ESERCIZIO N 1 :Facciamo il punto sull’autismo – cap 2. Interventi psicoeducativi e abilitativi/riabilitativi.
"L'autismo è considerato dalla comunità scientifica internazionale un disturbo che interessa la funzione cerebrale; la persona affetta da tale patologia mostra una marcata diminuzione dell'integrazione sociale e della comunicazione. Attualmente risultano ancora sconosciute le cause di tale manifestazione."
Kanner fornisce un quadro della sindrome autistica precoce di grande precisione clinica, individuando in quattro principali nuclei sintomatici, che rappresentano il quadro psicologico.
1. L'autismo infantile di Kanner va inteso nel senso di estremo isolamento dagli altri, di rifiuto di ogni contatto corporeo, di indifferenza rispetto alla separazione delle figure parentali. L'altro è vissuto in modo utilitaristico.
2. Le bizzarrie e i disturbi del linguaggio che può essere del tutto assente e in ogni caso non comunicativo.
3. Il bisogno ossessivo di uniformità ambientale che da sicurezza al bambino.
4. L'alterata reazione al dolore. I bambini autistici sembrano incapaci di provare o esprimere dolore anche in seguito a lesioni consistenti o, comunque, non manifestano reazioni al dolore nei modi consueti dei bambini normali, come il pianto e le urla.
Egli considera l'autismo una patologia innata, studi più recenti hanno confermato la sua ipotesi. L'autismo è classificato come un disturbo pervasivo dello sviluppo. Attualmente non esiste una cura per questo disturbo, le terapie o gli interventi vengono scelti in base ai sintomi individuali. I sintomi possono essere di tre tipi:
1. interazione sociale alterata;
2. problemi nella comunicazione verbale e non verbale e di immaginazione;
3. attività e interessi insoliti o estremamente limitati.
I sintomi dell'autismo di solito si manifestano entro i primi tre anni d'età, è importante perciò che l'intervento sia:
• precoce, intensivo, integrato;
• specifico, individualizzato, multimodale.
Esistono vari metodi educativi e terapie che si possono raggruppare in tre aree: dinamiche della psicologia dello sviluppo; strutturazione dell’ambiente per via visiva; comunicazione aumentativa alternativa (CAA); analisi comportamentale.
Tra i principali metodi troviamo l’ AERC ( Attivazione Emotiva con Reciprocità Corporea), elaborato e usato in Italia, caratterizzato da una continuità di applicazione sia con le modalità dell’educazione strutturata che con quelle della CAA (Comunicazione Aumentativa Alternativa), con cui ha in comune il concetto di mettere il bambino al centro dell’intervento terapeutico, nell’ambito del quale essa può essere rimodulata o alternata con altri metodi quando la specifica necessità del bambino dovesse richiederlo.
In questo metodo, che si basa sul concetto di Reciprocità, le principali idee guida sono:
1. guardarsi negli occhi;
2. rispettare i turni e condividere;
3. dare lo stesso significato ai messaggi che ci si scambia.
Reciprocità e scambio di ruolo nella relazione sociale favoriscono, in un contesto di quotidianità, l’aumento di parole e testi attraverso il quale la relazione si arricchisce. Altro fattore caratterizzante dell’AERC è l’integrazione tra intervento educativo e terapeutico, dove i soggetti famiglia, scuola e terapista fanno sistema. L’AERC risulta efficace quando il bambino ha buone capacità esecutive, in mancanza di esse la riabilitazione deve seguire strategie strutturate per via visiva.
Tra i metodi riabilitativi indirizzati all’analisi comportamentale troviamo il metodo PORTAGE, di impronta comportamentista. Esso è costituito dall’elenco delle principali attività che il bambino compie fino a 6 anni, che è distribuito in 5 scale: autonomia; cognitiva; linguaggio; sociale; motricità. Il metodo li applica quotidianamente per sostenere gli aspetti motivazionali e modificare i sistemi di comportamento. Il Portage si associa ad un’attenzione agli aspetti relazionali quindi l’intervento deve accompagnarsi ad uno stato di benessere delle persone che lo conducono e deve attuarsi in un tempo limitato per non interferire con le principali attività del modello familiare.
Per quanto riguarda l’intervento educativo strutturato possiamo affermare che esso trova le proprie potenzialità applicative laddove nel bambino si riscontra la mancanza di capacità esecutive. La metodologia dell’intervento prende spunto da una relazione con quanto proposto e suggerito dal bambino – le proprie risorse, le abilità, le distorsioni difficoltà e interessi–.
Modello di riferimento dell’intervento educativo strutturato è il TEACCH (Treatment and Education of Autistic Related Communication Handicapped Children). Esso è un intervento psicoeducativo che parte da una valutazione personalizzata e gli interventi interessano terapie integrate e programmate in modo individualizzato a seconde dell’area che si intende sviluppare e vengono effettuati in diversi contesti. I principali contesti sono:
1. Lavoro individuale. Una strategia operativa importante è quella di rendere attraente il momento di lavoro, creare un ambiente empatico con il bambino attraverso un gioco che lo coinvolga e lo motivi a stare seduto o a guardarci negli occhi (es. bolle di sapone). Occorre saper organizzare il tempo e adattare l’ordine di esecuzione delle attività alle prestazioni individuali iniziando dalle richieste più semplici.
2. Partecipare alla costruzione del programma. Costruire un’agenda con il bambino ha lo scopo di favorire la prevedibilità di tempi e azioni. L’attesa di un’attività attraente e piacevole aumenta il livello di motivazione e la collaborazione.
3. Le attività. Quelle più adatte sono quelle comprensibili, che permettono un buon livello di gratificazione e che rispondono ai requisiti di un progetto individualizzato. La finalità è ottenere qualcosa di utile per la vita e per il benessere del bambino.
4. Lavoro in piccolo gruppo. Le principali finalità del lavoro in piccolo gruppo consiste nel facilitare le relazioni sociali favorendo la condivisione di esperienze, la reciprocità sociale e la comprensione di regole di comunicazione verbale e non verbale attraverso simulate, giochi di scambio e attenzione congiunta, racconto spontaneo con mediazioni oggettuali, indicazioni cartacee stabili, elaborazione di testi.
5. La rete dei servizi. L’esperienza di apprendimento deve essere sperimentata simultaneamente in tutti i contesti di vita del bambino per consentire la condivisione e l’utilizzo delle metodologie educative specifiche nella struttura riabilitativa, nella scuola e in famiglia. Il setting terapeutico è una palestra dove è possibile allenarsi a sostenere lo sforzo della comprensione delle consegne, gestire i problemi di comportamento, imparare tecniche di comunicazione e di relazione e sperimentarle nella vita.
6. Interventi educativi in famiglia. Il principio che è alla radice dell’approccio TEACCH è la collaborazione tra i genitori e gli operatori. I genitori forniscono soluzioni e suggerimenti che offrono ai professionisti indicazioni importanti per un lavoro di cooperazione. In famiglia si evidenziano le priorità educative: autonomia personale, gestione delle relazioni in famiglia, contenimento dei comportamenti aggressivi in relazione a eventi destabilizzanti, particolarità dell’alimentazione ed eccessiva selezione dei cibi, comportamenti problematici, abilità sociali e relazionali e gestione del tempo libero.
7. Interventi educativi a scuola. Nel servizio scolastico la metodologia TEACCH diventa realtà applicativa e l’insegnante mette a disposizione del bambino con autismo stili di conduzione e programmi altamente individualizzati, flessibili, creativi e modificabili. Nell’aula ricca di stimoli: disegni, poster, giochi, banchi, libri, lavagne, rumori, finestre, spazi, luci ecc. sarà più facile applicarsi se le abilità richieste sono già state sperimentate in un contesto di lavoro privilegiato; è nella scuola che lo sforzo personale del bambino e la tensione progettuale rivelano la loro efficacia. La scuola deve farsi inclusiva e favorire il benessere del bambino, l’integrazione scolastica e faciliti l’apprendimento attraverso linee progettuali.
Questo metodo tende a modificare l’ambiente in base alle esigenze del bambino e tende a migliorare la qualità di vita dei soggetti sviluppando al massimo la loro autonomia. I supporti visivi dei quali si serve e i sistemi organizzati non sono strumenti terapeutici, il loro beneficio risiede nell’insegnamento del loro impiego.
Durante il corso abbiamo trattato oltre al TEACCH anche il LOVAAS MODEL e il DENVER MODEL.
Lovaas (1979) è stato uno dei primi ad utilizzare l’approccio ABA ( Applied Behavior Analysis, una metodologia molto articolata che prevede l’applicazione di precise tecniche secondo una progettazione specifica e analitica dell’intervento) con soggetti autistici. Negli anni ha modificato e rielaborato l’approccio fino alla proposta del DTT (Discrete Trial Training) o insegnamento per sessioni separate che prevede che le competenze da apprendere siano suddivise in sequenze di sotto-obiettivi e proposte all’interno di attività in un rapporto uno ad uno con l’adulto. Secondo la procedura di insegnamento bisogna tener conto di tre componenti: istruzione, risposta e conseguenza. Il programma ha come obiettivo il miglioramento dei comportamenti e delle capacità intellettuali, accademiche, sociali ed emozionali dei bambini, affinchè possano trarre beneficio dalle opportunità educative e sociali presenti nella comunità e richiedano meno assistenza professionale durante la crescita. Le caratteristiche principali di tale procedura sono:
• L’insegnamento è condotto dall’operatore;
• L’operatore sceglie i materiali didattici, definisce il programma e prestabilisce quale sia la risposta corretta;
• Il rinforzo è estrinseco al compito;
• Vengono ripetute più volte le stesse attività;
• Il focus del trattamento è la risposta del bambino.
Il metodo prevede un grande coinvolgimento della famiglia, una strutturazione e un numero di ora di intervento settimanale non indifferente. Una delle maggiori critiche mosse a molti approcci comportamentali tradizionali è proprio stata quella di essere eccessivamente artificiosi. Il Lovaas model in una prospettiva di rete e di alleanze psicoeducative, un forte coinvolgimento dei familiari, degli insegnanti, dei compagni di scuola, del gruppo dei pari, delle varie figure di riferimento educativo e non, che diventano a loro volta fondamentali collaboratori dei training di apprendimento e dei vari programmi di intervento psicoeducativo. Il ruolo degli operatori, degli educatori e dei genitori è quello di far acquisire comportamenti più adattivi e di organizzare l’ambiente in modo che esso sia rinforzante per i nuovi comportamenti appresi, che così saranno maggiormente mantenuti e impiegati nel tempo. Le principali caratteristiche di alcune tecniche tipiche di questo approccio sono: task analysis, prompting e fading, apprendimento senza errori, uso di modelli competenti, uso di rinforzi positivi, shaping e chaining ecc. L’obiettivo sarà veramente raggiunto quando le nuove abilità saranno applicate in tutti i vari contesti e per tutto il tempo necessario.
Infine troviamo il DENVER MODEL al quale purtroppo il libro non da molto spazio. Si tratta di un programma di intervento rivolto a bambini con autismo prescolare proposto agli inizi degli anni ottanta da Sally Rogers; esso si rifà ad un modello di riferimento americano, dove si parte dal presupposto di ridurre l’istituzionalizzazione, per cui l’enfasi è posta sul potenziamento delle abilità di interazione del bambino, in quanto principale deficit che caratterizza il disturbo autistico. La cornice in cui si svolgono le interazioni tra bambino e adulto deve essere caratterizzata da coinvolgimento sociale, reciprocità alternanza di turni ed emozioni e affettività condivise; durante l’intervento, quindi, si cerca di creare routine sociali che permettano di creare tali condizioni. Le famiglie devono essere a capo del trattamento dei loro bambini. Le strategie di insegnamento comprendono:
• essere sicuri di avere l’attenzione del bambino prima di impartire un’istruzione o fornire una dimostrazione;
• l’insegnamento deve seguire l’ABC ( antecedente-comportamento- conseguenza);
• utilizzare tecniche come shaping, chaining, prompting, fading e correzione degli errori per modificare le prestazioni;
• utilizzare rinforzi preferibilmente intrinseci.
La motivazione viene ottenuta e mantenuta seguendo l’iniziativa del bambino, alternando compiti acquisiti, rinforzando i tentativi, utilizzando materiale intrinsecamente rinforzante e permettendo un’alternanza nel controllo dei materiali e delle interazioni.
Trasversale a tutti questi metodi troviamo la CAA (Comunicazione Aumentativa Alternativa).
La compromissione della comunicazione è una delle caratteristiche che definiscono i disturbi dello spettro autistico. La comunicazione può essere compromessa in vari modi e lo sviluppo di migliori capacità comunicative sarà pertanto uno dei principali obiettivi dell’intervento educativo/abilitativo rivolto a un bambino con autismo. Questo intervento, da un lato, dovrà potenziare l’intersoggettività e tutte quelle forme di comunicazione non verbale ed espressiva che intervengono precocemente nello sviluppo della capacità di interazione sociale del bambino, dall’altro si dovrà porre l’obiettivo di individuare un codice di comunicazione convenzionale condiviso che consenta di veicolare gli scambi comunicativi tra bambini e le altre persone del suo ambiente. Nella maggior parte dei bambini con autismo, il linguaggio non rappresenta sempre un codice condiviso, il linguaggio di cui il bambino dispone non è sufficiente per esprimere i suoi bisogni e, la comunicazione aumentativa alternativa interviene proprio a supporto di queste difficlotà. Il termine “aumentativa” indica l’uso di strumenti che supportano e “aumentano” il linguaggio del soggetto, non è però solo il bambino che usa un codice in senso “aumentativo” a supporto del proprio linguaggio, ma è anche il partner comunicativo che lo utilizza, affiancandolo al proprio linguaggio, con lo scopo di farsi comprendere meglio. Il termine “alternativa” si riferisce invece all’uso di un certo codice come “alternativa” al linguaggio; offrire un metodo alternativo per farsi capire ha quindi implicazioni non solo sulla comunicazione, ma anche sull’interazione sociale e l’apprendimento e consente inoltre di prevenire molti problemi di comportamento. Ciò può avvenire fornendo ad esempio al bambino, un codice visivo che potrà essere utilizzato insieme al linguaggio e a supporto dello stesso. Le strategie di CAA potranno essere utilizzate per migliorare la strutturazione della frase e il suo utilizzo a scopo comunicativo. La CAA si avvale innanzitutto di strumenti di tipo visivo iconico: fotografie, disegni, pittogrammi, gesti e segni convenzionali. In una rassegna del 2001 Mirenda fa il punto su ciò che sappiamo sulla CAA e l’autismo, distinguendo fra gli ausili che servono a favorire la comprensione (INPUT) e ausili che facilitano l’espressione e al contempo favoriscono la comprensione (ausili per aumentare l’input e L’OUTPUT). Mirenda distingue inoltre sistemi di CAA che si avvalgono di ausili per l’output: si tratta di metodologie di impostazione comportamentale che insegnano, attraverso l’utilizzo di immagini, a fare delle richieste e a sviluppare altre funzioni comunicative. L’esempio più conosciuto e utilizzato è rappresentato dal Picture Exchange Communication System (PECS), un programma di intervento comportamentale che parte dall’insegnamento della richiesta attraverso lo scambio di un’immagine con l’oggetto. Questo programma, messo a punto da Frost e Bondy (1994) e utilizzato anche in Italia, prevede una sequenza di apprendimento di complessità crescente e consente in un certo numero di casi di aumentare anche le competenze linguistiche.
Un’ altra forma di CAA è il Training di Comunicazione Funzionale centrato sull’insegnamento di abilità di comunicazione il cui scopo principale è quello di ridurre problemi di comportamento che sono connessi proprio con la difficoltà di comunicare. Il livello tecnologico degli strumenti impiegati può essere differente a seconda delle necessità del soggetto ; a questo proposito si è soliti distinguere tra CAA non assistita (si avvale solo del corpo) e CAA assistita (vengono utilizzati strumenti diversi dal corpo). Inoltre, possiamo distinguere una CAA senza tecnologia (per esempio uso di disegni o foto), una CAA a bassa tecnologia ( è il caso di pulsanti attraverso cui possono essere attivati messaggi registrati) e una CAA ad alta tecnologia (strumenti elettronici con sintesi di voce, di varia complessità). L’uso della CAA con soggetti con DSA rappresenta anche un modo concreto per dare applicazione ai principi dell’ICF che enfatizza il ruolo dei fattori ambientali nel rendere possibile la partecipazione e l’integrazione sociale della persona disabile. Tra questi fattori ambientali, la CAA rappresenta facilitatori per i soggetti con disturbi dello spettro autistico.
Devo dire che l’approfondimento sull’autismo durante le lezioni è stato molto interessante e mi ha fatto avvicinare ad un mondo tutto nuovo. Sicuramente uno dei modelli che mi ha affascinata di più è il DENVER MODEL perché credo fortemente che i soggetti autistici debbano trovare prima di tutto un canale espressivo e raggiungere un buon livello di autonomia, tutto quello che riguarda gli apprendimenti e le conoscenze debba essere secondario. Avevo studiato alcuni metodi riabilitativi, ma le mie conoscenze erano molto superficiali. Grazie anche a questo excursus generale sui metodi più importanti posso ritenermi soddisfatta di quanto ho appreso e spero di aver soddisfatto la rischiesta.
BRUNO FEDERICA
Fonti: L.Trisciuzzi, “La pedagogia clinica”, ed. Laterza pagg. 93-99.
www.wikipedia.it
Lavoro complesso e ottimamente articolato,
le richieste dell'esercizio sono state esaurite e superate
la sintesi è arricchita da una veste critica e da un confronto coerente con il quadro teorico. Le citazioni sono ben scelte e il lavoro si presenta completo e ricco di suggestioni.
la tutor Dott.ssa Nunzia Giglio