Professoressa non so cosa sia successo, ma controllando oggi la relazione inserita,non riesco a trovare il messaggio così ho pensato di reinserirlo.
Gruppo Lucia Guarino; Ginevra Piccolo
Cap. 3 Uno sguardo oltre … la disabilità
Esiste senza alcun dubbio un fortissimo mutamento sociale e culturale, al quale si è assistito in particolare negli ultimi anni, nel modo di percepire la disabilità. Un mutamento profondo che si è verificato sia all’interno che all’esterno di questo mondo così articolato e complesso.
All’interno, cambiando il modo con cui i disabili stessi percepiscono e vivono la propria condizione, le proprie relazioni sociali, le possibilità di realizzarsi o di costruirsi un futuro.
All’esterno, sradicando pregiudizi e paure, e creando una società più aperta, più disponibile, in grado di riconoscere diritti e bisogni una volta impensabili per i portatori di handicap.
Ma cosa si intende per disabilità?
La disabilità è la condizione personale di chi, in seguito ad una o più menomazioni, ha una ridotta capacità d'interazione con l'ambiente sociale rispetto a ciò che è considerata la norma, pertanto è meno autonomo nello svolgere le attività quotidiane e spesso è in condizioni di svantaggio nel partecipare alla vita sociale.
La disabilità è ,comunque, un concetto in cambiamento che si colloca in una prospettiva che determina l’intersezione di elementi sociali, culturali e politico-istituzionali, naturalmente mediante l’esperienza di chi vive e interagisce con l’handicap.
Un grande sforzo è stato fatto nel cercare di definire la disabilità, mettendo in primo piano l’importanza che questa tematica ha assunto, in particolare per le scienze sociali volte alla promozione di politiche, finalizzate a determinare l’empowerment dei soggetti disabili, che vede al centro la persona e la sua diretta partecipazione.
In tale prospettiva, quindi, per poter guardare oltre la disabilità, non possiamo prescindere dall’indagare l'evoluzione che il concetto di disabilità ha avuto nel tempo, attraverso i diversi modelli concettuali che sono stati formulati nel corso della riflessione teorica sulla salute, sulla malattia e le sue conseguenze sulla vita della persona, che ha caratterizzato il ventesimo secolo. Tra i primi modelli ricordiamo quello medico, o biomedico, per il quale la disabilità è un problema strettamente legato all'individuo, causata da una malattia o da una lesione. Esso in particolare, pone a confronto la qualità di vita condotta dai soggetti disabili con quella dei normodotati, considerando il disabile un soggetto passivo, non utile alla società, e di cui, quindi, la società non può interessarsi. La malattia è considerata un’interruzione dello stato normale per cui lo sviluppo dei soggetti disabili è reso possibile solo attraverso l'impegno e la preparazione dei professionisti sanitari mediante il processo di riabilitazione, e mediante il supporto di strutture sanitarie, considerate unica opportunità di crescita.
Un modello che si contrappone, invece,al modello medico è il modello sociale che interpreta la salute come uno stato di benessere complessivo che comprende non solo l’aspetto fisico, mentale e sociale, ma anche l’interazione della persona con l’ambiente. Infatti, i teorici di questo approccio ritenevano che le persone con menomazioni vengono relegate a ruoli secondari all’interno della società sulla base di decisioni mediche e sanitarie che influiscono su tutti gli aspetti della loro vita. Quindi la disabilità non è un attributo dell’individuo, ma è un qualcosa che viene imposto dal modo in cui noi siamo isolati ed esclusi dalla piena partecipazione alla società. È quindi la società che rende disabili le persone che hanno delle menomazioni.
Un importante contributo, alla fine degli anni 50 , è stato fornito anche dal lavoro del sociologo Nagi, il quale ha definito la disabilità come l’espressione delle limitazioni funzionali nel contesto sociale ed in quello lavorativo, cioè la disabilità è un prodotto dell’interazione tra l’individuo e l’ambiente, che pone delle richieste all’individuo. In maniera esplicita, quindi, il modello di Nagi riconobbe il ruolo dell’ambiente sociale nel processo del disablement. Una visione in linea con il modello biopsicosociale o ICF, affermatosi alla fine degli anni settanta, con il quale si ha la prima svolta nella riflessione sulla disabilità. Con questo approccio si cambia prospettiva, guardando la disabilità in termini di interazione fra le componenti biologiche, individuali e sociali. Esso pone alla base il concetto di salute e il suo mantenimento; considerando, appunto, la disabilità come la conseguenza o il risultato di una complessa relazione tra la condizione di salute di un individuo e i fattori personali e i fattori ambientali che rappresentano le circostanze in cui esso vive. La persona disabile è ora al centro, con i suoi bisogni; ma soprattutto è una persona attiva, che gestisce le condizioni della propria salute mediante il suo rapporto con la società, determinando così il suo empowerment.
Un ulteriore e importante passo in avanti è stato fatto, sicuramente, con l’applicazione del modello Capability alla disabilità. Un modello che guarda al benessere della persona non in termini di risorse materiali, di produttività, quindi di utilità per la società, ma in termini di qualità della vita, quindi di possibilità e di libertà che ognuno ha per poter raggiungere il benessere individuale. A tal fine, esso focalizza l’attenzione sulla pluralità di fattori personali e familiari, e sulle molteplicità di contesti sociali, ambientali, economici, istituzionali, culturali, che agiscono nella determinazione del processo di benessere individuale, sostituendo l’idea di benessere materiale con l’idea di “star bene”, una condizione che include aspetti della vita umana a cui non corrisponde direttamente un valore monetario, ma che hanno un valore di per sé come l’istruzione e la conoscenza, il livello di nutrizione o le condizioni di salute, la sicurezza personale e la qualità dell’ambiente in cui si vive, le libertà politiche, civili e culturali di cui si dispone.
Possiamo dire, che questo approccio consente di superare il dilemma delle differenze, in quanto si focalizza sulle specificità della situazione e dei bisogni del singolo, senza imprigionarlo con una etichetta immutabile; esso restituisce dignità alla persona attraverso la centralità dell’essere umano.
In tale prospettiva, il modello Capability è quello che maggiormente ha contribuito a determinare nuove impostazioni per le politiche di sviluppo nei confronti della disabilità, rappresentando un punto di partenza cruciale per un
mutamento delle modalità di implementazione delle politiche che devono allargare lo spazio informativo su cui basare le decisioni, includendo aspetti non materiali, come la dignità, il rispetto verso se stessi e gli altri, l’amore e le attenzioni (intese come care); concentrandosi sul concetto di vulnerabilità, di opportunità e di possibilità, per adottare una prospettiva inclusiva e di empowerment.
Dall’analisi dei diversi approcci alla disabilità, affrontata in questo capitolo possiamo dire che vi sono sostanziali differenze tra essi, ma anche evidenti somiglianze, soprattutto tra gli ultimi modelli trattati in quanto essi enfatizzano l’importanza delle relazioni tra l’individuo e la collettività. Avere una vita “normale” significa avere la possibilità di pensare al proprio benessere e avere la libertà di poter fare le proprie scelte per vivere la vita che si desidera, compito della società è, quindi, quello di espandere le opportunità e le libertà di cui le persone possono godere, e questo vale per tutti.
ottime considerazioni
personalizzate e ragionate
la docente