1 AUTISMO (chiude 3 febbraio)

    Gruppo formato da: Amitrano Rossana, De Prisco Rita,Di Carluccio Federica, Pelella Francesca
    Dal libro""Facciamo il punto su l'autismo" cap 3
    Evoluzione dei disturbi dello spettro autistico. I bambini che escono dall'autismo (off autism)

    Considerando l'eterogeneità e la complessità dei quadri clinici che si configurano all'interno dei Disturbi Pervasivi dello Sviluppo, risulta evidente che non esiste LA terapia dell'Autismo. Esistono una serie di possibilità terapeutiche che vanno di volta in volta considerate e selezionate per rispondere ai bisogni specifici di un dato bambino in una determinata fase di sviluppo. Il concetto fondamentale da tenere in considerazione è che, determinate proposte terapeutiche, valide per un determinato bambino, possono non essere altrettanto valide per un altro;così come determinate proposte valide per un bambino, in una determinata fase del suo sviluppo, possono non essere più valide in un'altra fase. Le proposte terapeutiche attualmente disponibili sono di diverso tipo: terapie farmacologiche, interventi abilitativi, interventi psicopedagogici, interventi psicoterapeutici, interventi comportamentali. Per quanto riguarda l'evoluzione a lungo termine , non esistono dati sufficientemente attendibili. Ciò dipende dall' eterogeneità delle casistiche messe a confronto; un'eterogeneità che riguarda la terminologia e la metodologia. Tenendo conto di queste limitazioni, varie ricerche avrebbero messo in evidenza che una percentuale variabile dal 61% al 73% dei casi presenta una prognosi severa, per l'incapacità di acquisire le competenze minime per un adattamento sociale. In una percentuale variabile dal 5% al 17% dei casi, è descritta un'evoluzione soddisfacente con un'adeguata integrazione sociale, nonostante la persistenza di comportamenti bizzarri e modalità relazionali tendenti all'isolamento. Viene descritta,infine, per un numero limitato di casi la possibilità di una “guarigione”. L'evoluzione dipende da vari fattori, quali: il livello cognitivo(la prognosi è decisamente migliore nei soggetti con Quoziente intellettivo più elevato), la presenza di condizioni patologiche associate, l'espressività della sintomatologia autistica ( i soggetti che fin dalle prime fasi di sviluppo presentano una chiusura molto accentuata,presentano un'evoluzione peggiore). Le diverse indagini effettuate sembrano concordare sul fatto che i fattori con maggiore significato predittivo sono il livello cognitivo e lo sviluppo linguistico.
    Lorna Wing nel 1986 descrive la prognosi dei bambini autistici che non si discosta molto da quella descritta da Kanner nel 1943: il 5-10% dei soggetti diverrebbe autosufficiente;
    il 25-30% avrebbe bisogno di una supervisione per tutta la vita;
    per il 60-70% si imporrebbe l'istituzionalizzazione a causa della totale dipendenza degli altri.
    L'intervento precoce e intensivo che coinvolge le funzioni comunicative, cognitive, ed emotive, ha dimostrato un significativo incremento in questi soggetti del linguaggio e delle capacità cognitive e una significativa remissione dei sintomi.
    L’autismo resta una condizione cronica per i bambini, ma le prospettive di oggi sono superiori a quelle di una generazione fa. A quel tempo, la maggior parte delle persone con autismo restavano collocate negli istituti. Oggi, con la giusta terapia, molti dei sintomi dell’autismo possono essere migliorati, anche se la maggior parte delle persone avrà alcuni sintomi per tutta la vita. La maggior parte delle persone con autismo sono in grado di vivere con le loro famiglie o in comunità. Le prospettive dipendono dalla gravità dell’autismo e dal livello di terapia che la persona riceve. Possibili complicazioni sono disturbi associati al cervello come: sindrome dell’ X-fragile; ritardo mentale; sclerosi tuberosa; convulsioni.
    Uno studio britannico del 2004 svolto su 68 adulti, a cui prima del 1980 è stato diagnosticato l'autismo con QI superiore a 50, ha rilevato che il 12% ha raggiunto un alto livello di indipendenza come adulti, il 10% ha alcuni amici e, in genere, lavorano, ma hanno bisogno di un sostegno, il 19% ha una certa indipendenza, vivono a casa e hanno bisogno di un notevole sostegno e supervisione nella vita quotidiana, il 46% necessita di impianti specializzati in cui ricevono un elevato livello di supporto e hanno un'autonomia molto limitata, e il 12% necessita ad alto livello di cure ospedaliere.
    Uno studio svedese del 2005 su 78 adulti con basso quoziente intellettivo ha avuto una prognosi peggiore, ad esempio, solo il 4% ha raggiunto l'indipendenza.



    Fonti

    R.Militerni, Neuropsichiatria infantile, Idelson-Gnocchi,Napoli,2004
    P. Vio, (a cura di). Autismo,Vannini, Gussago, 2005
    http://www.medicinalive.com/autismo/
    http://www.news-medical.net/health/Autism-Prognosis-(Italian).aspx

    Lavoro ben fatto,
    le richieste dell'esercizio sono state esaurite e
    la sintesi è coerente e significativa.
    Emergono poco le considerazioni critiche del gruppo.
    È un lavoro personalizzato.
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    ES.n. 1 AUTISMO (chiude 27 febbraio x esami 29 e sessione estiva) - Pagina 16 Empty Re: ES.n. 1 AUTISMO (chiude 27 febbraio x esami 29 e sessione estiva)

    Messaggio  donofriostefania Ven Feb 03, 2012 3:33 pm

    Gruppo:D'Onofrio Stefania,Cacciapuoti Giuseppina,Cacciapuoti Marilena,Arini Stefania
    Capitolo 1 del testo:"Facciamo il punto su l 'Autismo"


    Il nostro lavoro è stato realizzato con l'intento di comprendere maggiormente le cause dell'autismo, consapevoli che solo un'approfondita conoscenza della malattia rende possibile programmare e attuare un intervento efficace nei confronti dei bambini interessati come future insegnanti di sostegno.
    Dagli anni ‘50 fino ad oggi, le ricerche e le scoperte scientifiche effettuate sulla sindrome autistica hanno permesso di giungere ad una classificazione completa e puntuale che comprende tutti i criteri diagnostici e gli aspetti descrittivi che costituiscono il disturbo.Il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM IV, APA,1994) individua come caratteristiche fondamentali del disturbo autistico: la presenza di uno sviluppo decisamente atipico o deficitario dell'interazione sociale e della comunicazione e una grande limitatezza del repertorio di attività. Nelle persone affette da questo disturbo si riscontrano inoltre modalità ripetitive di comportamento che mettono in evidenza una dedizione totale verso uno o più interessi stereotipati. I soggetti autistici possono comportarsi sempre nella medesima maniera e mostrare resistenza o malessere in seguito a cambiamenti anche banali. Alcuni esempi di azioni compiute frequentemente sono: mettere in fila giocattoli sempre nello stesso numero per più e più volte; mimare i gesti di un attore della televisione; avere una reazione esagerata di fronte ad una piccola modifica nell'ambiente casalingo o nell’abituale percorso per recarsi in qualche
    luogo . Per quanto riguarda i movimenti corporei stereotipati messi in atto, i più diffusi sono: battere le mani o schioccare le dita; dondolarsi oppure oscillare. Inoltre possono essere presenti anomalie della postura, come camminare in punta di piedi, o espressioni insolite del corpo. Essendo il livello di interazione sociale fortemente compromesso, le persone autistiche possono essere del tutto indifferenti nei confronti degli altri bambini o dei loro fratelli stessi e possono anche non rendersi conto della sofferenza di chi li circonda.Poichè la comunicazione è assai limitata, le capacità verbali e non verbali di questi soggetti sono profondamente alterate e le strutture grammaticali costituite di vocaboli ripetitivi o allegorici, si va da un totale inutilizzo di ogni forma linguistico comunicativa, ad un utilizzo ridotto e/o bizzarro del linguaggio. Nel disturbo autistico sono spesso assenti il gioco di immaginazione così come altri tipi di divertimenti ancor più semplici tipici dell’infanzia o della prima fanciullezza. Si può quindi parlare di questo disturbo evolutivo quando l'anomalia
    si presenta con ritardo o funzionamento atipico entro i 3 anni di età del soggetto e in almeno una delle seguenti aree: l’interazione sociale; il linguaggio utilizzato per l'interazione sociale; il gioco simbolico o quello di immaginazione .Circa il 75% dei bambini affetti da autismo presenta anche un ritardo cognitivo che va da lieve a grave. Inoltre, l’autismo si presenta molte volte in comorbidità con altre patologie: l’iperattività, lo scarso mantenimento dell'attenzione, l’impulsività, l’aggressività, gli atteggiamenti autolesivi, gli attacchi di rabbia, l’ipersensibilità ai suoni o all'essere toccato, le reazioni esagerate alla luce o agli odori. L’autismo può includere anche alcuni disturbi mentali associati, come per esempio anomalie nello sviluppo delle capacità cognitive, anomalie nell'alimentazione o nel sonno, anomalie dell'umore o dell'affettività, assenza di paura davanti ai pericoli concreti e agitazione smisurata di fronte ad oggetti inoffensivi. Inoltre, accanto a questo disturbo si possono rilevare altre condizioni neurologiche o mediche associate, come per esempio
    l’encefalite, la sclerosi tuberosa, la sindrome dell'X fragile, la rosolia materna.Tali bambini in età infantile possono essere sfavorevoli all'affetto e al contatto fisico, oltre che privi di risposte alle attenzioni dei genitori, tutti segnali che inizialmente potrebbero far pensare alla sordità.Il livello del disturbo autistico è decisamente più alto nei maschi piuttosto che nelle femmine e si stimano da due a cinque casi ogni 10.000 soggetti (APA,2000),anche se secondo ricerche più recenti la prevalenza della sindrome risulta essere molto più elevata. Questa malattia si sviluppa ininterrottamente nel tempo, anche se in età scolare e in adolescenza possono presentarsi miglioramenti in alcune aree, come nell’ambito dell’interazione sociale. Solo una bassa percentuale di soggetti autistici arriva a vivere e a lavorare in modo indipendente nell’età adulta,mentre la stragrande maggioranza di loro seguita a manifestare numerose difficoltà nell'interazione sociale e nella comunicazione, oltre ad avere ben pochi interessi e attività. Tra i fratelli di bambini affetti da questa stessa malattia, è più probabile che si prospetti il rischio di trasmissione di autismo, il cui periodo di regressione di sviluppo è assai grave e prolungato, come è stato già detto. E’necessario effettuare una diagnosi di tale malattia nel caso in cui non siano reperibili dati sullo sviluppo precoce o non sia possibile verificare il periodo di sviluppo normale voluto .E’ importante precisare che il disturbo autistico si differenzia dal disturbo di Asperger, in quanto nel secondo non è presente un ritardo nello sviluppo del linguaggio. Inoltre il disturbo di Asperger non viene diagnosticato là dove i criteri per esaminare il disturbo autistico siano stati soddisfatti. Accade talvolta che non sia affatto semplice stabilire se una nuova diagnosi di disturbo autistico venga dimostrata nel caso di un soggetto affetto da ritardo mentale, specialmente se grave o gravissimo .Per quanto riguarda i parametri diagnostici dell’autismo, questi sono pressoché i medesimi nel DSM-IV così come nell'ICD-10, anche se nel secondo il disturbo è stato denominato “autismo infantile”. A questo proposito, esiste oggi una grandissima confusione in merito alla terminologia con cui il disturbo viene definito. E’ presente anche una categoria di autismo, cosiddetto “regressivo” o“tardivo”, che non fa parte di una classificazione formale ed è legata al blocco psichico del soggetto. Esso si presenta dopo un iniziale sviluppo apparentemente normale del bambino, il quale può possedere anche un buon livello linguistico.Purtroppo però di colpo si assiste ad una regressione del soggetto che si caratterizza per i seguenti aspetti: la difficoltà nel gioco, la difficoltà nelle relazioni interpersonali e le espressioni emotive . Tale disordine classificatorio si può riscontrare anche nella descrizione dei sintomi tipici del disturbo che, spesso troppo generici e indifferenziati, possono essere ricondotti ad altre sindromi molto diverse. Questa situazione ha condotto quindi alcuni ricercatori a sostenere di non intendere più l’autismo come sindrome a sé stante, ma come sintomo autistico o appartenente allo “spettro autistico” .Le varie scuole di pensiero si sono così trovate ad adottare ciascuna una propria scala di valutazione per stimare gli indici di miglioramento più appropriati ad un determinato intervento terapeutico. In particolare, è emerso che l’autismo può essere diagnosticato entro il terzo anno d’età, ma in alcuni casi anche entro i 18 mesi. Altri studi dimostrano ancora come in molti bambini il disturbo possa essere scoperto con esattezza fin dall’età di un anno, o addirittura più precocemente .
    Bibliografia:
    Baron-Cohens(1997),L'autismo e la lettura della mente,Astrolabio-Ubaldini,Roma

    Lavoro molto ben strutturato,
    le richieste dell'esercizio sono state esaurite e superate
    la sintesi è arricchita da una veste critica e da un confronto coerente con il quadro teorico.
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    Messaggio  Pina Cacciapuoti Ven Feb 03, 2012 4:03 pm

    Capitolo 1 "Le cause dell'autismo e le sue basi biologiche,lo screening precoce, la diagnosi", del testo: "Facciamo il punto su l 'Autismo".


    Il nostro lavoro è stato realizzato con l'intento di comprendere maggiormente le cause dell'autismo, consapevoli che solo un'approfondita conoscenza della malattia rende possibile programmare e attuare un intervento efficace nei confronti dei bambini interessati come future insegnanti di sostegno.
    Dagli anni ‘50 fino ad oggi, le ricerche e le scoperte scientifiche effettuate sulla sindrome autistica hanno permesso di giungere ad una classificazione completa e puntuale che comprende tutti i criteri diagnostici e gli aspetti descrittivi che costituiscono il disturbo.Il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM IV, APA,1994) individua come caratteristiche fondamentali del disturbo autistico: la presenza di uno sviluppo decisamente atipico o deficitario dell'interazione sociale e della comunicazione e una grande limitatezza del repertorio di attività. Nelle persone affette da questo disturbo si riscontrano inoltre modalità ripetitive di comportamento che mettono in evidenza una dedizione totale verso uno o più interessi stereotipati. I soggetti autistici possono comportarsi sempre nella medesima maniera e mostrare resistenza o malessere in seguito a cambiamenti anche banali. Alcuni esempi di azioni compiute frequentemente sono: mettere in fila giocattoli sempre nello stesso numero per più e più volte; mimare i gesti di un attore della televisione; avere una reazione esagerata di fronte ad una piccola modifica nell'ambiente casalingo o nell’abituale percorso per recarsi in qualche
    luogo . Per quanto riguarda i movimenti corporei stereotipati messi in atto, i più diffusi sono: battere le mani o schioccare le dita; dondolarsi oppure oscillare. Inoltre possono essere presenti anomalie della postura, come camminare in punta di piedi, o espressioni insolite del corpo. Essendo il livello di interazione sociale fortemente compromesso, le persone autistiche possono essere del tutto indifferenti nei confronti degli altri bambini o dei loro fratelli stessi e possono anche non rendersi conto della sofferenza di chi li circonda.Poichè la comunicazione è assai limitata, le capacità verbali e non verbali di questi soggetti sono profondamente alterate e le strutture grammaticali costituite di vocaboli ripetitivi o allegorici, si va da un totale inutilizzo di ogni forma linguistico comunicativa, ad un utilizzo ridotto e/o bizzarro del linguaggio. Nel disturbo autistico sono spesso assenti il gioco di immaginazione così come altri tipi di divertimenti ancor più semplici tipici dell’infanzia o della prima fanciullezza. Si può quindi parlare di questo disturbo evolutivo quando l'anomalia
    si presenta con ritardo o funzionamento atipico entro i 3 anni di età del soggetto e in almeno una delle seguenti aree: l’interazione sociale; il linguaggio utilizzato per l'interazione sociale; il gioco simbolico o quello di immaginazione .Circa il 75% dei bambini affetti da autismo presenta anche un ritardo cognitivo che va da lieve a grave. Inoltre, l’autismo si presenta molte volte in comorbidità con altre patologie: l’iperattività, lo scarso mantenimento dell'attenzione, l’impulsività, l’aggressività, gli atteggiamenti autolesivi, gli attacchi di rabbia, l’ipersensibilità ai suoni o all'essere toccato, le reazioni esagerate alla luce o agli odori. L’autismo può includere anche alcuni disturbi mentali associati, come per esempio anomalie nello sviluppo delle capacità cognitive, anomalie nell'alimentazione o nel sonno, anomalie dell'umore o dell'affettività, assenza di paura davanti ai pericoli concreti e agitazione smisurata di fronte ad oggetti inoffensivi. Inoltre, accanto a questo disturbo si possono rilevare altre condizioni neurologiche o mediche associate, come per esempio
    l’encefalite, la sclerosi tuberosa, la sindrome dell'X fragile, la rosolia materna.Tali bambini in età infantile possono essere sfavorevoli all'affetto e al contatto fisico, oltre che privi di risposte alle attenzioni dei genitori, tutti segnali che inizialmente potrebbero far pensare alla sordità.Il livello del disturbo autistico è decisamente più alto nei maschi piuttosto che nelle femmine e si stimano da due a cinque casi ogni 10.000 soggetti (APA,2000),anche se secondo ricerche più recenti la prevalenza della sindrome risulta essere molto più elevata. Questa malattia si sviluppa ininterrottamente nel tempo, anche se in età scolare e in adolescenza possono presentarsi miglioramenti in alcune aree, come nell’ambito dell’interazione sociale. Solo una bassa percentuale di soggetti autistici arriva a vivere e a lavorare in modo indipendente nell’età adulta,mentre la stragrande maggioranza di loro seguita a manifestare numerose difficoltà nell'interazione sociale e nella comunicazione, oltre ad avere ben pochi interessi e attività. Tra i fratelli di bambini affetti da questa stessa malattia, è più probabile che si prospetti il rischio di trasmissione di autismo, il cui periodo di regressione di sviluppo è assai grave e prolungato, come è stato già detto. E’necessario effettuare una diagnosi di tale malattia nel caso in cui non siano reperibili dati sullo sviluppo precoce o non sia possibile verificare il periodo di sviluppo normale voluto .E’ importante precisare che il disturbo autistico si differenzia dal disturbo di Asperger, in quanto nel secondo non è presente un ritardo nello sviluppo del linguaggio. Inoltre il disturbo di Asperger non viene diagnosticato là dove i criteri per esaminare il disturbo autistico siano stati soddisfatti. Accade talvolta che non sia affatto semplice stabilire se una nuova diagnosi di disturbo autistico venga dimostrata nel caso di un soggetto affetto da ritardo mentale, specialmente se grave o gravissimo .Per quanto riguarda i parametri diagnostici dell’autismo, questi sono pressoché i medesimi nel DSM-IV così come nell'ICD-10, anche se nel secondo il disturbo è stato denominato “autismo infantile”. A questo proposito, esiste oggi una grandissima confusione in merito alla terminologia con cui il disturbo viene definito. E’ presente anche una categoria di autismo, cosiddetto “regressivo” o“tardivo”, che non fa parte di una classificazione formale ed è legata al blocco psichico del soggetto. Esso si presenta dopo un iniziale sviluppo apparentemente normale del bambino, il quale può possedere anche un buon livello linguistico.Purtroppo però di colpo si assiste ad una regressione del soggetto che si caratterizza per i seguenti aspetti: la difficoltà nel gioco, la difficoltà nelle relazioni interpersonali e le espressioni emotive . Tale disordine classificatorio si può riscontrare anche nella descrizione dei sintomi tipici del disturbo che, spesso troppo generici e indifferenziati, possono essere ricondotti ad altre sindromi molto diverse. Questa situazione ha condotto quindi alcuni ricercatori a sostenere di non intendere più l’autismo come sindrome a sé stante, ma come sintomo autistico o appartenente allo “spettro autistico” .Le varie scuole di pensiero si sono così trovate ad adottare ciascuna una propria scala di valutazione per stimare gli indici di miglioramento più appropriati ad un determinato intervento terapeutico. In particolare, è emerso che l’autismo può essere diagnosticato entro il terzo anno d’età, ma in alcuni casi anche entro i 18 mesi. Altri studi dimostrano ancora come in molti bambini il disturbo possa essere scoperto con esattezza fin dall’età di un anno, o addirittura più precocemente .

    Bibliografia:
    ulteriori approfondimenti da:
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    ES.n. 1 AUTISMO (chiude 27 febbraio x esami 29 e sessione estiva) - Pagina 16 Empty Re: ES.n. 1 AUTISMO (chiude 27 febbraio x esami 29 e sessione estiva)

    Messaggio  marilenacacciapuoti Ven Feb 03, 2012 4:04 pm

    Capitolo 1 "Le cause dell'autismo e le sue basi biologiche,lo screening precoce, la diagnosi", del testo: "Facciamo il punto su l 'Autismo".


    Il nostro lavoro è stato realizzato con l'intento di comprendere maggiormente le cause dell'autismo, consapevoli che solo un'approfondita conoscenza della malattia rende possibile programmare e attuare un intervento efficace nei confronti dei bambini interessati come future insegnanti di sostegno.
    Dagli anni ‘50 fino ad oggi, le ricerche e le scoperte scientifiche effettuate sulla sindrome autistica hanno permesso di giungere ad una classificazione completa e puntuale che comprende tutti i criteri diagnostici e gli aspetti descrittivi che costituiscono il disturbo.Il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM IV, APA,1994) individua come caratteristiche fondamentali del disturbo autistico: la presenza di uno sviluppo decisamente atipico o deficitario dell'interazione sociale e della comunicazione e una grande limitatezza del repertorio di attività. Nelle persone affette da questo disturbo si riscontrano inoltre modalità ripetitive di comportamento che mettono in evidenza una dedizione totale verso uno o più interessi stereotipati. I soggetti autistici possono comportarsi sempre nella medesima maniera e mostrare resistenza o malessere in seguito a cambiamenti anche banali. Alcuni esempi di azioni compiute frequentemente sono: mettere in fila giocattoli sempre nello stesso numero per più e più volte; mimare i gesti di un attore della televisione; avere una reazione esagerata di fronte ad una piccola modifica nell'ambiente casalingo o nell’abituale percorso per recarsi in qualche
    luogo . Per quanto riguarda i movimenti corporei stereotipati messi in atto, i più diffusi sono: battere le mani o schioccare le dita; dondolarsi oppure oscillare. Inoltre possono essere presenti anomalie della postura, come camminare in punta di piedi, o espressioni insolite del corpo. Essendo il livello di interazione sociale fortemente compromesso, le persone autistiche possono essere del tutto indifferenti nei confronti degli altri bambini o dei loro fratelli stessi e possono anche non rendersi conto della sofferenza di chi li circonda.Poichè la comunicazione è assai limitata, le capacità verbali e non verbali di questi soggetti sono profondamente alterate e le strutture grammaticali costituite di vocaboli ripetitivi o allegorici, si va da un totale inutilizzo di ogni forma linguistico comunicativa, ad un utilizzo ridotto e/o bizzarro del linguaggio. Nel disturbo autistico sono spesso assenti il gioco di immaginazione così come altri tipi di divertimenti ancor più semplici tipici dell’infanzia o della prima fanciullezza. Si può quindi parlare di questo disturbo evolutivo quando l'anomalia
    si presenta con ritardo o funzionamento atipico entro i 3 anni di età del soggetto e in almeno una delle seguenti aree: l’interazione sociale; il linguaggio utilizzato per l'interazione sociale; il gioco simbolico o quello di immaginazione .Circa il 75% dei bambini affetti da autismo presenta anche un ritardo cognitivo che va da lieve a grave. Inoltre, l’autismo si presenta molte volte in comorbidità con altre patologie: l’iperattività, lo scarso mantenimento dell'attenzione, l’impulsività, l’aggressività, gli atteggiamenti autolesivi, gli attacchi di rabbia, l’ipersensibilità ai suoni o all'essere toccato, le reazioni esagerate alla luce o agli odori. L’autismo può includere anche alcuni disturbi mentali associati, come per esempio anomalie nello sviluppo delle capacità cognitive, anomalie nell'alimentazione o nel sonno, anomalie dell'umore o dell'affettività, assenza di paura davanti ai pericoli concreti e agitazione smisurata di fronte ad oggetti inoffensivi. Inoltre, accanto a questo disturbo si possono rilevare altre condizioni neurologiche o mediche associate, come per esempio
    l’encefalite, la sclerosi tuberosa, la sindrome dell'X fragile, la rosolia materna.Tali bambini in età infantile possono essere sfavorevoli all'affetto e al contatto fisico, oltre che privi di risposte alle attenzioni dei genitori, tutti segnali che inizialmente potrebbero far pensare alla sordità.Il livello del disturbo autistico è decisamente più alto nei maschi piuttosto che nelle femmine e si stimano da due a cinque casi ogni 10.000 soggetti (APA,2000),anche se secondo ricerche più recenti la prevalenza della sindrome risulta essere molto più elevata. Questa malattia si sviluppa ininterrottamente nel tempo, anche se in età scolare e in adolescenza possono presentarsi miglioramenti in alcune aree, come nell’ambito dell’interazione sociale. Solo una bassa percentuale di soggetti autistici arriva a vivere e a lavorare in modo indipendente nell’età adulta,mentre la stragrande maggioranza di loro seguita a manifestare numerose difficoltà nell'interazione sociale e nella comunicazione, oltre ad avere ben pochi interessi e attività. Tra i fratelli di bambini affetti da questa stessa malattia, è più probabile che si prospetti il rischio di trasmissione di autismo, il cui periodo di regressione di sviluppo è assai grave e prolungato, come è stato già detto. E’necessario effettuare una diagnosi di tale malattia nel caso in cui non siano reperibili dati sullo sviluppo precoce o non sia possibile verificare il periodo di sviluppo normale voluto .E’ importante precisare che il disturbo autistico si differenzia dal disturbo di Asperger, in quanto nel secondo non è presente un ritardo nello sviluppo del linguaggio. Inoltre il disturbo di Asperger non viene diagnosticato là dove i criteri per esaminare il disturbo autistico siano stati soddisfatti. Accade talvolta che non sia affatto semplice stabilire se una nuova diagnosi di disturbo autistico venga dimostrata nel caso di un soggetto affetto da ritardo mentale, specialmente se grave o gravissimo .Per quanto riguarda i parametri diagnostici dell’autismo, questi sono pressoché i medesimi nel DSM-IV così come nell'ICD-10, anche se nel secondo il disturbo è stato denominato “autismo infantile”. A questo proposito, esiste oggi una grandissima confusione in merito alla terminologia con cui il disturbo viene definito. E’ presente anche una categoria di autismo, cosiddetto “regressivo” o“tardivo”, che non fa parte di una classificazione formale ed è legata al blocco psichico del soggetto. Esso si presenta dopo un iniziale sviluppo apparentemente normale del bambino, il quale può possedere anche un buon livello linguistico.Purtroppo però di colpo si assiste ad una regressione del soggetto che si caratterizza per i seguenti aspetti: la difficoltà nel gioco, la difficoltà nelle relazioni interpersonali e le espressioni emotive . Tale disordine classificatorio si può riscontrare anche nella descrizione dei sintomi tipici del disturbo che, spesso troppo generici e indifferenziati, possono essere ricondotti ad altre sindromi molto diverse. Questa situazione ha condotto quindi alcuni ricercatori a sostenere di non intendere più l’autismo come sindrome a sé stante, ma come sintomo autistico o appartenente allo “spettro autistico” .Le varie scuole di pensiero si sono così trovate ad adottare ciascuna una propria scala di valutazione per stimare gli indici di miglioramento più appropriati ad un determinato intervento terapeutico. In particolare, è emerso che l’autismo può essere diagnosticato entro il terzo anno d’età, ma in alcuni casi anche entro i 18 mesi. Altri studi dimostrano ancora come in molti bambini il disturbo possa essere scoperto con esattezza fin dall’età di un anno, o addirittura più precocemente .

    Bibliografia:
    ulteriori approfondimenti da:
    Baron-Cohens(1997),L'autismo e la lettura della mente,Astrolabio-Ubaldini,Roma

    Arini Stefania, Cacciapuoti Giuseppina,Cacciapuoti Marilena,D'Onofrio Stefania.

    Lavoro molto ben strutturato,
    le richieste dell'esercizio sono state esaurite e superate
    la sintesi è arricchita da una veste critica e da un confronto coerente con il quadro teorico.
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    Messaggio  lauraonorato88 Ven Feb 03, 2012 4:12 pm

    Testo: "Integrazione scolastica degli alunni con disturbi dello spettro autistico"
    CAP 4: "Autismi e pedagogia"
    Gruppo: Laura Onorato, Serena Gaeta, Luisa Buono.


    Cosa può fare l’educazione, per chi cresce con una diagnosi di autismo?
    Nella scuola si è parlato di integrazione di soggetti con “bisogni speciali” con la stesura degli Orientamenti della scuola dell’infanzia (1991). Si inizia ad integrare anche i bambini con dei bisogni particolari già dalla scuola dell’infanzia. Le sfide che la scuola, e quindi anche la pedagogia, si aspetta di affrontare, per i bambini con spettro autistico, sono:
    • Esigere specialisti competenti su gli autismi che collaborino con insegnanti, familiari, operatori sanitari;
    • Evitare di isolare il bambino autistico e l’insegnante di sostegno, proprio perché quest’ultimo funge da strumento per l’integrazione in classe;
    • Educare tutti i coetanei del bambino con spettro autistico per presentare un’ ambiente collaborativo.

    Mentre le sfide che possono fornire risultati positivi per tutti, sono quattro. La prima sfida è l’esposizione a stimolazioni eccessive poiché i bambini con disturbo dello spettro autistico presentano già una disfunzionalità relazionale per cui il bombardamento di stimolazioni mediatiche potrebbe portare ad un peggioramento di tale condizione. La seconda sfida si propone di considerare la condizione di deficit. Una condizione che necessita di una conoscenza di ciò che può essere fatto e da ciò che è la condizione di deficit subita da persone con bisogni speciali ed analizzata degli operatori clinici del settore. La terza sfida, definita sfida all’autoreferenzialità, ci porta a considerare l’autoreferenzialità delle singole professioni, come un ostacolo verso l’integrazione scolastica del bambino con autismo, in quanto vi è oggigiorno un’assenza di benessere sociale e una forte diffusione dell’individualismo che impedisce all’uomo di pensare socialmente e nel modo scolastico diventa necessario far coincidere il sistema di cure e di educazione, in quanto il primo deve superare l’idea della cura medico infermieristica per intendere il termine cura con attenzione all’altro, all’ambiente e alla complessità della qualità della vita; mentre il sistema educazione deve superare la concezione riduttiva e scolasticistica di se stesso, per intendere l’educazione come accoglienza e ed adattamento reciproco dell’individuo e del mondo nella sua storia. La quarta sfida pone la nostra attenzione sul concetto di esistenzialismo che per essere superato deve portare il soggetto ad essere operatore attivo delle proprie scelte e questa capacità di operare scelte è un elemento di grande importanza per alimentare la capacità di organizzazione della persona autistica. Bisogna dunque responsabilizzare l’individuo non scegliendo per lui ma scegliendo con lui.
    L’intervento educativo, in conclusione, deve porsi delle domande fondamentali su cosa e in particolare, come insegnare individuando le aree in cui proporre l’apprendimento di nuove abilità, tenendo conto della complessità del mondo attuale e dell’ambiente d’apprendimento in cui si opera.


    Lavoro ben fatto,
    le richieste dell'esercizio sono state esaurite.
    la sintesi è stringata ma completa.
    Emergono le considerazioni critiche del gruppo.
    la docente
    serenagaeta
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    ES.n. 1 AUTISMO (chiude 27 febbraio x esami 29 e sessione estiva) - Pagina 16 Empty Re: ES.n. 1 AUTISMO (chiude 27 febbraio x esami 29 e sessione estiva)

    Messaggio  serenagaeta Ven Feb 03, 2012 4:14 pm

    Testo: "Integrazione scolastica degli alunni con disturbi dello spettro autistico"
    CAP 4: "Autismi e pedagogia"
    Gruppo: Laura Onorato, Serena Gaeta, Luisa Buono.


    Cosa può fare l’educazione, per chi cresce con una diagnosi di autismo?
    Nella scuola si è parlato di integrazione di soggetti con “bisogni speciali” con la stesura degli Orientamenti della scuola dell’infanzia (1991). Si inizia ad integrare anche i bambini con dei bisogni particolari già dalla scuola dell’infanzia. Le sfide che la scuola, e quindi anche la pedagogia, si aspetta di affrontare, per i bambini con spettro autistico, sono:
    • Esigere specialisti competenti su gli autismi che collaborino con insegnanti, familiari, operatori sanitari;
    • Evitare di isolare il bambino autistico e l’insegnante di sostegno, proprio perché quest’ultimo funge da strumento per l’integrazione in classe;
    • Educare tutti i coetanei del bambino con spettro autistico per presentare un’ ambiente collaborativo.

    Mentre le sfide che possono fornire risultati positivi per tutti, sono quattro. La prima sfida è l’esposizione a stimolazioni eccessive poiché i bambini con disturbo dello spettro autistico presentano già una disfunzionalità relazionale per cui il bombardamento di stimolazioni mediatiche potrebbe portare ad un peggioramento di tale condizione. La seconda sfida si propone di considerare la condizione di deficit. Una condizione che necessita di una conoscenza di ciò che può essere fatto e da ciò che è la condizione di deficit subita da persone con bisogni speciali ed analizzata degli operatori clinici del settore. La terza sfida, definita sfida all’autoreferenzialità, ci porta a considerare l’autoreferenzialità delle singole professioni, come un ostacolo verso l’integrazione scolastica del bambino con autismo, in quanto vi è oggigiorno un’assenza di benessere sociale e una forte diffusione dell’individualismo che impedisce all’uomo di pensare socialmente e nel modo scolastico diventa necessario far coincidere il sistema di cure e di educazione, in quanto il primo deve superare l’idea della cura medico infermieristica per intendere il termine cura con attenzione all’altro, all’ambiente e alla complessità della qualità della vita; mentre il sistema educazione deve superare la concezione riduttiva e scolasticistica di se stesso, per intendere l’educazione come accoglienza e ed adattamento reciproco dell’individuo e del mondo nella sua storia. La quarta sfida pone la nostra attenzione sul concetto di esistenzialismo che per essere superato deve portare il soggetto ad essere operatore attivo delle proprie scelte e questa capacità di operare scelte è un elemento di grande importanza per alimentare la capacità di organizzazione della persona autistica. Bisogna dunque responsabilizzare l’individuo non scegliendo per lui ma scegliendo con lui.
    L’intervento educativo, in conclusione, deve porsi delle domande fondamentali su cosa e in particolare, come insegnare individuando le aree in cui proporre l’apprendimento di nuove abilità, tenendo conto della complessità del mondo attuale e dell’ambiente d’apprendimento in cui si opera.


    Lavoro ben fatto,
    le richieste dell'esercizio sono state esaurite.
    la sintesi è stringata ma completa.
    Emergono le considerazioni critiche del gruppo.
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    ES.n. 1 AUTISMO (chiude 27 febbraio x esami 29 e sessione estiva) - Pagina 16 Empty Re: ES.n. 1 AUTISMO (chiude 27 febbraio x esami 29 e sessione estiva)

    Messaggio  luisa buono Ven Feb 03, 2012 4:15 pm

    Testo: "Integrazione scolastica degli alunni con disturbi dello spettro autistico"
    CAP 4: "Autismi e pedagogia"
    Gruppo: Laura Onorato, Serena Gaeta, Luisa Buono.


    Cosa può fare l’educazione, per chi cresce con una diagnosi di autismo?
    Nella scuola si è parlato di integrazione di soggetti con “bisogni speciali” con la stesura degli Orientamenti della scuola dell’infanzia (1991). Si inizia ad integrare anche i bambini con dei bisogni particolari già dalla scuola dell’infanzia. Le sfide che la scuola, e quindi anche la pedagogia, si aspetta di affrontare, per i bambini con spettro autistico, sono:
    • Esigere specialisti competenti su gli autismi che collaborino con insegnanti, familiari, operatori sanitari;
    • Evitare di isolare il bambino autistico e l’insegnante di sostegno, proprio perché quest’ultimo funge da strumento per l’integrazione in classe;
    • Educare tutti i coetanei del bambino con spettro autistico per presentare un’ ambiente collaborativo.

    Mentre le sfide che possono fornire risultati positivi per tutti, sono quattro. La prima sfida è l’esposizione a stimolazioni eccessive poiché i bambini con disturbo dello spettro autistico presentano già una disfunzionalità relazionale per cui il bombardamento di stimolazioni mediatiche potrebbe portare ad un peggioramento di tale condizione. La seconda sfida si propone di considerare la condizione di deficit. Una condizione che necessita di una conoscenza di ciò che può essere fatto e da ciò che è la condizione di deficit subita da persone con bisogni speciali ed analizzata degli operatori clinici del settore. La terza sfida, definita sfida all’autoreferenzialità, ci porta a considerare l’autoreferenzialità delle singole professioni, come un ostacolo verso l’integrazione scolastica del bambino con autismo, in quanto vi è oggigiorno un’assenza di benessere sociale e una forte diffusione dell’individualismo che impedisce all’uomo di pensare socialmente e nel modo scolastico diventa necessario far coincidere il sistema di cure e di educazione, in quanto il primo deve superare l’idea della cura medico infermieristica per intendere il termine cura con attenzione all’altro, all’ambiente e alla complessità della qualità della vita; mentre il sistema educazione deve superare la concezione riduttiva e scolasticistica di se stesso, per intendere l’educazione come accoglienza e ed adattamento reciproco dell’individuo e del mondo nella sua storia. La quarta sfida pone la nostra attenzione sul concetto di esistenzialismo che per essere superato deve portare il soggetto ad essere operatore attivo delle proprie scelte e questa capacità di operare scelte è un elemento di grande importanza per alimentare la capacità di organizzazione della persona autistica. Bisogna dunque responsabilizzare l’individuo non scegliendo per lui ma scegliendo con lui.
    L’intervento educativo, in conclusione, deve porsi delle domande fondamentali su cosa e in particolare, come insegnare individuando le aree in cui proporre l’apprendimento di nuove abilità, tenendo conto della complessità del mondo attuale e dell’ambiente d’apprendimento in cui si opera.

    Lavoro ben fatto,
    le richieste dell'esercizio sono state esaurite.
    la sintesi è stringata ma completa.
    Emergono le considerazioni critiche del gruppo.
    la docente
    stefania arini
    stefania arini


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    ES.n. 1 AUTISMO (chiude 27 febbraio x esami 29 e sessione estiva) - Pagina 16 Empty Re: ES.n. 1 AUTISMO (chiude 27 febbraio x esami 29 e sessione estiva)

    Messaggio  stefania arini Ven Feb 03, 2012 4:47 pm

    Capitolo 1 "Le cause dell'autismo e le sue basi biologiche,lo screening precoce, la diagnosi", del testo: "Facciamo il punto su l 'Autismo".


    Il nostro lavoro è stato realizzato con l'intento di comprendere maggiormente le cause dell'autismo, consapevoli che solo un'approfondita conoscenza della malattia rende possibile programmare e attuare un intervento efficace nei confronti dei bambini interessati come future insegnanti di sostegno.
    Dagli anni ‘50 fino ad oggi, le ricerche e le scoperte scientifiche effettuate sulla sindrome autistica hanno permesso di giungere ad una classificazione completa e puntuale che comprende tutti i criteri diagnostici e gli aspetti descrittivi che costituiscono il disturbo.Il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM IV, APA,1994) individua come caratteristiche fondamentali del disturbo autistico: la presenza di uno sviluppo decisamente atipico o deficitario dell'interazione sociale e della comunicazione e una grande limitatezza del repertorio di attività. Nelle persone affette da questo disturbo si riscontrano inoltre modalità ripetitive di comportamento che mettono in evidenza una dedizione totale verso uno o più interessi stereotipati. I soggetti autistici possono comportarsi sempre nella medesima maniera e mostrare resistenza o malessere in seguito a cambiamenti anche banali. Alcuni esempi di azioni compiute frequentemente sono: mettere in fila giocattoli sempre nello stesso numero per più e più volte; mimare i gesti di un attore della televisione; avere una reazione esagerata di fronte ad una piccola modifica nell'ambiente casalingo o nell’abituale percorso per recarsi in qualche
    luogo . Per quanto riguarda i movimenti corporei stereotipati messi in atto, i più diffusi sono: battere le mani o schioccare le dita; dondolarsi oppure oscillare. Inoltre possono essere presenti anomalie della postura, come camminare in punta di piedi, o espressioni insolite del corpo. Essendo il livello di interazione sociale fortemente compromesso, le persone autistiche possono essere del tutto indifferenti nei confronti degli altri bambini o dei loro fratelli stessi e possono anche non rendersi conto della sofferenza di chi li circonda.Poichè la comunicazione è assai limitata, le capacità verbali e non verbali di questi soggetti sono profondamente alterate e le strutture grammaticali costituite di vocaboli ripetitivi o allegorici, si va da un totale inutilizzo di ogni forma linguistico comunicativa, ad un utilizzo ridotto e/o bizzarro del linguaggio. Nel disturbo autistico sono spesso assenti il gioco di immaginazione così come altri tipi di divertimenti ancor più semplici tipici dell’infanzia o della prima fanciullezza. Si può quindi parlare di questo disturbo evolutivo quando l'anomalia
    si presenta con ritardo o funzionamento atipico entro i 3 anni di età del soggetto e in almeno una delle seguenti aree: l’interazione sociale; il linguaggio utilizzato per l'interazione sociale; il gioco simbolico o quello di immaginazione .Circa il 75% dei bambini affetti da autismo presenta anche un ritardo cognitivo che va da lieve a grave. Inoltre, l’autismo si presenta molte volte in comorbidità con altre patologie: l’iperattività, lo scarso mantenimento dell'attenzione, l’impulsività, l’aggressività, gli atteggiamenti autolesivi, gli attacchi di rabbia, l’ipersensibilità ai suoni o all'essere toccato, le reazioni esagerate alla luce o agli odori. L’autismo può includere anche alcuni disturbi mentali associati, come per esempio anomalie nello sviluppo delle capacità cognitive, anomalie nell'alimentazione o nel sonno, anomalie dell'umore o dell'affettività, assenza di paura davanti ai pericoli concreti e agitazione smisurata di fronte ad oggetti inoffensivi. Inoltre, accanto a questo disturbo si possono rilevare altre condizioni neurologiche o mediche associate, come per esempio
    l’encefalite, la sclerosi tuberosa, la sindrome dell'X fragile, la rosolia materna.Tali bambini in età infantile possono essere sfavorevoli all'affetto e al contatto fisico, oltre che privi di risposte alle attenzioni dei genitori, tutti segnali che inizialmente potrebbero far pensare alla sordità.Il livello del disturbo autistico è decisamente più alto nei maschi piuttosto che nelle femmine e si stimano da due a cinque casi ogni 10.000 soggetti (APA,2000),anche se secondo ricerche più recenti la prevalenza della sindrome risulta essere molto più elevata. Questa malattia si sviluppa ininterrottamente nel tempo, anche se in età scolare e in adolescenza possono presentarsi miglioramenti in alcune aree, come nell’ambito dell’interazione sociale. Solo una bassa percentuale di soggetti autistici arriva a vivere e a lavorare in modo indipendente nell’età adulta,mentre la stragrande maggioranza di loro seguita a manifestare numerose difficoltà nell'interazione sociale e nella comunicazione, oltre ad avere ben pochi interessi e attività. Tra i fratelli di bambini affetti da questa stessa malattia, è più probabile che si prospetti il rischio di trasmissione di autismo, il cui periodo di regressione di sviluppo è assai grave e prolungato, come è stato già detto. E’necessario effettuare una diagnosi di tale malattia nel caso in cui non siano reperibili dati sullo sviluppo precoce o non sia possibile verificare il periodo di sviluppo normale voluto .E’ importante precisare che il disturbo autistico si differenzia dal disturbo di Asperger, in quanto nel secondo non è presente un ritardo nello sviluppo del linguaggio. Inoltre il disturbo di Asperger non viene diagnosticato là dove i criteri per esaminare il disturbo autistico siano stati soddisfatti. Accade talvolta che non sia affatto semplice stabilire se una nuova diagnosi di disturbo autistico venga dimostrata nel caso di un soggetto affetto da ritardo mentale, specialmente se grave o gravissimo .Per quanto riguarda i parametri diagnostici dell’autismo, questi sono pressoché i medesimi nel DSM-IV così come nell'ICD-10, anche se nel secondo il disturbo è stato denominato “autismo infantile”. A questo proposito, esiste oggi una grandissima confusione in merito alla terminologia con cui il disturbo viene definito. E’ presente anche una categoria di autismo, cosiddetto “regressivo” o“tardivo”, che non fa parte di una classificazione formale ed è legata al blocco psichico del soggetto. Esso si presenta dopo un iniziale sviluppo apparentemente normale del bambino, il quale può possedere anche un buon livello linguistico.Purtroppo però di colpo si assiste ad una regressione del soggetto che si caratterizza per i seguenti aspetti: la difficoltà nel gioco, la difficoltà nelle relazioni interpersonali e le espressioni emotive . Tale disordine classificatorio si può riscontrare anche nella descrizione dei sintomi tipici del disturbo che, spesso troppo generici e indifferenziati, possono essere ricondotti ad altre sindromi molto diverse. Questa situazione ha condotto quindi alcuni ricercatori a sostenere di non intendere più l’autismo come sindrome a sé stante, ma come sintomo autistico o appartenente allo “spettro autistico” .Le varie scuole di pensiero si sono così trovate ad adottare ciascuna una propria scala di valutazione per stimare gli indici di miglioramento più appropriati ad un determinato intervento terapeutico. In particolare, è emerso che l’autismo può essere diagnosticato entro il terzo anno d’età, ma in alcuni casi anche entro i 18 mesi. Altri studi dimostrano ancora come in molti bambini il disturbo possa essere scoperto con esattezza fin dall’età di un anno, o addirittura più precocemente .

    Bibliografia:
    ulteriori approfondimenti da:
    Baron-Cohens(1997),L'autismo e la lettura della mente,Astrolabio-Ubaldini,Roma


    Arini Stefania, Cacciapuoti Giuseppina,Cacciapuoti Marilena,D'Onofrio Stefania.

    Lavoro molto ben strutturato,
    le richieste dell'esercizio sono state esaurite e superate
    la sintesi è arricchita da una veste critica e da un confronto coerente con il quadro teorico.
    la tutor Dott.ssa Nunzia Giglio.
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    ES.n. 1 AUTISMO (chiude 27 febbraio x esami 29 e sessione estiva) - Pagina 16 Empty Re: ES.n. 1 AUTISMO (chiude 27 febbraio x esami 29 e sessione estiva)

    Messaggio  Admin Ven Feb 03, 2012 5:35 pm

    INTEGRAZIONE SCOLASTICA DEGLI ALUNNI CON DISTURBI DELLO SPETTRO

    AUTISTICO – QUARTO CAPITOLO


    Il compito della Pedagogia è quello di leggere i fatti con la chiave di lettura dell’educazione, nel caso dell’autismo si tratta di ricordare il percorso e di proporre nuove competenze.
    I tecnici della salute mentale,affidandosi alla legge Basaglia, hanno inglobato la popolazione autistica tra i pazienti psichiatrici. In opposizione a questa visione è nata una nuova generazione di operatori non psichiatri, come l’educatore E.Micheli, divenuto un punto di riferimento per i bambini con diagnosi di autismo. Il riconoscimento non psichiatrico ha escluso nel tempo i vari approcci di taglio psicoanalitico , le proposte a volte stravaganti e ha visto l’affermarsi di una nuova generazione di tecnici con competenza specifica.
    Le sfide a cui la Pedagogia deve far fronte,però, sono di tipo collettivo.
    L’istanza di una buona educazione con spettro autistico, difatti, è un bisogno comune, anche se la cultura liberale non coglie la relazione tra gli elementi finanziari ,sociali e ambientali,valutando il capitale umano come un costo. La precarietà non si coniuga, però, con le competenze e le progettazioni che necessitano della categoria tempo. L’autismo esige un’educazione attiva che ascolta le istanze per cambiare,secondo il concetto di attivarsi per attivare.
    In una società esposta a diverse culture in cui l’identità di un popolo è collegata al senso di appartenenza di tutti, è utile un filtro selettivo che operi utilizzando dei mediatori –sinapsi: come le sinapsi creano una rete di collegamento tra i neuroni, così i mediatori favoriscono una connessione con l’ambiente rendendo umano il contesto. Converrebbe, pertanto,considerare un’etica della conoscenza da applicare a tutti, che tenga conto del tempo come durata, che non escluda chi come un autistico non percepisce un prima e un dopo, ma anche chi ha seri problemi di crescita,e che renda possibile immaginare una sequenza capace di essere rappresentata e simbolizzata. Contro un individualismo di massa, una incapacità a pensare a un benessere socialmente considerato, l’autismo richiede una collaborazione tra professioni e ruoli, che annulli l’autoreferenzialità dei compiti. Nel caso dell’integrazione scolastica dell’alunno con autismo, il sistema educazione e il sistema cura devono diventare un unico sistema rivolti all’attenzione dell’altro nella sua complessità oltre all’accoglienza e all’integrazione/inclusione della persona.
    Tuttavia l’integrazione non deve sfociare nell’assistenzialismo,nell’atteggiamento di chi anche con le migliori intenzioni,si sostituisce al soggetto con disabilità, soddisfacendo dei bisogni ancora prima che vengono manifestati.
    Tendenza dovuta dall’incapacità di sopportare la fatica nell’altro come sofferenza.
    Per non cadere in un errore così grossolano è necessario assicurare al disabile un ruolo attivo nel rapporto sociale, che gli consenta di operare delle scelte o non scelte consapevoli, di sapersi organizzare perché gli altri lo aiutino a fare concretamente.

    Lavoro svolto da
    Prato Irene
    Tramontano Mariella


    hai sbagliato ad inserirlo

    Lavoro sufficiente,
    le richieste dell'esercizio sono state esaurite e
    la sintesi è stringata ma completa.
    la tutor Dott.ssa Nunzia Giglio


    Ultima modifica di Admin il Mar Feb 07, 2012 9:49 pm - modificato 1 volta.
    Lamberti Simona Giuseppa
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    ES.n. 1 AUTISMO (chiude 27 febbraio x esami 29 e sessione estiva) - Pagina 16 Empty Re: ES.n. 1 AUTISMO (chiude 27 febbraio x esami 29 e sessione estiva)

    Messaggio  Lamberti Simona Giuseppa Ven Feb 03, 2012 5:55 pm

    1.Le cause dell'autismo e le sue basi biologiche, lo screening precoce, la diagnosi.

    La necessità di individuare i fattori causali dell’autismo, legata alla grande complessità e varietà dei sintomi con cui si manifesta, ha portato nel corso degli anni all’elaborazione di modelli interpretativi, spesso, molto contrastanti tra loro.
    Le interpretazioni più recenti attribuiscono un ruolo fondamentale, nella genesi dell’autismo, a fattori neurofisiologici e genetici.
    Rispetto all’eziologia dell’autismo, la teoria oggi comunemente accettata è che elementi genetici e ambientali agiscano nelle fasi precoci dello sviluppo del bambino.
    Pertanto, lo spettro autistico può essere individuato in: differenti combinazioni genetiche, variazione del numero di copie di geni, forme di riarrangiamento del materiale cromosomico.
    Anche l’età avanzata dei genitori può accrescere le probabilità di autismo nei figli.
    Nella maggioranza dei casi solo uno dei figli può avere tale disturbo, ma non si esclude la possibilità di avere un altro bambino autistico.
    Altre cause dell’autismo possono essere riscontrate nei fattori ambientali, come ad esempio: un’infezione intrauterina, intossicazioni da talidomane o uso di farmaci anticonvulsivi nella terza settimana di gravidanza.
    Vi è infine un’ulteriore ipotesi sull’eziologia dello spettro autistico, che può essere collegata a situazioni di estrema deprivazione di: cure, cibo, luce; riconducibili a bambini tenuti in istituto dalla nascita.
    Le basi neurobiologiche dell’autismo sono state studiate sia con la neuropatologia, ovvero lo studio al microscopio del cervello, sia con esami radiografici, sia attraverso la valutazione degli aspetti elettrofisiologici.
    La neuropatologia ha dato risultati discordanti: alcuni dati evidenziano che nell’autismo l’alterazione è soprattutto nel divenire dello sviluppo del cervello più che in un danno finale.
    Gli studi di risonanza magnetica funzionali hanno individuato che alterazioni della rete amigdala-area fusiforme sottendono le carenze relazionali della persona affetta da DSA.
    Tale relazione fornisce spiegazioni in merito alle modalità ripetitive e stereotipate caratterizzanti lo spettro autistico.
    Gli studi di neuropatologia, radiologia, ed elettrofisiologia hanno consentito di comprendere meglio le basi neurobiologiche dell’autismo.
    L’autismo può, inoltre, essere associato anche ad altre patologie:
    nella sindrome di Down, nella sindrome dell’X fragile o in casi di gigantismo cerebrale.
    E' accertato il dato che l'autismo si sviluppi precocemente, pertanto è possibile fare uno screening precoce per riconoscerne l'eventuale condizione.
    Allo stato attuale, molti sono i vantaggi derivanti da una diagnosi precoce di autismo;
    essi includono: la pianificazione e i trattamenti educativi precoci, il provvedere all'aiuto e all'educazione della famiglia, la riduzione dello stress e delle preoccupazioni familiari e la messa in atto di appropriate cure mediche per il bambino. (Cox et al, 1999).
    Sebbene i sintomi di autismo possano essere presenti durante il primo anno di vita, alcuni autori suggeriscono di parlare di "comportamenti o difese di tipo autistico", piuttosto che esprimersi con una diagnosi precisa.
    Molto spesso l'autismo non è diagnosticato fino a due o tre anni dopo la comparsa dei primi sintomi.
    Gli individui autistici a volte non hanno diagnosi o non vengono diagnosticati accuratamente.
    Le attività di screening sono cruciali per le diagnosi precoci.
    Lo scopo dello screening è l'identificazione, il prima possibile, dei bambini a rischio di autismo, affinché possano essere indirizzati rapidamente a valutazioni diagnostiche complete e agli interventi necessari.
    La prima indagine sul bambino autistico deve essere svolta dai genitori e dal pediatra.
    Sono questi, infatti, a svolgere un primo screening individuando, attraverso l’osservazione, atteggiamenti e comportamenti del bambino.
    Questi ultimi sono portati ad osservare:
    - se il bambino sorride quando si gioca con lui;
    - se sembra vivere in un suo mondo;
    - se è eccessivamente indipendente;
    - se preferisce giocare da solo e non ama condividere giochi con gli altri;
    - se non risponde quando lo si chiama per nome;
    - se mette in fila le cose;
    - se cammina sulle punte;
    - se si mostra insensibile a ustioni e contusioni.
    Pertanto, lo screening precoce si formula principalmente attraverso l'osservazione dei comportamenti.
    Particolarmente importanti risultano i criteri di standardizzazione e classificazione del DSM IV-TR (APA,2002) e dell' ICD-IO (OMS,1992).
    Entrambi i due criteri confluiscono nel ricercare la diagnosi dell'autismo, nel momento in cui sono compromesse le aree dell'interazione sociale, del linguaggio usato nella comunicazione sociale e quelle del gioco simbolico o dell'immaginazione.
    Il passaggio dalla diagnosi clinica alla diagnosi funzionale, vede la collaborazione di un'equipe sanitaria e riabilitativa, famiglia e scuola.
    L'importanza della diagnosi funzionale risiede nel comprendere il reale funzionamento del soggetto nei diversi contesti di vita, definendone: i punti di forza e di debolezza, utilizzando i concetti di capacità, performance, fattori di mediazione facilitante o barricante, tratti dalla classificazione dell'ICF-CY (OMS, 2007).
    Gli autori Howlin & Moore (1997) concludono che:
    1) le preoccupazioni precoci genitoriali sullo sviluppo del bambino dovrebbero essere prese in considerazione più seriamente, sia dal pediatra di base che dai professionisti specializzati, con rapidi referti ed appropriate strutture di riferimento;
    2) etichette, come 'tendenze autistiche' o 'tratti autistici' dovrebbero essere evitate se si è incapaci di dare una specifica diagnosi di autismo;
    3) la diagnosi in se stessa può essere un gradino importante ma non migliorerà la prognosi se non combinata con aiuto pratico e supporto assistenziale ai genitori nell'ottenere trattamenti per il bambino, indirizzati allo sviluppo di abilità e strategie applicabili durante tutta la vita del soggetto.
    Lo studio dello spettro autistico ci ha permesso di riscontrare grandi difficoltà in merito all'individuazione dei fattori causali, pertanto risultano significativi i riferimenti ai fattori neurobiologici.
    Inoltre, le ricerche sullo screening precoce, in particolare sulle metodologie di osservazione dei comportamenti che rimandano alla condizione autistica, risultano essenziali, soprattutto per coloro che non hanno competenze appropriate.
    Ponendoci nell'ottica di future docenti di sostegno, ci impegneremo a prestarne le dovute attenzioni affinchè si possa intervenire rapidamente nel processo abilitativo.

    Tiziana Piscitelli
    Roberta Maddaloni
    Francesca Manfellotti
    Simona Giuseppa Lamberti

    Lavoro molto ben strutturato,
    le richieste dell'esercizio sono state esaurite e superate
    la sintesi è arricchita da un confronto coerente con il quadro teorico.
    Il lavoro si presenta personalizzato e ricco di suggestioni.
    la tutor Dott.ssa Nunzia Giglio

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