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Forum didattico del corso di Psicopedagogia dei linguaggi a.a.2011-12 a cura di F. Briganti Stanza di collaborazione del gruppo classe


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    ES. 2 - BEN-ESSERE DISABILI (chiude 3 febbraio)

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    ES. 2 - BEN-ESSERE DISABILI (chiude 3 febbraio) - Pagina 10 Empty Svolgimento dell'esercizio 2 dal testo "Ben-essere disabili" capitolo 3 "Uno sguardo oltre.....la disabilità".

    Messaggio  Di Meo Livia Rosa Sab Gen 28, 2012 4:03 pm

    Il tema della disabilità si colloca oggi in una prospettiva che determina l'intersezione di svariati elementi che la contraddistinguono, elementi che possono essere: sociali, culturali e politico-istituzionali, naturalmente mediante l'esperienza di chi vive e interagisce con un handicap.Per tanto stabilire un ottica di analisi e relazione tra i differenti modi di intendere la disabilità, ci permette di uscire da una concezione semplicistica di essa ridotta ormai a semplici stereotipi, tanto e vero che anche quando si parla di "inclusione" o "esclusione" dei soggetti disabili in ogni qualsivoglia tipologia di ambiente e contesto, non si può prescindere dall'analisi del concetto di coesione e di dissociazione sociale, concetti relativi proprio alle persone con handicap.Per tali motivi, fondamentale è studiare l'evoluzione che il concetto di disabilità ha avuto nel corso del tempo, ma soprattutto delle diverse teorie e filoni che ne hanno parlato.
    Di solito per disabilità intendiamo un'inabilità nel fare qualcosa; poichè siamo in tanti a pensare la disabilità in questi termini, non è detto che vi sia per forza una maniera univoca di pensiero, anzi non esiste assolutamente un modo specifico di intendere la disabilità, ma tante sono state le definizioni date a tale parola, perchè tante e differenti sono state le discipline e gli scopi per i quali questo termine viene utilizzato.
    Nel corso del tempo lo sforzo nel cercare di definire la disabilità è stato netevole, ma perchè?
    Perchè tale sforzo spiega l'importanza fondamentale di questa tematica soprattutto nelle scienze sociali, infatti quasi tutti i modelli teorici muovono dal presupposto che la promozione di politiche finalizzate a determinare l'empowerement dei soggetti disabili debbano essere sempre pensate ed attuate mediante la loro partecipazione.La disabilità quindi rappresenta sia una variabile contestuale, sia un'opportunità di vedere questa sorta di "esperienza" come un invito per il coinvolgimento personale di ognuno di noi,
    Come? Attraverso il nostro aiuto/ mutuo-aiuto.
    Nonostante ciò ancora oggi vi sono pensieri controversi di studiosi che ritengono che non esista alcun modello assoluto in grado di dare una concezione generica di "disabilità", ritengono altresì che ogni modello sicuramente possa essere utile nell'apportare una propria prospettiva a riguardo, ma che nessuno sia legato da un unico filo conduttore. Per tanto, non possiamo non analizzare brevemente i modelli principali che hanno parlato di disabilità, analizzeremo approcci modernissimi che ci permetteranno davvero di guardare (come afferma il titolo del capitolo da me scelto).....oltre la disabilità!
    Nel corso della storia sono stati tantissimi i modelli e, gli approcci che si sono battuti per dare e affermare una propria visione della disabilità, tra i primi ricordiamo "il modello medico", o biomedico che considerava la disabilità come un problema strettamente legato all'individuo, causata da una malattia o da una lesione,una delle caratteristiche di questo modello era quella di attuare il confronto tra la qualità di vita condotta dai soggetti disabili e quelli normodotati, creando ancora di più l'enorme divario che differenzia entrambe le categorie; per il modello biomedico a determinare lo sviluppo dei soggetti disabili può essere solo l'impegno e la preparazione dei professionisti sanitari mediante il processo di riabilitazione, e mediante il supporto di strutture sanitarie, luoghi che vengono visti come unica opportunità di crescita.
    Un secondo modello è quello "sociale" che si contrappose a quello medico nel determinare l'inadeguatezza degli istituti sanitari al fine di determinare il processo di miglioramento dei soggetti disabili, il problema sostanziale è che rinchiudere queste persone considerate "diverse" significava creare una sorta di discriminazione, emrginandoli dalla società!Fu proprio per questo motivo che negli anni 60 del 900 nascono le prime associazioni dei genitori di soggetti disabili che rivendicavano i diritti dei loro figli, considerati le così dette "vittime del sistema", la disabilità incomincia ad essere considerata un problema non solo del singolo, ma della collettività tutta, alla quale veniva attribuita la principale causa del problema "disabilità".
    Ricordiamo poi brevemente "il modello Nagi", il quale studiò la disabilità strettamente correlata al concetto di riabilitazione, per Nagi l'essere disabili nasce e scaturisce da una molteplicità di fattori che possono essere sociali, fisici e ambientali entro i quali il soggetto disabile vive ed interagisce.
    La prima svolta si avrà solo con il modello "Bio-psico sociale"o anche ICF ove alla base di tutto vi è la concezione di salute ed il suo "mantenimento", per tale modello valutare lo stato di salute dell'individuo significava tener conto di tanti elementi , ovvero : biologici, psicologici e sociali, l'analisi dell'interazione tra questi permettono di prescrivere al paziente un adeguato trattamento. Tale modello dà altresì importanza al concetto di "persona attiva" cioè persona che gestisce attivamente le condizioni della propria salute mediante il suo rapporto con la società, determinando così il suo empoweremment, questo avviene proprio grazie al fatto che il soggetto attivo riesce ad avere un potere di controllo su se stesso attraverso la valutazione del mondo esterno ( di quì l'importanza dell'influenza sociale).
    Ma la vera svolta si avrà con l'affermazione del modello Capability uno degli approcci che ha maggiormente contribuito a determinare nuove impostazioni per le politiche di sviluppo nei confronti della disabilità; esso mette al centro dei suoi studi l'essere umano studiando le politiche del Welfare, in particolar modo l'analisi degli standard di vita; il modello Capability muove dal presupposto che bisogna analizzare le persone in base a quello che sanno o non sanno fare,insomma la qualità del loro stile di vita; Capability è la libertà di raggiungere degli obiettivi e la società tutta deve far in modo che tutti possano raggiungere i propri obiettivi garantendo ad essi le stesse possibilità, in poche parole al fine di determinare l'empowerement del singolo e della collettività bisogna ampliare il grado di libertà delle persone, una libertà che viene vista come possibilità di miglioramento!
    Per tanto lo sviluppo della persona in quanto tale si viene ad evidenziare mediante le opportunità di crescita che gli vengono offerte, che non sono da intendere solo come bisogni primari come :mangiare, bere...ma anche bisogni allo stesso tempo fondamentali come :leggere , scrivere...queste sono tutte opportunità che il contesto sociale deve offrire a tutte le persone disabili e non, nello specifico i soggetti disabili secondo l'approccio Capability possono essere in grado di superare il fenomeno della discriminazione e dell'oppressione sociale, superando la "menomazione" stessa!!
    Avere un handicap, significa già trovarsi in una situazione di svantaggio, poi se l'ambiente non è nemmeno strutturato adeguatamente, non si può nemmeno pensare a rendere tale "categoria" di soggetti, SOGGETTI ATTIVI!
    Ritengo quindi che l'approccio Capability sia stato nel corso della storia quello che maggiormente ha determinato una vera svolta nella concezione di disabilità,intendendo per "diversità" l'inclusione di caratteristiche personali come: etnia, genere e menomazioni, che nessun altro approccio ha considerato così strettamente interconnesse tra loro.
    A mio parere dall'analisi del capitolo, posso sicuramente constatare l'evidente differenza tra i modelli all'inizio elencati, da quello Capability, perchè questo riduce notevolmente l'interpretazione dell'esperto dando più importanza alla persona disabile come soggetto attivo, solo l'ICF si avvicina a tale modello, e solo perchè questo si preoccupa di un ampia gamma di problematiche relative alla vita di una persona, per tanto ritengo che se l'ICF possa essere in grado di offrire un modello a dir poco "universale" per la concezione della disabilità e per documentare le differenze soggettive, l'approccio Capability (di Sen) può allargare la nostra concezione di disabilità stessa proprio perchè la ritiene parte della condizione umana più che una "deviazione".

    Di Meo Livia Rosa

    Lavoro molto ben strutturato,
    le richieste dell'esercizio sono state esaurite e superate
    la sintesi è arricchita da una veste critica e da un confronto coerente con il quadro teorico.
    Il lavoro si presenta personalizzato e ricco di suggestioni.
    la docente

    Di Meo Livia Rosa
    Di Meo Livia Rosa


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    ES. 2 - BEN-ESSERE DISABILI (chiude 3 febbraio) - Pagina 10 Empty Re: ES. 2 - BEN-ESSERE DISABILI (chiude 3 febbraio)

    Messaggio  Di Meo Livia Rosa Sab Gen 28, 2012 4:34 pm

    Alla mia interpretazione del capitolo voglio aggiungere un ulteriore approfondimento sulla'approccio Capability:
    Il framework delle capability aiuta a superare alcuni dei limiti caratteristicidei principali modelli utilizzati nel campo della disabilità e i loro risultati potenzialmente contrastanti. In particolare sposta il focus dalle specificità della situazione invalidante alla ricerca dell’uguaglianza in termini di opportunità che risultano centrali per lo sviluppo umano. Inoltre, poiché l’efficacia e la desiderabilità di alcune politiche viene ad essere connessa all’espansione delle capacità umane e ai valori delle persone, adottare l’approccio delle capability cambia anche il focus sullo scopo e i processi delle politiche. La partecipazione assume un ruolo centrale nello sviluppo umano.
    Desidero per questi motivi concludere questa mia impressione a riguardo con una riflessione
    sull’empowerment,mediante la posizione dello studioso Stanley Engerman mediante la quale studiò l’ampia e persistente diffusione, nella storia economica dell’umanità, del fenomeno della “schiavitù volontaria”: quando gli schiavi accedono alla libertà, accorgendosi che le condizioni del loro benessere materiale diverrebbero peggiori o quantomeno più incerte, scelgono di mantenere lo status precedente.
    Il fenomeno menzionato da Engerman offre un interessante spunto per la nostra riflessione sul nesso tra disabilità e approccio delle capability. Mentre per lo schiavo conta l’aspetto “oggettivo” della sopravvivenza, altri possono respingere la libertà a loro disposizione per ragioni soggettive. Nel caso delle persone con disabilità, questa condizione può diventare una caratteristica centrale nella costruzione dell’identità sociale di chi ne è portatore. Costui rischia di “barricarsi” dietro la disabilità, per stabilizzare un’immagine di sé, per fronteggiare l’angoscia di questa sua fragilità, ma, nel contempo, limita il suo desiderio di esprimersi creativamente e proattivamente nei confronti della limitazione data. Ciò è evidente in quelle famiglie che si strutturano attorno all’ “aiuto” al “membro difettoso”, ma vale anche per lo stesso individuo “portatore
    di minorazione”.
    Queste considerazioni appaiono decisive nel ripensamento delle policy. Se, da una parte, l’unico percorso democratico sembra consistere in un percorso partecipativo nella definizione dei compiti che le istituzioni dovrebbero assumere in materia di interventi volti alla riduzione del disagio, dall’altra parte, appare altrettanto chiaro che tale percorso partecipativo non può presupporre i soggetti, ma per molti aspetti deve assumere il compito di produrli. Questa è la sfida più grande che sto cercando di analizzare mediante questa breve riflessione, cercando di individuare i percorsi dell’azione collettiva e le metodologie di empowerment
    che siano in grado di fornire un supporto alle politiche pubbliche che intendono intervenire sulla disabilità.
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    ES. 2 - BEN-ESSERE DISABILI (chiude 3 febbraio) - Pagina 10 Empty Re: ES. 2 - BEN-ESSERE DISABILI (chiude 3 febbraio)

    Messaggio  giustina maione Sab Gen 28, 2012 6:37 pm

    mi prenoto cap. 7 educarsi al ben-essere
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    ES. 2 - BEN-ESSERE DISABILI (chiude 3 febbraio) - Pagina 10 Empty Re: ES. 2 - BEN-ESSERE DISABILI (chiude 3 febbraio)

    Messaggio  monicasomma Sab Gen 28, 2012 8:26 pm

    il nostro gruppo è formato da:
    Somma Monica, Maria Signoriello, Adriana Patricola, Angela Cira Somma.
    Adriana Patricola
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    ES. 2 - BEN-ESSERE DISABILI (chiude 3 febbraio) - Pagina 10 Empty Re: ES. 2 - BEN-ESSERE DISABILI (chiude 3 febbraio)

    Messaggio  Adriana Patricola Sab Gen 28, 2012 11:16 pm

    Lavorerò con: Somma Monica, Maria Signoriello, Angela Cira Somma.
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    Stefania Montanaro


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    ES. 2 - BEN-ESSERE DISABILI (chiude 3 febbraio) - Pagina 10 Empty Re: ES. 2 - BEN-ESSERE DISABILI (chiude 3 febbraio)

    Messaggio  Stefania Montanaro Dom Gen 29, 2012 11:44 am

    Relazione cap 7 : Educarsi al ben- essere del gruppo formato da Montanaro Stefania e Nunzia Formisano


    RELAZIONE
    : EDUCARSI AL BEN- ESSERE



    Se guardiamo allo sviluppo
    storico della scuola italiana ci rendiamo conto come negli ultimi dieci anni
    innumerevoli cambiamenti ne hanno modificato la fisionomia, tra cui quelli significativi
    introdotti dal Regolamento dell’ autonomia ( DPR 275 /99).Si è affermato dunque
    un doppio significato di formazione inteso come :



    - risorsa
    permanente per la crescita e il ben- essere di ogni individuo;



    - principale
    condizione per lo sviluppo economico, sociale e culturale.



    Di fronte a questa nuova
    declinazione del significato di formazione il sistema scolastico si carica di
    responsabilità , e il sistema di formazione/ istruzione si amplia diventando una
    comunità di soggetti co- protagonisti e co- responsabili. Lo strumento utilizzabile dai sistemi
    formativi sarebbe caratterizzato da un’ attenta modulazione dell’ offerta
    formativa , che dovrebbe muoversi tra saperi didattico- disciplinari e esigenze
    di sviluppo sociale e personale degli alunni.



    La nostra attenzione va proprio
    in quest’ ultima direzione, perché mira a chiarire cosa significa Educarsi
    al ben- essere
    e cosa significa ciò se calato nel contesto istruzione/
    formazione.



    Per ben- essere si intende “lo
    star bene vivendo sempre di più e con maggiore consapevolezza la dimensione
    soggettiva della propria vita. Il ben- essere oggettivo appare sempre più la
    conseguenza del ben- essere oggettivo”.[1]



    Se si sta bene si migliora anche
    la percezione del ben-essere e della propria salute, strettamente collegati alla
    qualità delle relazioni, al clima scolastico, alle diverse modalità attraverso
    cui si vive la scuola. Si passa da un’ accezione quantitativa del ben- essere
    inteso come possedere beni , ad un significato qualitativo del termine . Dietro
    questo cambio di paradigma si celano numerose prospettive teoriche tra cui il
    relativismo culturale, propugnato da Vygotskij, attraverso cui si afferma come
    il patrimonio innato rappresenta solo il punto di inizio del percorso;
    “collocare il soggetto , privo di una grande capacità, in una cultura altra”
    può consentire a quest’ultimo di rifiorire e progredire. Una interpretazione di
    stampo costruttivistico- sociale consente di focalizzare, in campo pedagogico,
    l’ attenzione sulle relazione tra le persone , e nello specifico alla relazione
    educativa persone.



    L’ UNESCO, nelle Raccomandazioni,
    oltre al conoscere e al fare, punta l’ attenzione su programmi di insegnamento
    che sviluppano il set di capability di un soggetto.



    In questo modo “si trasforma una
    libertà formale, fornita dalla legislazione, in libertà reale”.[2]
    Se è infatti vero che la legge garantisce il successo formativo per tutti gli
    individui è necessario che il passaggio alla prassi consenta, ad un individuo
    formato in questo senso, di poter scegliere su cosa investire, passando poi ad
    una specifica definizione di obiettivi e risorse da implementare. All’interno
    di questa cornice diventa fondamentale perseguire le Life Skill, grazie a cui ciascun individuo
    svela il proprio potenziale. Possiamo individuare i quattro pilastri su cui
    fondare ogni progetto di educazione :



    - Imparare
    a conoscere /sviluppare il ragionamento : in tale ambito rientrano abilità di
    critica collegati al pensiero cognitivo, abilità di problem- solving e di presa
    di decisione;



    - Imparare
    a fare / functionings and capabilities , funzionali all’ acquisizione di
    capacità legate al funzionamento delle relazioni sociali e al successo sul
    lavoro.



    - Imparare
    ad essere / aumentare l’ agency : collegate alle abilità di vita di auto-
    determinazione , autoconsapevolezza, autostima.



    - Imparare
    a vivere insieme / costruire potenziale attraverso capitale sociale al fine di
    contribuire ad una attiva partecipazione sociale, e la formazione al
    relativismo e alla diversità.



    Nel 1997 si
    è avuta la pubblicazione da parte dell’ OMS del documento Life skills education in schools all’ interno del quale furono
    elencate le abilità relazionali e personali utili per la gestione positiva dei
    rapporti con gli altri soggetti. Tali Life skills perseguite nello sforzo educativo,
    rappresentano lo strumento per raggiungere il ben- essere e con esso la salute,
    articolata in salute fisica e mentale. La sua responsabilità non deve ricadere
    unicamente sul personale sanitario ma sulla comunità tutta. Come afferma Sen
    non si può parlare di sviluppo sostenibile se l’ educazione si riduce all’
    acquisizione dell’ abilità della lettura e scrittura, senza attuare una
    capability approch. Il raggiungimento di queste ultime sarà realizzato
    attraverso l’utilizzo di metodologie basate sulla partecipazione e l’
    esperienza attiva, come nel caso del brainstorming, del role playing,
    apprendimento in gruppo.



    Approcciarsi
    all’ insegnamento attraverso una visione critica a tutto campo diventa
    prerequisito di qualsiasi tipo di azione formativa. Siamo chiamati a rivestire
    un ruolo di profonda responsabilità , e per svolgerlo, non si può di certo
    lasciarsi guidare dal caso o dall’improvvisazione. Abbiamo ritrovato nelle
    argomentazioni precedenti il riverbero di discorsi precedentemente ascoltati.
    In un articolo di Canevaro- Ianes Le “Indicazioni per il Curricolo” del
    Ministro della Pubblica Istruzione
    si
    ragiona esattamente nella stessa direzione , ponendo al centro lo spaccato
    esperienziale come finestra di collegamento tra il mondo esterno e interno. Nello
    specifico il discorso di Sen richiama le parole di Canevaro, quando sottolinea
    come per una reale integrazione non si può credere ingenuamente in un semplice
    affiancamento del soggetto alla classe; se la finalità da realizzare è la reale
    libertà e non l’ enunciazione di un principio, essa potrà essere perseguita e
    raggiunta soltanto potenziando la capacità di scegliere in ciascun individuo.














    [1] Iavarone
    M. Luisa, Educare al ben- essere, Mondadori , p.157






    [2] Iavarone
    M. Luisa, opcit, p. 161.


    Come tutti i tuoi lavori
    anche questo si presenta originalmente svolto,
    e ben articolato.
    le richieste dell'esercizio sono state esaurite e arricchite da un confronto
    con il testo della Iavarone.
    la sintesi è arricchita da una veste critica.
    la docente
    Nunzia Formisano
    Nunzia Formisano


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    ES. 2 - BEN-ESSERE DISABILI (chiude 3 febbraio) - Pagina 10 Empty Re: ES. 2 - BEN-ESSERE DISABILI (chiude 3 febbraio)

    Messaggio  Nunzia Formisano Dom Gen 29, 2012 11:50 am

    Relazione capitolo 7: educarsi al ben- essere del gruppo formato da Montanaro Stefania e Nunzia Formisano

    RELAZIONE : EDUCARSI AL BEN- ESSERE
    Se guardiamo allo sviluppo storico della scuola italiana ci rendiamo conto come negli ultimi dieci anni innumerevoli cambiamenti ne hanno modificato la fisionomia, tra cui quelli significativi introdotti dal Regolamento dell’ autonomia ( DPR 275 /99).Si è affermato dunque un doppio significato di formazione inteso come :
    - risorsa permanente per la crescita e il ben- essere di ogni individuo;
    - principale condizione per lo sviluppo economico, sociale e culturale.
    Di fronte a questa nuova declinazione del significato di formazione il sistema scolastico si carica di responsabilità , e il sistema di formazione/ istruzione si amplia diventando una comunità di soggetti co- protagonisti e co- responsabili. Lo strumento utilizzabile dai sistemi formativi sarebbe caratterizzato da un’ attenta modulazione dell’ offerta formativa , che dovrebbe muoversi tra saperi didattico- disciplinari e esigenze di sviluppo sociale e personale degli alunni.
    La nostra attenzione va proprio in quest’ ultima direzione, perché mira a chiarire cosa significa Educarsi al ben- essere e cosa significa ciò se calato nel contesto istruzione/ formazione.
    Per ben- essere si intende “lo star bene vivendo sempre di più e con maggiore consapevolezza la dimensione soggettiva della propria vita. Il ben- essere oggettivo appare sempre più la conseguenza del ben- essere oggettivo”.
    Se si sta bene si migliora anche la percezione del ben-essere e della propria salute, strettamente collegati alla qualità delle relazioni, al clima scolastico, alle diverse modalità attraverso cui si vive la scuola. Si passa da un’ accezione quantitativa del ben- essere inteso come possedere beni , ad un significato qualitativo del termine . Dietro questo cambio di paradigma si celano numerose prospettive teoriche tra cui il relativismo culturale, propugnato da Vygotskij, attraverso cui si afferma come il patrimonio innato rappresenta solo il punto di inizio del percorso; “collocare il soggetto , privo di una grande capacità, in una cultura altra” può consentire a quest’ultimo di rifiorire e progredire. Una interpretazione di stampo costruttivistico- sociale consente di focalizzare, in campo pedagogico, l’ attenzione sulle relazione tra le persone , e nello specifico alla relazione educativa persone.
    L’ UNESCO, nelle Raccomandazioni, oltre al conoscere e al fare, punta l’ attenzione su programmi di insegnamento che sviluppano il set di capability di un soggetto.
    In questo modo “si trasforma una libertà formale, fornita dalla legislazione, in libertà reale”. Se è infatti vero che la legge garantisce il successo formativo per tutti gli individui è necessario che il passaggio alla prassi consenta, ad un individuo formato in questo senso, di poter scegliere su cosa investire, passando poi ad una specifica definizione di obiettivi e risorse da implementare. All’interno di questa cornice diventa fondamentale perseguire le Life Skill, grazie a cui ciascun individuo svela il proprio potenziale. Possiamo individuare i quattro pilastri su cui fondare ogni progetto di educazione :
    - Imparare a conoscere /sviluppare il ragionamento : in tale ambito rientrano abilità di critica collegati al pensiero cognitivo, abilità di problem- solving e di presa di decisione;
    - Imparare a fare / functionings and capabilities , funzionali all’ acquisizione di capacità legate al funzionamento delle relazioni sociali e al successo sul lavoro.
    - Imparare ad essere / aumentare l’ agency : collegate alle abilità di vita di auto- determinazione , autoconsapevolezza, autostima.
    - Imparare a vivere insieme / costruire potenziale attraverso capitale sociale al fine di contribuire ad una attiva partecipazione sociale, e la formazione al relativismo e alla diversità.
    Nel 1997 si è avuta la pubblicazione da parte dell’ OMS del documento Life skills education in schools all’ interno del quale furono elencate le abilità relazionali e personali utili per la gestione positiva dei rapporti con gli altri soggetti. Tali Life skills perseguite nello sforzo educativo, rappresentano lo strumento per raggiungere il ben- essere e con esso la salute, articolata in salute fisica e mentale. La sua responsabilità non deve ricadere unicamente sul personale sanitario ma sulla comunità tutta. Come afferma Sen non si può parlare di sviluppo sostenibile se l’ educazione si riduce all’ acquisizione dell’ abilità della lettura e scrittura, senza attuare una capability approch. Il raggiungimento di queste ultime sarà realizzato attraverso l’utilizzo di metodologie basate sulla partecipazione e l’ esperienza attiva, come nel caso del brainstorming, del role playing, apprendimento in gruppo.
    Approcciarsi all’ insegnamento attraverso una visione critica a tutto campo diventa prerequisito di qualsiasi tipo di azione formativa. Siamo chiamati a rivestire un ruolo di profonda responsabilità , e per svolgerlo, non si può di certo lasciarsi guidare dal caso o dall’improvvisazione. Abbiamo ritrovato nelle argomentazioni precedenti il riverbero di discorsi precedentemente ascoltati. In un articolo di Canevaro- Ianes Le “Indicazioni per il Curricolo” del Ministro della Pubblica Istruzione si ragiona esattamente nella stessa direzione , ponendo al centro lo spaccato esperienziale come finestra di collegamento tra il mondo esterno e interno. Nello specifico il discorso di Sen richiama le parole di Canevaro, quando sottolinea come per una reale integrazione non si può credere ingenuamente in un semplice affiancamento del soggetto alla classe; se la finalità da realizzare è la reale libertà e non l’ enunciazione di un principio, essa potrà essere perseguita e raggiunta soltanto potenziando la capacità di scegliere in ciascun individuo.

    Come tutti i tuoi lavori
    anche questo si presenta originalmente svolto,
    e ben articolato.
    le richieste dell'esercizio sono state esaurite e arricchite da un confronto
    con il testo della Iavarone.
    la sintesi è arricchita da una veste critica.
    la docente
    Cristina Ruotolo
    Cristina Ruotolo


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    Messaggio  Cristina Ruotolo Dom Gen 29, 2012 3:27 pm

    Gruppo: Ruotolo Cristina, Piscitelli Ersilia, Morgillo Giovanna

    Benessere nella disabilità


    Negli ultimi anni la ricerca in ambito psicologico si è sempre più interessata alle varie forme del vivere bene; nelle maggiori riviste scientifiche infatti si possono trovare numerosi lavori volti allo studio del benessere e delle risorse individuali (per esempio l’American Psychologist, 2005).Vivere in modo ottimale, raggiungere il benessere e la felicità, sta diventando quindi obiettivo di ricerca e non solo aspirazione di ciascuno individuo. Ma parlare di benessere e di felicità equivale a dire la stessa cosa? E’ una domanda che non ci siamo mai poste e nell’affrontarle, ci sembrano indicare uno stesso significato soprattutto se rapportato alla disabilità. Nella storia del genere umano la disabilità costituisce una presenza costante con cui l’uomo si è dovuto da sempre confrontare. In epoche antiche i diversamente abili venivano messi all’indice o addirittura eliminati. Ancora oggi in troppi luoghi del pianeta e anche in città considerate all’ avanguardia, mancano le strutture adatte per permettere ai disabili libertà di movimento e una certo grado di autosufficienza.Secondo una definizione abbastanza completa, per raggiungere uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale una persona deve essere capace di soddisfare i suoi bisogni, di realizzare le proprie aspirazioni, di affrontare e cambiare l’ambiente che lo circonda. In questo una persona normale ed autonoma può incontrare difficoltà. E una persona diversamente abile? È possibile promuovere il benessere anche per chi si trova in una situazione di difficoltà? Purtroppo, nella maggior parte dei casi, una persona diversamente abile non è autonoma e il continuo dipendere dagli altri può portarla ad incontrare molte avversità nel momento in cui “mette piede nella società”. A questo punto riteniamo che è proprio dalla società e dalle diverse istituzioni che devono partire quegli input e quelle iniziative per guidare il soggetto a raggiungere un ben-essere generale. Anche Canevaro afferma che il ben-essere di un individuo non è legato alla sua condizione individuale autarchica, quanto a quello che qualcuno oggi chiama capitale sociale, cioè l’insieme delle capacità che l’individuo ha di organizzarsi e di adattarsi grazie a elementi di mediazione con le strutture che lo circondano, cioè con i contesti.
    Ciascun individuo deve essere visto come un agente attivo di cambiamento e questo vale per tutti i membri della comunità, soprattutto per le persone che hanno disabilità. E' in questa direzione che si cerca di promuovere il ben-essere delle persone disabili. Bisogna puntare all'autosufficienza e all'autonomia anche se minima. L'aiuto non deve però essere dato al soggetto rendendolo insufficiente e debole. Questo è quanto ritroviamo nell'ICDH o nell' ICD-11. L'aiuto deve consistere, invece, nel facilitare l'accesso all'impalcatura relazionale e divenire aiuto mutuale. Bisogna costruire partendo dalla forza e dalle abilità di questi soggetti e non dalle loro debolezze. Bisogna puntare sulla dimensione relazionale che risulta essere una strategia importante per raggiungere lo stato di ben-essere di una persona con disabilità. In ambito educativo si parla sempre più di educazione inclusiva che ha a cuore il ben-essere e la qualità della vita della persona, puntando non solo sulla sua istruzione ma anche sulla sua educazione. Alla base della politica e della pratica dell’educazione inclusiva c’è il bene comune di tutti i bambini. Questa prospettiva è basata su una visione positiva della differenza in cui la diversità dei bambini viene considerata come una risorsa (Terzi, 2005).
    L’educazione inclusiva riguarda il ben-essere di tutti i bambini e il fornire una cultura e una pratica in cui tutte le barriere alla partecipazione possano essere identificate e da ultimo rimosse (Booth e Ainscow, 2008). Come afferma Edgar Morin “bisogna insegnare a vivere”: insegnare le regole del vivere e del convivere è per la scuola un compito oggi ancora più ineludibile rispetto al passato.Tutti abbiamo le potenzialità per decidere di essere ciò che vogliamo e ruolo dell’educazione è proprio quello di permettere l’attivarsi di questo potenziale attraverso la creazione di un ambiente “facilitante”, in cui gli attori coinvolti possano essere in grado di coevolvere insieme nella direzione di uno sviluppo positivo.
    Ciascun diversamente abile deve essere incoraggiato a seguire il proprio percorso di complessità e condivisione, ad usare efficacemente i propri talenti e punti di forza, a coltivare attività che favoriscano esperienze ottimali, a perseguire l’autodeterminazione attraverso l’esercizio della libertà e della responsabilità.
    Oggi sono state fondate molte associazioni ed organizzazioni che si occupano di tutelare i diritti dei disabili e migliorare la loro qualità di vita. Nel Regno Unito è stato emanato il Disability Discrimination Act, un documento che promuove i diritti civili delle persone disabili e ha l'obiettivo di superare la discriminazione. In Italia fu introdotta la Legge 104/92 per offrire alle persone con disabilità gli stessi diritti di accesso ai servizi pubblici delle persone non disabili, con l'obiettivo di “normalizzare” le vite delle persone con disabilità.
    Effettuando alcune ricerche, abbiamo individuato in particolare un progetto che utilizza la SIS (Scala dell'Intensità dei Sostegni), uno strumento che analizza i sostegni sociali necessari alle persone con disabilità per condurre una vita indipendente. La scala SIS è in grado di dare supporto ai bisogni individuali e permettere, quindi, che le persone possano realmente essere incluse nella comunità. In sostanza, una chiave di accesso ad un «diritto di cittadinanza» che, per i disabili, spesso è riconosciuto solo sulla carta. L'elemento caratteristico della Scala di valutazione non è quello di evidenziare i limiti della persona, ma i sostegni di cui ha bisogno per vivere nella vita di comunità.Individua non solo quello che non funziona, ma anche quello che manca per raggiungere una buona qualità di vita. La SIS consente questo ed è il primo strumento scientifico completo e validato ampiamente utilizzato negli Stati Uniti e in Canada e in sedici Paesi nel resto del mondo. È uno strumento straordinario perché consente di capire i bisogni reali di ciascuno, permettendo anche un investimento economico differenziato da persona a persona.La scala di valutazione fa vedere in modo chiaro quanto manca a ciascuno per migliorare la qualità della vita. Tradizionalmente la psicologia, la pedagogia e la medicina misuravano il livello di disabilità evolutiva di un soggetto individuando i deficit della persona. La SIS sposta l'analisi dai deficit ai bisogni effettivi della persona, valutando i sostegni di cui i disabili hanno bisogno per raggiungere il livello di funzionamento migliore possibile e aumentare il livello di indipendenza.Oggi si deve operare affinché chi non è capace di svolgere determinate funzioni possa farlo, devono continuamente realizzarsi percorsi contro l’emarginazione e promuovere attività che consentono pari opportunità a questi soggetti. Tutti abbiamo il diritto a stare bene e ad essere felici raggiungendo il
    BEN-ESSERE.

    Bibliografia:
    Capitolo Ben-essere nella disabilità
    www.ic2bortolan.it
    www.giornaledibrescia.it


    Lavoro complesso e ottimamente articolato,
    le richieste dell'esercizio sono state esaurite e superate
    la sintesi è arricchita da una veste critica e da un confronto coerente con il quadro teorico.
    Si vede che il gruppo ha lavorato attraverso riflessioni originali
    da una base teorica.
    la docente
    Ersilia Piscitelli
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    Messaggio  Ersilia Piscitelli Dom Gen 29, 2012 3:33 pm

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    Benessere nella disabilità


    Negli ultimi anni la ricerca in ambito psicologico si è sempre più interessata alle varie forme del vivere bene; nelle maggiori riviste scientifiche infatti si possono trovare numerosi lavori volti allo studio del benessere e delle risorse individuali (per esempio l’American Psychologist, 2005).
    Vivere in modo ottimale, raggiungere il benessere e la felicità, sta diventando quindi obiettivo di ricerca e non solo aspirazione di ciascuno individuo.
    Ma parlare di benessere e di felicità equivale a dire la stessa cosa?
    E’ una domanda che non ci siamo mai poste e nell’affrontarle, ci sembrano indicare uno stesso significato soprattutto se rapportato alla disabilità.
    Nella storia del genere umano la disabilità costituisce una presenza costante con cui l’uomo si è dovuto da sempre confrontare. In epoche antiche i diversamente abili venivano messi all’indice o addirittura eliminati. Ancora oggi in troppi luoghi del pianeta e anche in città considerate all’ avanguardia, mancano le strutture adatte per permettere ai disabili libertà di movimento e una certo grado di autosufficienza.
    Secondo una definizione abbastanza completa, per raggiungere uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale una persona deve essere capace di soddisfare i suoi bisogni, di realizzare le proprie aspirazioni, di affrontare e cambiare l’ambiente che lo circonda. In questo una persona normale ed autonoma può incontrare difficoltà.
    E una persona diversamente abile? È possibile promuovere il benessere anche per chi si trova in una situazione di difficoltà?
    Purtroppo, nella maggior parte dei casi, una persona diversamente abile non è autonoma e il continuo dipendere dagli altri può portarla ad incontrare molte avversità nel momento in cui “mette piede nella società”.
    A questo punto riteniamo che è proprio dalla società e dalle diverse istituzioni che devono partire quegli input e quelle iniziative per guidare il soggetto a raggiungere un ben-essere generale.
    Anche Canevaro afferma che il ben-essere di un individuo non è legato alla sua condizione individuale autarchica, quanto a quello che qualcuno oggi chiama capitale sociale, cioè l’insieme delle capacità che l’individuo ha di organizzarsi e di adattarsi grazie a elementi di mediazione con le strutture che lo circondano, cioè con i contesti.
    Ciascun individuo deve essere visto come un agente attivo di cambiamento e questo vale per tutti i membri della comunità, soprattutto per le persone che hanno disabilità. E' in questa direzione che si cerca di promuovere il ben-essere delle persone disabili. Bisogna puntare all'autosufficienza e all'autonomia anche se minima.
    L'aiuto non deve però essere dato al soggetto rendendolo insufficiente e debole. Questo è quanto ritroviamo nell'ICDH o nell' ICD-11.
    L'aiuto deve consistere, invece, nel facilitare l'accesso all'impalcatura relazionale e divenire aiuto mutuale. Bisogna costruire partendo dalla forza e dalle abilità di questi soggetti e non dalle loro debolezze.
    Bisogna puntare sulla dimensione relazionale che risulta essere una strategia importante per raggiungere lo stato di ben-essere di una persona con disabilità.
    In ambito educativo si parla sempre più di educazione inclusiva che ha a cuore il ben-essere e la qualità della vita della persona, puntando non solo sulla sua istruzione ma anche sulla sua educazione. Alla base della politica e della pratica dell’educazione inclusiva c’è il bene comune di tutti i bambini. Questa prospettiva è basata su una visione positiva della differenza in cui la diversità dei bambini viene considerata come una risorsa (Terzi, 2005).
    L’educazione inclusiva riguarda il ben-essere di tutti i bambini e il fornire una cultura e una pratica in cui tutte le barriere alla partecipazione possano essere identificate e da ultimo rimosse (Booth e Ainscow, 2008).
    Come afferma Edgar Morin “bisogna insegnare a vivere”: insegnare le regole del vivere e del convivere è per la scuola un compito oggi ancora più ineludibile rispetto al passato.
    Tutti abbiamo le potenzialità per decidere di essere ciò che vogliamo e ruolo dell’educazione è proprio quello di permettere l’attivarsi di questo potenziale attraverso la creazione di un ambiente “facilitante”, in cui gli attori coinvolti possano essere in grado di coevolvere insieme nella direzione di uno sviluppo positivo.
    Ciascun diversamente abile deve essere incoraggiato a seguire il proprio percorso di complessità e condivisione, ad usare efficacemente i propri talenti e punti di forza, a coltivare attività che favoriscano esperienze ottimali, a perseguire l’autodeterminazione attraverso l’esercizio della libertà e della responsabilità.
    Oggi sono state fondate molte associazioni ed organizzazioni che si occupano di tutelare i diritti dei disabili e migliorare la loro qualità di vita. Nel Regno Unito è stato emanato il Disability Discrimination Act, un documento che promuove i diritti civili delle persone disabili e ha l'obiettivo di superare la discriminazione.
    In Italia fu introdotta la Legge 104/92 per offrire alle persone con disabilità gli stessi diritti di accesso ai servizi pubblici delle persone non disabili, con l'obiettivo di “normalizzare” le vite delle persone con disabilità.
    Effettuando alcune ricerche, abbiamo individuato in particolare un progetto che utilizza la SIS (Scala dell'Intensità dei Sostegni), uno strumento che analizza i sostegni sociali necessari alle persone con disabilità per condurre una vita indipendente. La scala SIS è in grado di dare supporto ai bisogni individuali e permettere, quindi, che le persone possano realmente essere incluse nella comunità. In sostanza, una chiave di accesso ad un «diritto di cittadinanza» che, per i disabili, spesso è riconosciuto solo sulla carta. L'elemento caratteristico della Scala di valutazione non è quello di evidenziare i limiti della persona, ma i sostegni di cui ha bisogno per vivere nella vita di comunità.
    Individua non solo quello che non funziona, ma anche quello che manca per raggiungere una buona qualità di vita. La SIS consente questo ed è il primo strumento scientifico completo e validato ampiamente utilizzato negli Stati Uniti e in Canada e in sedici Paesi nel resto del mondo. È uno strumento straordinario perché consente di capire i bisogni reali di ciascuno, permettendo anche un investimento economico differenziato da persona a persona.
    La scala di valutazione fa vedere in modo chiaro quanto manca a ciascuno per migliorare la qualità della vita.
    Tradizionalmente la psicologia, la pedagogia e la medicina misuravano il livello di disabilità evolutiva di un soggetto individuando i deficit della persona. La SIS sposta l'analisi dai deficit ai bisogni effettivi della persona, valutando i sostegni di cui i disabili hanno bisogno per raggiungere il livello di funzionamento migliore possibile e aumentare il livello di indipendenza.
    Oggi si deve operare affinché chi non è capace di svolgere determinate funzioni possa farlo, devono continuamente realizzarsi percorsi contro l’emarginazione e promuovere attività che consentono pari opportunità a questi soggetti.
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    Messaggio  GIOVANNA MORGILLO Dom Gen 29, 2012 3:35 pm

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    Negli ultimi anni la ricerca in ambito psicologico si è sempre più interessata alle varie forme del vivere bene; nelle maggiori riviste scientifiche infatti si possono trovare numerosi lavori volti allo studio del benessere e delle risorse individuali (per esempio l’American Psychologist, 2005).
    Vivere in modo ottimale, raggiungere il benessere e la felicità, sta diventando quindi obiettivo di ricerca e non solo aspirazione di ciascuno individuo.
    Ma parlare di benessere e di felicità equivale a dire la stessa cosa?
    E’ una domanda che non ci siamo mai poste e nell’affrontarle, ci sembrano indicare uno stesso significato soprattutto se rapportato alla disabilità.
    Nella storia del genere umano la disabilità costituisce una presenza costante con cui l’uomo si è dovuto da sempre confrontare. In epoche antiche i diversamente abili venivano messi all’indice o addirittura eliminati. Ancora oggi in troppi luoghi del pianeta e anche in città considerate all’ avanguardia, mancano le strutture adatte per permettere ai disabili libertà di movimento e una certo grado di autosufficienza.
    Secondo una definizione abbastanza completa, per raggiungere uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale una persona deve essere capace di soddisfare i suoi bisogni, di realizzare le proprie aspirazioni, di affrontare e cambiare l’ambiente che lo circonda. In questo una persona normale ed autonoma può incontrare difficoltà.
    E una persona diversamente abile? È possibile promuovere il benessere anche per chi si trova in una situazione di difficoltà?
    Purtroppo, nella maggior parte dei casi, una persona diversamente abile non è autonoma e il continuo dipendere dagli altri può portarla ad incontrare molte avversità nel momento in cui “mette piede nella società”.
    A questo punto riteniamo che è proprio dalla società e dalle diverse istituzioni che devono partire quegli input e quelle iniziative per guidare il soggetto a raggiungere un ben-essere generale.
    Anche Canevaro afferma che il ben-essere di un individuo non è legato alla sua condizione individuale autarchica, quanto a quello che qualcuno oggi chiama capitale sociale, cioè l’insieme delle capacità che l’individuo ha di organizzarsi e di adattarsi grazie a elementi di mediazione con le strutture che lo circondano, cioè con i contesti.
    Ciascun individuo deve essere visto come un agente attivo di cambiamento e questo vale per tutti i membri della comunità, soprattutto per le persone che hanno disabilità. E' in questa direzione che si cerca di promuovere il ben-essere delle persone disabili. Bisogna puntare all'autosufficienza e all'autonomia anche se minima.
    L'aiuto non deve però essere dato al soggetto rendendolo insufficiente e debole. Questo è quanto ritroviamo nell'ICDH o nell' ICD-11.
    L'aiuto deve consistere, invece, nel facilitare l'accesso all'impalcatura relazionale e divenire aiuto mutuale. Bisogna costruire partendo dalla forza e dalle abilità di questi soggetti e non dalle loro debolezze.
    Bisogna puntare sulla dimensione relazionale che risulta essere una strategia importante per raggiungere lo stato di ben-essere di una persona con disabilità.
    In ambito educativo si parla sempre più di educazione inclusiva che ha a cuore il ben-essere e la qualità della vita della persona, puntando non solo sulla sua istruzione ma anche sulla sua educazione. Alla base della politica e della pratica dell’educazione inclusiva c’è il bene comune di tutti i bambini. Questa prospettiva è basata su una visione positiva della differenza in cui la diversità dei bambini viene considerata come una risorsa (Terzi, 2005).
    L’educazione inclusiva riguarda il ben-essere di tutti i bambini e il fornire una cultura e una pratica in cui tutte le barriere alla partecipazione possano essere identificate e da ultimo rimosse (Booth e Ainscow, 2008).
    Come afferma Edgar Morin “bisogna insegnare a vivere”: insegnare le regole del vivere e del convivere è per la scuola un compito oggi ancora più ineludibile rispetto al passato.
    Tutti abbiamo le potenzialità per decidere di essere ciò che vogliamo e ruolo dell’educazione è proprio quello di permettere l’attivarsi di questo potenziale attraverso la creazione di un ambiente “facilitante”, in cui gli attori coinvolti possano essere in grado di coevolvere insieme nella direzione di uno sviluppo positivo.
    Ciascun diversamente abile deve essere incoraggiato a seguire il proprio percorso di complessità e condivisione, ad usare efficacemente i propri talenti e punti di forza, a coltivare attività che favoriscano esperienze ottimali, a perseguire l’autodeterminazione attraverso l’esercizio della libertà e della responsabilità.
    Oggi sono state fondate molte associazioni ed organizzazioni che si occupano di tutelare i diritti dei disabili e migliorare la loro qualità di vita. Nel Regno Unito è stato emanato il Disability Discrimination Act, un documento che promuove i diritti civili delle persone disabili e ha l'obiettivo di superare la discriminazione.
    In Italia fu introdotta la Legge 104/92 per offrire alle persone con disabilità gli stessi diritti di accesso ai servizi pubblici delle persone non disabili, con l'obiettivo di “normalizzare” le vite delle persone con disabilità.
    Effettuando alcune ricerche, abbiamo individuato in particolare un progetto che utilizza la SIS (Scala dell'Intensità dei Sostegni), uno strumento che analizza i sostegni sociali necessari alle persone con disabilità per condurre una vita indipendente. La scala SIS è in grado di dare supporto ai bisogni individuali e permettere, quindi, che le persone possano realmente essere incluse nella comunità. In sostanza, una chiave di accesso ad un «diritto di cittadinanza» che, per i disabili, spesso è riconosciuto solo sulla carta. L'elemento caratteristico della Scala di valutazione non è quello di evidenziare i limiti della persona, ma i sostegni di cui ha bisogno per vivere nella vita di comunità.
    Individua non solo quello che non funziona, ma anche quello che manca per raggiungere una buona qualità di vita. La SIS consente questo ed è il primo strumento scientifico completo e validato ampiamente utilizzato negli Stati Uniti e in Canada e in sedici Paesi nel resto del mondo. È uno strumento straordinario perché consente di capire i bisogni reali di ciascuno, permettendo anche un investimento economico differenziato da persona a persona.
    La scala di valutazione fa vedere in modo chiaro quanto manca a ciascuno per migliorare la qualità della vita.
    Tradizionalmente la psicologia, la pedagogia e la medicina misuravano il livello di disabilità evolutiva di un soggetto individuando i deficit della persona. La SIS sposta l'analisi dai deficit ai bisogni effettivi della persona, valutando i sostegni di cui i disabili hanno bisogno per raggiungere il livello di funzionamento migliore possibile e aumentare il livello di indipendenza.
    Oggi si deve operare affinché chi non è capace di svolgere determinate funzioni possa farlo, devono continuamente realizzarsi percorsi contro l’emarginazione e promuovere attività che consentono pari opportunità a questi soggetti.
    Tutti abbiamo il diritto a stare bene e ad essere felici raggiungendo il
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    Messaggio  Mariagiovanna Pistillo Dom Gen 29, 2012 3:49 pm

    Mi prenoto per il capitolo 2 (presupposti teorici della classificazione internazionale del funzionamento) del libro "ben-essere disabili".
    Mariagiovanna Pistillo
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    Messaggio  mariaritamestoli Dom Gen 29, 2012 5:25 pm

    CAP 6: VERSO UN'EDUCAZIONE INCLUSIVA


    L’educazione inclusiva ha come presupposto fondamentale l’educazione per tutti, considerata indispensabile per lo sviluppo degli individui e delle società e strumento di equità sociale.
    Essa trova i suoi presupposti teorici nella conferenza mondiale sui bisogni educativi speciali tenutasi a Salamanca nel 1994, nel Forum Mondiale sull’Educazione tenutosi a Dakar nel 2000, nella Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, ratificata dal Parlamento Italiano con la Legge 18/2009, e nei documenti redatti dall’UNESCO (2001,2009).
    Il maggiore impeto per un’educazione inclusiva viene dato dal riconoscimento del diritto all’istruzione delle persone con disabilità. La realizzazione di tale diritto è resa possibile grazie ad un sistema di istruzione inclusivo a tutti i livelli e un apprendimento continuo lungo tutto l’arco della vita che ha lo scopo di favorire il pieno sviluppo del potenziale umano nel rispetto dei diritti e della diversità di ogni individuo.
    Favorire processi inclusivi vuol dire accettare e promuovere la diversità non solo nell’ambiente scolastico ma anche nella società. Punto di partenza resta comunque il sistema educativo, in cui autorità scolastiche, insegnanti, genitori e altri studenti, insieme alla comunità tutta, costituiscono risorse fondamentali per attuare politiche inclusive.
    In una scuola inclusiva, gli insegnanti dovrebbero essere formati secondo i principi dell’educazione inclusiva, dovrebbero saper individuare gli studenti che hanno bisogno di educazione speciale e saper interagire con loro, adottando metodi e strategie adeguate ai bisogni specifici, dovrebbero contrastare la percezione negativa nei confronti della diversità e progettare interventi in rete con il territorio.
    Le caratteristiche della scuola dovrebbero includere una leadership volta a concretizzare la promozione e la cura di una serie di iniziative a favore di una cultura dell’integrazione, da attuarsi in comunione con le varie componenti scolastiche.
    Secondo l’Agenzia Europea per lo Sviluppo dell’Istruzione degli Alunni Disabili, inoltre, “la scuola inclusiva richiede sistemi di istruzione flessibili in risposta alle diverse e spesso complesse esigenze dei singoli alunni”. La flessibilità organizzativa e didattica prevista dall’autonomia delle istituzioni scolastiche consente di articolare l’attività di insegnamento secondo le più idonee modalità per il raggiungimento del successo formativo di tutti gli alunni. La progettazione educativa per gli alunni con disabilità deve tener presente questa priorità ed essere indirizzata verso il miglioramento delle abilità sociali, il potenziamento e lo sviluppo degli apprendimenti. La collaborazione con altri colleghi o altre figure specializzate favoriscono una buona pianificazione degli interventi.
    Il co-insegnamento implica il coinvolgimento dell’insegnante curricolare e dell’insegnante specializzato nella progettazione degli interventi, nella valutazione e nel coordinamento delle pratiche educative. La cooperatività è un fattore di successo importante non solo per i docenti, che apprendono l’uno dall’altro e forniscono reciproco aiuto, ma anche per gli studenti, i quali beneficiano di un tipo di istruzione pluridimensionale.
    In tema di collaborazione, il coinvolgimento dei genitori è indispensabile per sviluppare relazioni positive e proficue tra casa e scuola. La partecipazione delle famiglie al processo di inclusione costituisce una risorsa per la famiglia stessa, per l’alunno diversamente abile e per la scuola che insieme possono favorire i progressi educativi dell’alunno. Tutto ciò rimanda al concetto di alleanza educativa scuola-famiglia e ad una prospettiva ecologica del ben-essere soggettivo e sociale della persona coinvolta.
    A tal proposito, penso sia utile ricordare che promuovere il ben-essere soggettivo e sociale è possibile anche coinvolgendo il gruppo-classe al fine di favorire il senso di appartenenza e costruire relazioni socio-affettive positive. D’altra parte, la progettualità didattica orientata all’inclusione comporta l’adozione di strategie e metodologie quali l’apprendimento cooperativo, il lavoro di gruppo, il tutoring che si fondano sulle interazioni prosociali tra compagni di classe. Dario Ianes (2005) ricorda che la “classe resiliente” è il luogo “dove i bambini possono aver successo in ambito emozionale, cognitivo e interpersonale”.
    Tale successo può essere ricondotto al tema della partecipazione e del coinvolgimento nelle situazioni di vita da parte dei bambini. Secondo il paradigma del Capability Approach di A. Sen, è importante che ai bambini vengano offerte opportunità di partecipazione, possibilità di scelta e autonomia. Tale struttura di pensiero, in ambito educativo, risulta rilevante in quanto fortemente connesso con la libertà umana, che può essere espressa in termini di capabilities, funzionamenti riferiti a dimensioni dello sviluppo umano. Tale approccio guarda allo sviluppo come ad un processo di espansione delle capacità e delle opportunità reali delle persone affinchè ciascuno possa scegliere di condurre una vita a cui attribuire valore. Da questo punto di vista, le persone con disabilità, le loro famiglie, le associazioni non sarebbero più destinatari passivi di servizi e politiche ma soggetti attivi del cambiamento. Oltre all’aspetto dell’empowerment della persona, posta al centro del processo di sviluppo, un altro elemento fondamentale dell’approccio è quello della diversità considerata una caratteristica propria dell’umanità. Ciascun individuo è diverso dagli altri nelle caratteristiche personali, per le circostanze sociali e ambientali in cui vive, nella capacità di convertire risorse personali, sociali, economiche e culturali in funzionamenti. In questa prospettiva, quindi, la disabilità rappresenta una delle infinite forme di differenziazione che contraddistinguono gli essere umani.
    Una riforma delle politiche che, in modo efficace ed efficiente, riesca ad accrescere il benessere delle persone con disabilità, deve concentrare l’attenzione sulle opportunità e potenzialità di tali persone, al fine di permettere loro di ampliare le scelte e di fruire dei propri diritti.
    Personalmente ritengo che i principi dell’inclusività vadano applicati a tutte le categorie sociali. Come afferma Walter Fornasa nel testo L’educazione inclusiva. Culture e pratiche nei contesti educativi e scolastici: una prospettiva psicopedagogica (2011), “l’inclusione riguarda la qualità delle vite e delle biografie di tutti non solo dei disabili e/o degli svantaggiati”.
    Ognuno di noi, in un modo o nell’altro, ha probabilmente avuto esperienza di non accettazione da parte degli altri, o si è sentito “diverso” per qualche motivo. Ma cosa definisce le categorie della “diversità” e della “normalità”? La categoria della diversità non corrisponde al carattere negativo della normalità, bensì è una condizione esistenziale che caratterizza ciascun individuo. Allo stesso modo, la diversità non è la categoria della marginalità, dell’essere difettosi, ma è il vero volto dell’identità, ciò che contraddistingue ogni persona per la sua unicità, singolarità e irripetibilità.

    Lavoro critico, preciso e ben sviluppato,
    le richieste dell'esercizio sono state esaurite,
    la sintesi è arricchita da u ragionamento che tiene conto del quadro teorico.
    la docente
    Filomena Barbato
    Filomena Barbato


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    ES. 2 - BEN-ESSERE DISABILI (chiude 3 febbraio) - Pagina 10 Empty Re: ES. 2 - BEN-ESSERE DISABILI (chiude 3 febbraio)

    Messaggio  Filomena Barbato Dom Gen 29, 2012 7:06 pm

    Cap.2 Presupposti teorici della Classificazione Internazionale del Funzionamento (ICF)
    I 3 approcci maggiormente utilizzati per lo studio della disabilità sono: quello biomedico, quello sociale e quello bio-psico-sociale , il primo si fonda su una presunta natura biologica della disabilità, considerando la malattia, oppure, il deficit come un’interruzione dello stato normale di salute. Si rifà alla classificazione elaborata dall’Oms(organizzazione mondiale della sanità) ICD nel 1970, tale classificazione risponde all’esigenza di cogliere la causa delle patologie, fornendo per ogni sindrome e disturbo una descrizione delle principali caratteristiche cliniche ed indicazioni diagnostiche. Inoltre, avvicina la disabilità alle patologie cliniche, facendo delle stesse, una sorta di enciclopedia medica, descrivendo per ogni patologia le cause e le indicazioni cliniche e diagnostiche; L’approccio sociale, invece, interpreta la salute come uno stato di benessere complessivo, che comprende non solo l’aspetto fisico, mentale e sociale, ma, anche, l’interazione della persona con l’ambiente. Qui la malattia e il deficit non vengono valutati isolatamente, ma, ricondotti all’interno della più ampia compresenza di fattori sociali, ambientali e fisici. Tale approccio si rifà all’ICDH, la seconda classificazione internazionale elaborata dall’ OMS nel 1980. La nuova proposta dell’OMS si basa su tre fattori tra loro interagenti e interdipendenti: la menomazione , la disabilità e lo svantaggio o handicap. I termini menomazione , disabilità , svantaggio o handicap, verranno sostituiti da: menomazione ;abilità e partecipazione. Quindi c’è un attenzione maggiore, alle capacità del soggetto e alle sue possibilità di coinvolgimento sociale; implicando un notevole cambiamento nel punto di vista e nell’atteggiamento assunto nei confronti dei soggetti con un deficit.; L’approccio bio-psico-sociale invece, tende a proporre una lettura di interazione fra le componenti biologiche, individuali e sociali in termini di processi e di relazioni. Infatti, tale modello, tende ad enfatizzare il ruolo dei fattori contestuali, sottolineando il modo in cui essi, interagiscono con l’individuo in una condizione di salute data, determinando il livello e il grado del suo funzionamento adattivo. Il modello bio-psico-sociale si rifà, all’ICF, che considera la disabilità una condizione di salute derivata da un contesto sfavorevole. La figura centrale è il paziente, soggetto attivo che crea le condizioni di equilibrio. La malattia, è vista come crisi che apre a cambiamenti. I 3 aspetti (biologici, psicologici e sociali) vengono integrati secondo un’ottica che si rifà alle teorie sistemiche; il modello, in quanto, sistemico, assume uguale importanza ai diversi livelli di analisi utilizzati nel cogliere e capire le complessità dell’organismo; promuovendo l’integrazione fra i diversi livelli. Si parla di SALUTOGENESI intendendo sottolineare, la stretta relazione fra la condizione di benessere generale e la condizione mentale e sociale, ovvero, la interdipendenza positiva che si genera fra salute fisica, psicologica e sociale. Il nome dato a questa nuova classificazione riflette la filosofia di andare oltre l’approccio legato alle conseguenze della malattia e riflette l’intenzione di mettere in luce il funzionamento come una componente della salute. Infatti per descrivere, valutare e misurare la salute di un individuo o di una popolazione, non è sufficiente focalizzarsi sulla mortalità e sulle cause di morte. La salute come concetto, è notoriamente difficile da definire, ma nessuno eccepisce sul fatto che la salute sia una questione di quanto a lungo una persona vive e quanto bene quella persona viva (il suo livello di funzionamento),la concettualizzazione delle conseguenze di salute non fatali è stata fino ad oggi controversa. La vasta letteratura sugli indicatori della qualità della vita correlati alla salute suggerisce che qualunque sia il suo valore clinico, un indicatore che è composto da aspetti oggettivi e aspetti soggettivi viene considerato di poco valore come misura di salute pubblica, dal momento che non esiste una relazione predicibile tra lo stato funzionale oggettivo e la soddisfazione o il benessere auto- percepito. L’ICF è concettualmente unico, dal momento che esso offre una visione della salute che sottolinea l’importanza di vare dimensioni e molteplici determinanti che influenzano la salute e il funzionamento di un individuo. Nell’ICF la salute è considerata essere molo più che determinata dall’influenza di fattori biologici. Essa include anche fattori psicologici, sociali e contestuali. Il modello dell’ICF affronta le limitazioni dei modelli precedenti di disabilità e riflette le attuali concezioni di disabilità riassunte nelle seguenti indicazioni chiave: 1. La classificazione descrive le componenti di salute, quindi considera una prospettiva di salute piuttosto che di malattia. 2. Il modello assume la natura universale della disabilità, l’integrazione della disabilità come una naturale esperienza della vita. 3. Il linguaggio proposto è valutato come neutrale e le cause sono anch’esse definite come neutrali. 4. La struttura concettuale dell’ICF è basata su un modello di interazioni tra dimensioni del funzionamento umano a livello corporeo, personale e sociale. 5. Il ruolo dell’ambiente è riconosciuto come integrante per la manifestazione della disabilità. Concettualmente, la visione allargata della salute che emerge dall’ICF ha il potenziale di promuovere una comprensione degli intenti e azioni delle diverse organizzazioni dei servizi di salute tra le varie discipline. La visione inclusiva della salute in primis, può aiutare attraverso l’uso dell’ICF, le Organizzazioni a comprendere come esse differiscano l’una dall’altra nella natura della loro attenzione alle funzioni e strutture corporee, e successivamente anche come possano offrire agli altri servizi ad esse collegati, risorse necessarie per raggiungere migliori esiti di salute. Inoltre l’uso di una terminologia universale offerta dall’ ICF può facilitare la comunicazione delle questioni di salute tra i domini biomedico olistico e sociale in cui i professionisti di salute lavorano. Questa visione multidimensionale della salute si fonda sul modello biopsicosociale usato nel contesto sanitario, e offre una più comprensiva visione della natura contestuale delle preoccupazioni riguardanti la salute ed espande la considerazione di questioni che contribuiscono ai problemi di salute. La prospettiva multidimensionale della salute, può essere usata come una guida per promuovere una migliore comprensione dei vari servizi e interventi tra le organizzazioni. Il modello ICF è diviso in due parti: la prima parte considera il funzionamento e la disabilità e comprende le funzioni corporee,le strutture, l’attività, la partecipazione. La seconda parte del modello, comprende i fattori contestuali che includono i fattori ambientali e personali. La dimensione dei fattori contestuali ambientali ricopre un ruolo significativo nella classificazione dell’ICF e rappresenta un aspetto innovativo rispetto alla precedente classificazione dell’ICIDH in cui il contesto risultava intervenire in modo non significativo sul grado di disabilità di una persona. Nell’ ICF invece l’interazione della condizione di salute individuale con le barriere dell’ambiente ha un effetto nel determinare la disabilità a livello di partecipazione nelle attività di ogni giorno. In un contesto dove l’ambiente fisico è accessibile, le attitudini sociali e le norme sono positive e le politiche e i servizi sono inclusivi nel loro approccio, questa esperienza di disabilità non si manifesterà. L’ambiente sarà un facilitatore e quindi le persone funzioneranno come membri completamente partecipanti della società. L’ICF si basa su tre importanti principi: applicazione universale, dove tutte le persone possono sperimentare condizioni di salute, non solo un gruppo di minoranza tradizionalmente considerato disabile; un approccio interattivo, che riconosce l’impatto dei fattori individuali e dei fattori sociali importanti da considerare nella comprensione della disabilità e della focalizzazione sugli interventi; un approccio integrativo, che riconosce il complesso e multidimensionale fenomeno che è la disabilità. L’ICF sottolinea inoltre, l’importanza di diversi elementi che devono essere considerati nella comprensione della relazione persona ambiente. Questi elementi sono la persona e le sue caratteristiche personali (fattori personali), il contesto esterno o l’ambiente che può essere descritto e valutato oggettivamente da un esterno(usando la classificazione dei fattori ambientali dell’ICF), le percezioni che le persone hanno del loro ambiente(come indicato dalla propria descrizione dell’ambiente, di nuovo usando la classificazione dei fattori ambientali dell’ICF), il processo o l’interazione tra questi differenti elementi e le conseguenze di questa relazione identificata come performance, comportamento o livello di capacità e descritta come una conseguenza di questa relazione di disabilità a livello del corpo, della persona e della società.Nell’ICF le interazioni persona e ambiente sono complesse e comprendono aspetti dell’ambiente che sono prossimi alla persona coinvolta fino ad arrivare a quelli più distali e che hanno una chiara e generale influenza ma non sono sperimentati direttamente dalla persona. Secondo il modello ICF, l’attività si focalizza sul funzionamento individuale di una persona ed è più probabile che venga svolta da sola. Al contrario la partecipazione si focalizza sul coinvolgimento di una persona nella società(ad esempio il funzionamento sociale) e la partecipazione molto probabilmente dovrebbe verificarsi insieme agli altri. L’attività è correlata più strettamente al grado della menomazione, mentre la partecipazione è correlata più specificatamente alla qualità percepita di vita. L’attività viene considerata come meno dipendente dal fattore ambiente, mentre la partecipazione è dipendente dall’ambiente. Per concludere, numerosi autori supportano la struttura dell’ICF e la sua utilità per rendere confrontabile l’informazione di salute tra molteplici setting, tra varie applicazioni e tra culture.La classificazione viene anche riconosciuta come una struttura che promuove la ricognizione del ruolo dei fattori ambientali in tutti gli aspetti della salute e del funzionamento. Allo stesso tempo, però, numerosi autori sottolineano delle carenze nella concettualizzazione di componenti specifiche, che necessitano di ulteriore studio e sviluppo.

    Lavoro lungo e approfondito,
    la richieste sono state ampiamente soddisfatte.
    la docente
    Giovanna Solimene
    Giovanna Solimene


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    Messaggio  Giovanna Solimene Dom Gen 29, 2012 8:30 pm

    mi prenoto il cap. 6 Verso un'educazione inclusiva
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    Messaggio  salvatore_sarnataro Dom Gen 29, 2012 8:34 pm

    Gruppo Angela Castaldo, Salvatore Sarnataro

    CAP 5
    Valutare attività e partecipazione

    Perché valutare attività e partecipazione? Secondo Vygotskij e Piaget la partecipazione attiva è condizione essenziale per l’apprendimento e lo sviluppo dell’individuo. Favorire appunto i processi partecipativi, significa migliorare la qualità della vita di una persona, sia essa abile o diversamente abile. Ma per favorire la partecipazione si presume accessibilità all’ambiente naturale, fisico, sociale e/o psicologico.
    Valutare, quindi, la partecipazione ad una attività, ad un contesto, permette di individuare tutte le eventuali criticità che minano una possibile inclusione di un soggetto e di conseguenza agire per risolvere il problema.
    L’attività e la partecipazione risultano, inoltre, nell’ambito dell’ICF, essere le due dimensioni maggiormente coinvolte nella valutazione, ma nonostante esistano numerosi strumenti di valutazione, per le diverse età, solo due, per gli adulti, il Perceived Handicap Questionnaire e il London Handicap Scale, risultano essere più vicini alla misurazione della solo componente partecipazione. Il primo misura la percezione della partecipazione (confrontata con altri), il secondo misura gli ostacoli a partecipare.
    Per quanto riguarda i bambini, il processo di valutazione diviene un po’ più articolato, perché gli ambienti che li circondano cambiano durante le diverse fasi di crescita, ed ogni cambiamento influenza i bambini attraverso stimoli e feedback, che derivano dall’ambiente.
    In particolare per la misurazione delle funzionalità nei bambini viene utilizzato il WHO Disability Assessment Schedule.

    Nell’ICF la partecipazione viene definita come coinvolgimento nelle situazioni di vita coerente con il fare. Per la valutazione delle funzionalità vengono presi in considerazione due qualificatori, il più livello probabile di funzionamento (quello che il bambino può fare in un ambiente ideale) e la performance (quello che un bambino fa nell’ambiente in cui vive). Mentre per il Capability Approach non solo viene valutata la performance, ma essa è moderata dalla capacità di una persona dall’opportunità e dalla scelta.
    La capability di un individuo di essere o fare equivale, per Sen, alla libertà di quell’individuo di essere o fare; essa può essere interpretata, dunque, come una rappresentazione della libertà sostanziale dell’individuo.
    Facciamo un esempio, si vogliono misurarle funzionalità motorie di un bambino, secondo il modello dell’ICF devono essere presi in considerazione i fattori di capacità e performance. Quindi, vanno verificate le capacità di movimento in ambienti quali casa, scuola e quartiere.
    Con il Capability Approach, invece, verrebbero valutate non solo le capacità, ma anche le opportunità e la scelta, in una prospettiva di partecipazione attiva e democratica della propria vita. Quindi si chiederebbe al bambino s’è in grado di camminare a casa, a scuola e nel quartiere, se volesse farlo o meno. La differenza tra una funzione e una capacità e’simile alla differenza tra il raggiungimento di un obiettivo e la libertà di raggiungere quell’obiettivo (opportunità non necessariamente risultato). Tutte le capacità insieme corrispondono alla libertà di condurre la vita che ciascun individuo sceglie.
    Valutando le capability vengono così inclusi e rispettati i diritti fondamentali degli individui.

    Leggere le pagine del testo ci ha condotti verso un dovuto approfondimento sulla teoria esposta da Sen. Nel ricercare a proposito del Capability Approach, ci siamo imbattuti in una impostazione più ampia proposta da Martha Nussbaum.



    In riferimento alla nozione di capability, Nussbaum individua tre diversi tipi di capabilities: le capabilities fondamentali, o di base, le capabilities interne e le capabilities combinate.
    A partire dalle capabilities fondamentali (doti innate), un individuo, attraverso un processo di educazione, può acquisire e sviluppare le capabilities di livello più elevato (interne e combinate).
    Le capabilities interne di un individuo sono le condizioni sufficienti, per l’individuo, per l’esercizio dei functionings: possono, dunque, essere intese come una rappresentazione del potere interno di carattere controfattuale dell’individuo.
    Le capabilities combinate sono capabilities interne combinate, appunto, con condizioni esterne favorevoli.
    Nussbaum ritiene, dunque, che un assetto sociale debba essere in grado di garantire a tutti gli individui il possesso delle capabilities interne e creare le condizioni favorevoli all’uso delle stesse, il che equivale a garantire a tutti gli individui il possesso delle capabilities combinate.
    Nussbaum non si limita, come Sen, a definire la nozione di capability ma individua una lista di dieci capabilities combinate individuali che ritiene siano fondamentali e debbano essere poste alla base di principi politici fondamentali che dovrebbero sostenere altrettante garanzie costituzionali.
    Le capabilities della lista hanno, per l’autrice, un valore universale.


    Siete riusciti a comprendere l'intento dell'esercizio,
    a leggere il capitolo, a farlo vostro, proponendo non solo una sintesi critica ma una vostra personale lettura e interpretazione.
    Ottimo il riferimento alla nozione di capability,
    al confronto tra Sen e Nussbaum sui diversi tipi di capabilities,
    questo ragionamento, ricco di suggestioni,
    dimostra spiccate capacità riflessive e intuitive,
    ma anche una padronanza dei testi come strumento utile ma non vincolante
    per ragionare con sempre la propria testa per poi confrontarsi con altri autori.
    la docente
    castaldoangela
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    Messaggio  castaldoangela Dom Gen 29, 2012 8:38 pm

    Gruppo Angela Castaldo, Salvatore Sarnataro

    CAP 5
    Valutare attività e partecipazione

    Perché valutare attività e partecipazione? Secondo Vygotskij e Piaget la partecipazione attiva è condizione essenziale per l’apprendimento e lo sviluppo dell’individuo. Favorire appunto i processi partecipativi, significa migliorare la qualità della vita di una persona, sia essa abile o diversamente abile. Ma per favorire la partecipazione si presume accessibilità all’ambiente naturale, fisico, sociale e/o psicologico.
    Valutare, quindi, la partecipazione ad una attività, ad un contesto, permette di individuare tutte le eventuali criticità che minano una possibile inclusione di un soggetto e di conseguenza agire per risolvere il problema.
    L’attività e la partecipazione risultano, inoltre, nell’ambito dell’ICF, essere le due dimensioni maggiormente coinvolte nella valutazione, ma nonostante esistano numerosi strumenti di valutazione, per le diverse età, solo due, per gli adulti, il Perceived Handicap Questionnaire e il London Handicap Scale, risultano essere più vicini alla misurazione della solo componente partecipazione. Il primo misura la percezione della partecipazione (confrontata con altri), il secondo misura gli ostacoli a partecipare.
    Per quanto riguarda i bambini, il processo di valutazione diviene un po’ più articolato, perché gli ambienti che li circondano cambiano durante le diverse fasi di crescita, ed ogni cambiamento influenza i bambini attraverso stimoli e feedback, che derivano dall’ambiente.
    In particolare per la misurazione delle funzionalità nei bambini viene utilizzato il WHO Disability Assessment Schedule.

    Nell’ICF la partecipazione viene definita come coinvolgimento nelle situazioni di vita coerente con il fare. Per la valutazione delle funzionalità vengono presi in considerazione due qualificatori, il più livello probabile di funzionamento (quello che il bambino può fare in un ambiente ideale) e la performance (quello che un bambino fa nell’ambiente in cui vive). Mentre per il Capability Approach non solo viene valutata la performance, ma essa è moderata dalla capacità di una persona dall’opportunità e dalla scelta.
    La capability di un individuo di essere o fare equivale, per Sen, alla libertà di quell’individuo di essere o fare; essa può essere interpretata, dunque, come una rappresentazione della libertà sostanziale dell’individuo.
    Facciamo un esempio, si vogliono misurarle funzionalità motorie di un bambino, secondo il modello dell’ICF devono essere presi in considerazione i fattori di capacità e performance. Quindi, vanno verificate le capacità di movimento in ambienti quali casa, scuola e quartiere.
    Con il Capability Approach, invece, verrebbero valutate non solo le capacità, ma anche le opportunità e la scelta, in una prospettiva di partecipazione attiva e democratica della propria vita. Quindi si chiederebbe al bambino s’è in grado di camminare a casa, a scuola e nel quartiere, se volesse farlo o meno. La differenza tra una funzione e una capacità e’simile alla differenza tra il raggiungimento di un obiettivo e la libertà di raggiungere quell’obiettivo (opportunità non necessariamente risultato). Tutte le capacità insieme corrispondono alla libertà di condurre la vita che ciascun individuo sceglie.
    Valutando le capability vengono così inclusi e rispettati i diritti fondamentali degli individui.

    Leggere le pagine del testo ci ha condotti verso un dovuto approfondimento sulla teoria esposta da Sen. Nel ricercare a proposito del Capability Approach, ci siamo imbattuti in una impostazione più ampia proposta da Martha Nussbaum.



    In riferimento alla nozione di capability, Nussbaum individua tre diversi tipi di capabilities: le capabilities fondamentali, o di base, le capabilities interne e le capabilities combinate.
    A partire dalle capabilities fondamentali (doti innate), un individuo, attraverso un processo di educazione, può acquisire e sviluppare le capabilities di livello più elevato (interne e combinate).
    Le capabilities interne di un individuo sono le condizioni sufficienti, per l’individuo, per l’esercizio dei functionings: possono, dunque, essere intese come una rappresentazione del potere interno di carattere controfattuale dell’individuo.
    Le capabilities combinate sono capabilities interne combinate, appunto, con condizioni esterne favorevoli.
    Nussbaum ritiene, dunque, che un assetto sociale debba essere in grado di garantire a tutti gli individui il possesso delle capabilities interne e creare le condizioni favorevoli all’uso delle stesse, il che equivale a garantire a tutti gli individui il possesso delle capabilities combinate.
    Nussbaum non si limita, come Sen, a definire la nozione di capability ma individua una lista di dieci capabilities combinate individuali che ritiene siano fondamentali e debbano essere poste alla base di principi politici fondamentali che dovrebbero sostenere altrettante garanzie costituzionali.
    Le capabilities della lista hanno, per l’autrice, un valore universale.

    Siete riusciti a comprendere l'intento dell'esercizio,
    a leggere il capitolo, a farlo vostro, proponendo non solo una sintesi critica ma una vostra personale lettura e interpretazione.
    Ottimo il riferimento alla nozione di capability,
    al confronto tra Sen e Nussbaum sui diversi tipi di capabilities,
    questo ragionamento, ricco di suggestioni,
    dimostra spiccate capacità riflessive e intuitive,
    ma anche una padronanza dei testi come strumento utile ma non vincolante
    per ragionare con sempre la propria testa per poi confrontarsi con altri autori.
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    Messaggio  mariav allefuoco Lun Gen 30, 2012 8:20 am

    RELAZIONE DI SINTESI
    Testo: Ghedin E., Ben-essere disabili. Un approccio positivo all'inclusione, Liguori, Napoli, 2010
    cap.: 6 verso un’educazione inclusiva
    Gruppo: Maria Vallefuoco; Monica Migliaccio

    Con il termine “educazione inclusiva” si amplia il concetto di diversità a tutti gli allievi e non soltanto a quelli con una disabilità conclamata. Infatti non si può ritenere che ogni alunno non disabile sia integrato, cioè viva un’esperienza significativa dal punto di vista cognitivo, relazionale e di maturazione personale, esito, quindi di un processo da realizzare e non certo semplicemente un punto di partenza.
    In tale ottica, si sono, dunque, rese manifeste le tante diversità di cui si compone la normalità e i tanti bisogni educativi che differenziano i diversi alunni.
    Ogni alunno è portatore di una cultura, di una storia, di valori concreti, di un progetto di vita e l’educazione non può farne tabula rasa l’uguaglianza delle opportunità non può avere lo stesso significato per tutti. Piuttosto ”essa significa il meglio e il più appropriato per ciascuno”.
    Pertanto la prospettiva di una scuola inclusiva costituisce un approccio che parte dal presupposto di essere di fronte ad una classe fortemente eterogenea, in cui i bisogni educativi particolari riguardano un numero più ampio di quelli degli allievi tradizionalmente certificati.
    Accogliere questa prospettiva significa pensare alla scuola come comunità, come luogo di crescita e apprendimento per tutti in un contesto relazionale significativo. Dunque un’educazione intesa non come un privilegio per pochi ma come un diritto per tutti.
    E in tale ottica che la finalità di un’educazione inclusiva si configura come quella di superare le barriere alla partecipazione e all’apprendimento, ridiscutendo i presupposto sui quali si fonda l’omogeneizzazione formativa.
    Si tratta dunque di costruire percorsi personalizzati per tutti gli studenti, richiedendo al curricolo un ampio margine di flessibilità.
    Né consegue che tutti gli insegnanti e i loro percorsi di insegnamento devono avere in sé i presupposto e le condizioni per rispondere alle differenze degli alunni in un’ottica di sostegni distribuiti. Tutto ciò comporta l’attuazione di metodi di insegnamento centrati sul bambino e lo sviluppo di appropriati materiali di apprendimento, in cui ciascuno sente di avere le stesse possibilità. Sembra, a tal proposito, citare un’affermazione di Don Milani secondo cui “non c’è nulla che sia più ingiusto che fare parti uguali fra disuguali”.
    E in tale ottica che il docente deve accogliere e soddisfare la richiesta “implicita” di integrazione degli alunni disabili e di tutti gli alunni dando a ciascuno la possibilità di sperimentarsi in una comunità di cui si sente parte e non avulso. In questo senso un processo sempre da perseguire, che non può essere dato per scontato una volta e per tutte
    Accanto agli insegnanti vi sono altre figure che giocano un ruolo chiave per la realizzazione di un processo di inclusione: genitori, comunità. È fondamentale creare, attraverso un sistema integrato, un ottimo ambiente di apprendimento così che tutti i bambini possano apprendere bene e raggiungere il loro potenziale.
    Al cuore di un’educazione inclusiva vi è la convinzione della sua enorme potenzialità per lo sviluppo degli individui e della società (UNESCO, 2001)
    In queste vesti l’educazione inclusiva non è più intesa come un fine ma piuttosto come un mezzo per raggiungere l’obiettivo di una società non discriminatoria.

    […]... ma la discriminazione negativa fa di una differenza un deficit che marca colui che lo porta di una tara quasi indelebile. Essere discriminati negativamente significa essere assegnati ad un destino sulla base di una caratteristica che non si è scelta, ma che gli altri rimettono sotto forma di stigma. La discriminazione negativa è una strumentalizzazione dell’alterità costituita in fattore di esclusione.”
    R. Castel, la discriminazione negativa. Cittadini o indigeni?

    L’educazione inclusiva assume, dunque, un ruolo fondamentale rispetto al concetto di democrazia che si vuole realizzare, alla partecipazione e alla coesione sociale che si vuole ottenere; diventa dunque la chiave della cittadinanza e un elemento essenziale delle politiche sociali.
    Dunque, il presupposto da tenere presente è che l’inclusione nella società passa attraverso l’inclusione nell’educazione. Questo implica la necessità di creare una società accogliente, collaborativa e stimolante nella quale tutti siano valorizzati, tutti percepiscano il senso di appartenenza e i valori siano condivisi da tutte le componenti della scuola.
    Tuttavia un tassello fondamentale per raggiungere l’inclusione è l’educazione ad un pensiero libero capace di resistere alla discriminazione e all’oppressione. L’educazione non deve solo pensare ad una trasmissione di saperi ma soprattutto di valori per formare coscienze critiche e convinte. La sfida dell’educazione inclusiva consiste perciò nel coniugare la necessità di ogni persona di costruire un sapere critico con la necessità di appartenere ad una comunità e a una società.
    Tutto ciò si lega e si sintetizza nell’interesse che sta nascendo negli ultimi anni relativamente al “Capability Approach” che considera l’educazione inclusiva come fortemente connessa alla libertà umana: i benefici e i risultati dell’educazione sono visti come multidimensionali; l’educazione dunque deve fornire non solo competenze e abilità orientate al mercato del lavoro ma anche abilità di vita e opzioni di vita per essere in grado di conoscere, agire e vivere insieme nell’ambiente sociale. L’educazione, dunque, rende un bambino autonomo, in termini di creare un nuovo set di capability a cui il bambino può attingere.
    Siamo d’accordo con quanto affermato R.Caldin secondo cui l’inclusione è un diritto base che nessuno deve guadagnarsi, un imperativo etico e dunque come tale è un dovere dei governi e della comunità rimuovere le barriere e gli ostacoli che impediscono l’inclusione sociale dando le risorse e i supporti adeguati affinché sia possibile crescere in ambienti inclusivi.

    Lavoro ben svolto, 'intento dell'esercizio è stato compreso,
    si sente una sintesi critica e una buona comprensione del lavoro studiato.
    la docente
    monicamigliaccio
    monicamigliaccio


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    Messaggio  monicamigliaccio Lun Gen 30, 2012 8:31 am

    RELAZIONE DI SINTESI
    Testo: Ghedin E., Ben-essere disabili. Un approccio positivo all'inclusione, Liguori, Napoli, 2010
    cap.: 6 verso un’educazione inclusiva
    Gruppo: Maria Vallefuoco; Monica Migliaccio

    Con il termine “educazione inclusiva” si amplia il concetto di diversità a tutti gli allievi e non soltanto a quelli con una disabilità conclamata. Infatti non si può ritenere che ogni alunno non disabile sia integrato, cioè viva un’esperienza significativa dal punto di vista cognitivo, relazionale e di maturazione personale, esito, quindi di un processo da realizzare e non certo semplicemente un punto di partenza.
    In tale ottica, si sono, dunque, rese manifeste le tante diversità di cui si compone la normalità e i tanti bisogni educativi che differenziano i diversi alunni.
    Ogni alunno è portatore di una cultura, di una storia, di valori concreti, di un progetto di vita e l’educazione non può farne tabula rasa l’uguaglianza delle opportunità non può avere lo stesso significato per tutti. Piuttosto ”essa significa il meglio e il più appropriato per ciascuno”.
    Pertanto la prospettiva di una scuola inclusiva costituisce un approccio che parte dal presupposto di essere di fronte ad una classe fortemente eterogenea, in cui i bisogni educativi particolari riguardano un numero più ampio di quelli degli allievi tradizionalmente certificati.
    Accogliere questa prospettiva significa pensare alla scuola come comunità, come luogo di crescita e apprendimento per tutti in un contesto relazionale significativo. Dunque un’educazione intesa non come un privilegio per pochi ma come un diritto per tutti.
    E in tale ottica che la finalità di un’educazione inclusiva si configura come quella di superare le barriere alla partecipazione e all’apprendimento, ridiscutendo i presupposto sui quali si fonda l’omogeneizzazione formativa.
    Si tratta dunque di costruire percorsi personalizzati per tutti gli studenti, richiedendo al curricolo un ampio margine di flessibilità.
    Né consegue che tutti gli insegnanti e i loro percorsi di insegnamento devono avere in sé i presupposto e le condizioni per rispondere alle differenze degli alunni in un’ottica di sostegni distribuiti. Tutto ciò comporta l’attuazione di metodi di insegnamento centrati sul bambino e lo sviluppo di appropriati materiali di apprendimento, in cui ciascuno sente di avere le stesse possibilità. Sembra, a tal proposito, citare un’affermazione di Don Milani secondo cui “non c’è nulla che sia più ingiusto che fare parti uguali fra disuguali”.
    E in tale ottica che il docente deve accogliere e soddisfare la richiesta “implicita” di integrazione degli alunni disabili e di tutti gli alunni dando a ciascuno la possibilità di sperimentarsi in una comunità di cui si sente parte e non avulso. In questo senso un processo sempre da perseguire, che non può essere dato per scontato una volta e per tutte
    Accanto agli insegnanti vi sono altre figure che giocano un ruolo chiave per la realizzazione di un processo di inclusione: genitori, comunità. È fondamentale creare, attraverso un sistema integrato, un ottimo ambiente di apprendimento così che tutti i bambini possano apprendere bene e raggiungere il loro potenziale.
    Al cuore di un’educazione inclusiva vi è la convinzione della sua enorme potenzialità per lo sviluppo degli individui e della società (UNESCO, 2001)
    In queste vesti l’educazione inclusiva non è più intesa come un fine ma piuttosto come un mezzo per raggiungere l’obiettivo di una società non discriminatoria.

    […]... ma la discriminazione negativa fa di una differenza un deficit che marca colui che lo porta di una tara quasi indelebile. Essere discriminati negativamente significa essere assegnati ad un destino sulla base di una caratteristica che non si è scelta, ma che gli altri rimettono sotto forma di stigma. La discriminazione negativa è una strumentalizzazione dell’alterità costituita in fattore di esclusione.”
    R. Castel, la discriminazione negativa. Cittadini o indigeni?

    L’educazione inclusiva assume, dunque, un ruolo fondamentale rispetto al concetto di democrazia che si vuole realizzare, alla partecipazione e alla coesione sociale che si vuole ottenere; diventa dunque la chiave della cittadinanza e un elemento essenziale delle politiche sociali.
    Dunque, il presupposto da tenere presente è che l’inclusione nella società passa attraverso l’inclusione nell’educazione. Questo implica la necessità di creare una società accogliente, collaborativa e stimolante nella quale tutti siano valorizzati, tutti percepiscano il senso di appartenenza e i valori siano condivisi da tutte le componenti della scuola.
    Tuttavia un tassello fondamentale per raggiungere l’inclusione è l’educazione ad un pensiero libero capace di resistere alla discriminazione e all’oppressione. L’educazione non deve solo pensare ad una trasmissione di saperi ma soprattutto di valori per formare coscienze critiche e convinte. La sfida dell’educazione inclusiva consiste perciò nel coniugare la necessità di ogni persona di costruire un sapere critico con la necessità di appartenere ad una comunità e a una società.
    Tutto ciò si lega e si sintetizza nell’interesse che sta nascendo negli ultimi anni relativamente al “Capability Approach” che considera l’educazione inclusiva come fortemente connessa alla libertà umana: i benefici e i risultati dell’educazione sono visti come multidimensionali; l’educazione dunque deve fornire non solo competenze e abilità orientate al mercato del lavoro ma anche abilità di vita e opzioni di vita per essere in grado di conoscere, agire e vivere insieme nell’ambiente sociale. L’educazione, dunque, rende un bambino autonomo, in termini di creare un nuovo set di capability a cui il bambino può attingere.
    Siamo d’accordo con quanto affermato R.Caldin secondo cui l’inclusione è un diritto base che nessuno deve guadagnarsi, un imperativo etico e dunque come tale è un dovere dei governi e della comunità rimuovere le barriere e gli ostacoli che impediscono l’inclusione sociale dando le risorse e i supporti adeguati affinché sia possibile crescere in ambienti inclusivi.

    Lavoro ben svolto, l'intento dell'esercizio è stato compreso,
    si sente una sintesi critica e una buona comprensione del lavoro studiato.
    la docente
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    angelavastano


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    ES. 2 - BEN-ESSERE DISABILI (chiude 3 febbraio) - Pagina 10 Empty educare al ben-essere di Vastano Angela

    Messaggio  angelavastano Lun Gen 30, 2012 10:05 am

    Educarsi al Ben-essere di Vastano Angela
    Contro quello che Eugenio Montale definì “il mal di vivere” non c’è altra arma che quella dell’educare al benessere. Il benessere rappresenta la realizzazione del vero potenziale di ciascuno di noi e, il rapporto sempre più autonomo e responsabile che l’individuo intrattiene con il proprio benessere, fa dell’educazione il terreno in cui si misurano le esigenze relazionali e i bisogni individuali e collettivi. L’educazione, come afferma Edgard Morin, è un processo di costruzione atto a promuovere la crescita personale del soggetto che apprende; a favorire l’attitudine della mente a porre e a risolvere problemi; a stimolare la curiosità; a contestualizzare e globalizzare i saperi, cioè organizzare le conoscenze. Si evince da queste poche battute un’impostazione pedagogica di stampo costruttivistico (la conoscenza è costruzione o meglio ricostruzione delle conoscenze che ognuno possiede) e la scuola, in tale prospettiva, rappresenta non solo il luogo in cui gli studenti sperimentano i processi di apprendimento misurandosi con le difficoltà, la fatica e i momentanei insuccessi, ma anche il luogo in cui i docenti si preoccupano che gli studenti vivano bene l’esperienza formativa, aiutandoli ad individuare e a costruire la personalità, a scoprire le caratteristiche che rendono ciascun soggetto unico, a potenziare interessi e attitudini, a ricostruire in modo autentico il personale percorso di crescita e di sviluppo esistenziale (seguendo le linee guida del capability approach). Così intesa la scuola diventa ambiente di insegnamento-apprendimento e di sviluppo umano, e l’educazione, diventa educazione di qualità per uno sviluppo sostenibile secondo le raccomandazioni dell’UNESCO e in linea con l’art. 29 della Convenzione sui Diritti dei Bambini in cui si dichiara che l’educazione dei bambini necessita di essere diretta allo sviluppo della personalità del bambino, dei talenti e delle abilità fisiche e mentali nel loro pieno potenziale. L’istruzione dovrebbe anche preparare a vivere in maniera responsabile e pacifica, in una società libera, nel rispetto dei diritti degli altri, e nel rispetto dell’ambiente. In questo contesto particolarmente significativi sono gli studi dell’economista Amartya Sen e di Martha Nussbaum. Sen sostiene che l’ essere umano è dotato di un set di capability grazie alle quali riesce a trasformare la libertà formale, attribuitagli per legge, in libertà sostanziale (agency). La capability e l’agency di ogni individuo devono essere sostenute da una educazione di qualità perché fonti di crescita e di sostenibilità. Nussbaum, come Sen, sostiene la necessità di un’educazione di qualità per uno sviluppo sostenibile individuando, per coltivare l’umanità, tre capabilities : capacità di esame critico di se stessi, capacità di concepire se stessi come cittadini del mondo, capacità di essere un lettore intelligente della storia di altre persone. Nella Conferenza mondiale sull’educazione per Tutti, tenutasi a Jomtien nel 1990 e 10 anni dopo a Dakar, vennero definiti i quattro pilastri dell’educazione richiesti per assicurare un’educazione di qualità: imparare a conoscere, l’educazione consentirà ad ogni studente di conquistare gli strumenti di base della conoscenza necessari ad apprendere come continuare ad apprendere; imparare a fare, l’educazione consentirà di acquisire abilità occupazionali e competenze sociali; imparare ad essere, l’educazione consentirà di sviluppare la propria personalità e il proprio potenziale, imparare a vivere insieme, l’educazione consentirà di aumentare il rispetto verso il pluralismo, la diversità e la partecipazione attiva nella vita di comunità. Le ultime due dimensioni sono definite abilità di vita che mirano ad aiutare la persona a meglio comprendere il mondo in cui vive e agisce. In queste due dimensioni si riscontrano quelle che vengono definite Life Skills : l’insieme di abilità personali e competenze sociali e relazionali che è necessario apprendere e che permettono ai ragazzi di affrontare in modo efficace i problemi, le pressioni e gli stess della vita quotidiana, rapportandosi con fiducia a se stessi, agli altri e alla comunità. Nel 1997 l’Oms pubblicò il documento Life skills education in schools contenente l’elenco delle abilità personali e relazionali utili a perseguire lo sviluppo personale di colui che apprende , e che lo aiutano a svelare il proprio potenziale, e a godere di una vita personale, professionale e sociale realizzata: Decision making, , problem solving, pensiero creativo, pensiero creativo, comunicazione efficace, capacità di relazioni interpersonali, autoconsapevolezza, empatia, gestione delle emozioni, gestione dello stess.Tutte queste life skill hanno implicazioni positive sul ben-essere. Insegnare queste abilità è una prerogativa dell’educazione che coinvolge l’insegnante e i bambini in un processo di insegnamento-apprendimento dinamico, attivo e partecipativo con l’uso di metodi quali il brainstorming, il role play, la discussione di gruppo e il dibattito (metodi attivi ed esperenziali).
    Dalla lettura di questo capitolo ho tratto queste conclusioni: Il benessere è un indicatore che attraversa trasversalmente tutte le componenti della comunità scolastica e che va promossa e favorita individuando i bisogni e attivando processi di empowerment atti a far sì che il soggetto superi le difficoltà e costruisca le condizioni necessarie per conquistare fiducia in sé. Interessanti a tale proposito risultano gli articoli di Giovanna Caporaso Modelli di intervento per la promozione del benessere a scuola, Elisabetta Diadori Empowermwnt e pro socialità per una nuova prospettiva del benessere, e infine Silvana Loiero Ambiente di apprendimento. Questi articoli sono stati per me un valido supporto anche nella stesura delle relazioni dei tirocini svolti in questi tre anni.



    il lavoro è personalizzato, complesso e esauriente.
    Si respira una riflessione critica, una chiarezza del quadro teorico
    Interessanti ragionamenti sottendono le tue considerazioni, attraverso autori, articoli e sicuramente anche delle esperienza dei tirocinio.
    la docente
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    Messaggio  immacolata todaro Lun Gen 30, 2012 3:49 pm

    Mi prenoto capitolo 6 "Verso un educazione inclusiva"
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    Messaggio  elisabettaschiavone Lun Gen 30, 2012 4:29 pm

    elisabettaschiavone ha scritto:Gruppo: Iovine Concetta- Petrillo Giuseppina- Reccia Natalina- Schiavone Elisabetta

    EDUCARSI AL BEN-ESSERE


    È risaputo che alla base della politica e della pratica dell’educazione inclusiva ci sia il benessere comune di tutti i bambini ed in questa prospettiva si basa una visione positiva della differenza in cui la diversità dei bambini viene considerata come una risorsa. L’impegno sul fronte educativo è quello di far apprendere ai soggetti a progettare il proprio ben-essere e di conseguenza a padroneggiare tutte le circostanze della propria vita collegate sia agli stati di ben-essere e mal-essere. In quest’ottica il concetto di ben-essere si trasforma da condizione a possibilità con conseguente capovolgimento di atteggiamento dei soggetti nei confronti della propria esistenza in termini auto formativi. Perseguire il ben-essere nella relazione educativa significa preoccuparsi che gli studenti vivano bene l’esperienza formativa nel suo complesso contribuendo alla costruzione della loro personalità, favorendo il potenziamento di interessi e attitudini… Una società come la nostra in costante mutamento costringe a dare una risposta immediata agli eventi che quotidianamente ci coinvolgono. La scuola, infatti, come afferma l'OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) deve far sì che bambini e adolescenti possano imparare aspetti critici della salute e sviluppare “life skills”, ovvero, le abilità per un comportamento adattivo e positivo che rendono gli individui capaci di affrontare efficacemente le richieste e le sfide della vita quotidiana. E' necessario dotare i ragazzi di buoni strumenti formativi, che gli permettano di orientarsi con competenza ed efficacia, intraprendendo azioni positive per proteggere se stessi e promuovere le proprie competenze a livello individuale e sociale. Si tratta di promuovere le capacità dell'individuo a far fronte alla realtà sociale e le sfide che si presentano. Per farlo ci si affida ad una metodologia attiva, centrata sul soggetto, cioè i bambini e gli adolescenti, che mira soprattutto a rafforzare la capacità di assumersi la responsabilità delle proprie azioni. Ma come insegnare tutto questo? Si tratta di costruire una conoscenza condivisa, con l'insegnante che diviene facilitatore dell'apprendimento, favorendo un coinvolgimento diretto dei ragazzi, valorizzando le loro esperienze e pensieri nel loro contesto. Su questa strada si muovono le life skills ossia l'insieme di abilità personali e relazionali che servono per governare i rapporti con il resto del mondo e per affrontare positivamente la vita quotidiana, "competenze sociali e relazionali che permettono ai ragazzi di affrontare in modo efficace le esigenze della vita quotidiana, rapportandosi con fiducia a se stessi, agli altri e alla comunità", abilità e competenze "che è necessario apprendere per mettersi in relazione con gli altri e per affrontare i problemi, le pressioni e gli stress della vita quotidiana. La mancanza di tali skills socio-emotive può causare, in particolare nei giovani, l'instaurarsi di comportamenti negativi e a rischio in risposta agli stress".
    Il "nucleo fondamentale" di life skill è costituito da:
    01. Capacità di leggere dentro se stessi (Autocoscienza);
    02. Capacità di riconoscere le proprie emozioni e quelle degli altri (Gestione delle emozioni);
    03. Capacità di governare le tensioni (Gestione dello stress);
    04. Capacità di analizzare e valutare le situazioni (Senso critico);
    05 Capacità di prendere decisioni (Decision making);
    06 Capacità di risolvere problemi (Problem solving);
    07 Capacità di affontare in modo flessibile ogni genere di situazione (Creatività);
    08 Capacità di esprimersi (Comunicazione efficace);
    09 Capacità di comprendere gli altri (Empatia);
    10 Capacità di interagire e relazionarsi con gli altri in modo positivo (Skill per le relazioni interpersonali).
    L’acquisizione di tali abilità è basata sull’apprendimento attraverso la partecipazione attiva. Le azioni di life skills sono sia attive che esperenziali. L’apprendimento attivo impegna l’insegnante e lo studente in un processo dinamico di apprendimento usando metodi come il brainstorming, la discussione di gruppo e il dibattito. L’apprendimento esperienziale è basato sulla pratica attuale di quello che viene insegnato, per esempio attraverso l’uso dei giochi di ruolo. Tutti gli insegnanti dovrebbero essere in grado di sviluppare queste abilità creando esplicite opportunità, all’interno delle attività quotidiane della classe, per praticare e riflettere su esse considerate come parte integrante del processo di insegnamento-apprendimento.


    Lavoro ben fatto,
    le richieste dell'esercizio sono state esaurite e
    la sintesi è coerente e significativa.
    Emergono però poco le considerazioni critiche del gruppo.
    la docente

    PS: Aggiungiamo le considerazioni del gruppo
    Noi del gruppo riflettendo sulla tematica prescelta, abbiamo compreso che l'insegnante svolge un ruolo chiave nel processo di acquisizione delle abilità di vita che consentono di assolvere mansioni e compiti che si presentano quotidianamente. La quantità di informazioni che la società attuale, dinamica nella sua identità, offre ai suoi fruitori, rende necessaria una selezione delle stesse, a tal fine è opportuno che l'individuo sappia operare scelte efficaci. In questa prospettiva il docente deve essere facilitatore di questi meccanismi partendo dall'esperienza perché come scrive l'educatore Fabio Tesser "educare al ben-essere è rendere presente quello che c'è e permettere alle persone di riconoscerlo".
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    Messaggio  NatalinaReccia Lun Gen 30, 2012 4:32 pm

    NatalinaReccia ha scritto:Gruppo: Iovine Concetta- Petrillo Giuseppina- Reccia Natalina- Schiavone Elisabetta

    EDUCARSI AL BEN-ESSERE


    È risaputo che alla base della politica e della pratica dell’educazione inclusiva ci sia il benessere comune di tutti i bambini ed in questa prospettiva si basa una visione positiva della differenza in cui la diversità dei bambini viene considerata come una risorsa. L’impegno sul fronte educativo è quello di far apprendere ai soggetti a progettare il proprio ben-essere e di conseguenza a padroneggiare tutte le circostanze della propria vita collegate sia agli stati di ben-essere e mal-essere. In quest’ottica il concetto di ben-essere si trasforma da condizione a possibilità con conseguente capovolgimento di atteggiamento dei soggetti nei confronti della propria esistenza in termini auto formativi. Perseguire il ben-essere nella relazione educativa significa preoccuparsi che gli studenti vivano bene l’esperienza formativa nel suo complesso contribuendo alla costruzione della loro personalità, favorendo il potenziamento di interessi e attitudini… Una società come la nostra in costante mutamento costringe a dare una risposta immediata agli eventi che quotidianamente ci coinvolgono. La scuola, infatti, come afferma l'OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) deve far sì che bambini e adolescenti possano imparare aspetti critici della salute e sviluppare “life skills”, ovvero, le abilità per un comportamento adattivo e positivo che rendono gli individui capaci di affrontare efficacemente le richieste e le sfide della vita quotidiana. E' necessario dotare i ragazzi di buoni strumenti formativi, che gli permettano di orientarsi con competenza ed efficacia, intraprendendo azioni positive per proteggere se stessi e promuovere le proprie competenze a livello individuale e sociale. Si tratta di promuovere le capacità dell'individuo a far fronte alla realtà sociale e le sfide che si presentano. Per farlo ci si affida ad una metodologia attiva, centrata sul soggetto, cioè i bambini e gli adolescenti, che mira soprattutto a rafforzare la capacità di assumersi la responsabilità delle proprie azioni. Ma come insegnare tutto questo? Si tratta di costruire una conoscenza condivisa, con l'insegnante che diviene facilitatore dell'apprendimento, favorendo un coinvolgimento diretto dei ragazzi, valorizzando le loro esperienze e pensieri nel loro contesto. Su questa strada si muovono le life skills ossia l'insieme di abilità personali e relazionali che servono per governare i rapporti con il resto del mondo e per affrontare positivamente la vita quotidiana, "competenze sociali e relazionali che permettono ai ragazzi di affrontare in modo efficace le esigenze della vita quotidiana, rapportandosi con fiducia a se stessi, agli altri e alla comunità", abilità e competenze "che è necessario apprendere per mettersi in relazione con gli altri e per affrontare i problemi, le pressioni e gli stress della vita quotidiana. La mancanza di tali skills socio-emotive può causare, in particolare nei giovani, l'instaurarsi di comportamenti negativi e a rischio in risposta agli stress".
    Il "nucleo fondamentale" di life skill è costituito da:
    01. Capacità di leggere dentro se stessi (Autocoscienza);
    02. Capacità di riconoscere le proprie emozioni e quelle degli altri (Gestione delle emozioni);
    03. Capacità di governare le tensioni (Gestione dello stress);
    04. Capacità di analizzare e valutare le situazioni (Senso critico);
    05 Capacità di prendere decisioni (Decision making);
    06 Capacità di risolvere problemi (Problem solving);
    07 Capacità di affontare in modo flessibile ogni genere di situazione (Creatività);
    08 Capacità di esprimersi (Comunicazione efficace);
    09 Capacità di comprendere gli altri (Empatia);
    10 Capacità di interagire e relazionarsi con gli altri in modo positivo (Skill per le relazioni interpersonali).
    L’acquisizione di tali abilità è basata sull’apprendimento attraverso la partecipazione attiva. Le azioni di life skills sono sia attive che esperenziali. L’apprendimento attivo impegna l’insegnante e lo studente in un processo dinamico di apprendimento usando metodi come il brainstorming, la discussione di gruppo e il dibattito. L’apprendimento esperienziale è basato sulla pratica attuale di quello che viene insegnato, per esempio attraverso l’uso dei giochi di ruolo. Tutti gli insegnanti dovrebbero essere in grado di sviluppare queste abilità creando esplicite opportunità, all’interno delle attività quotidiane della classe, per praticare e riflettere su esse considerate come parte integrante del processo di insegnamento-apprendimento.

    Lavoro ben fatto,
    le richieste dell'esercizio sono state esaurite e
    la sintesi è coerente e significativa.
    Emergono però poco le considerazioni critiche del gruppo.
    la docente


    PS: Aggiungiamo le considerazioni del gruppo
    Noi del gruppo riflettendo sulla tematica prescelta, abbiamo compreso che l'insegnante svolge un ruolo chiave nel processo di acquisizione delle abilità di vita che consentono di assolvere mansioni e compiti che si presentano quotidianamente. La quantità di informazioni che la società attuale, dinamica nella sua identità, offre ai suoi fruitori, rende necessaria una selezione delle stesse, a tal fine è opportuno che l'individuo sappia operare scelte efficaci. In questa prospettiva il docente deve essere facilitatore di questi meccanismi partendo dall'esperienza perché come scrive l'educatore Fabio Tesser "educare al ben-essere è rendere presente quello che c'è e permettere alle persone di riconoscerlo".
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    Messaggio  giuseppinapetrillo Lun Gen 30, 2012 4:34 pm

    giuseppinapetrillo ha scritto:Gruppo: Iovine Concetta- Petrillo Giuseppina- Reccia Natalina- Schiavone Elisabetta

    EDUCARSI AL BEN-ESSERE


    È risaputo che alla base della politica e della pratica dell’educazione inclusiva ci sia il benessere comune di tutti i bambini ed in questa prospettiva si basa una visione positiva della differenza in cui la diversità dei bambini viene considerata come una risorsa. L’impegno sul fronte educativo è quello di far apprendere ai soggetti a progettare il proprio ben-essere e di conseguenza a padroneggiare tutte le circostanze della propria vita collegate sia agli stati di ben-essere e mal-essere. In quest’ottica il concetto di ben-essere si trasforma da condizione a possibilità con conseguente capovolgimento di atteggiamento dei soggetti nei confronti della propria esistenza in termini auto formativi. Perseguire il ben-essere nella relazione educativa significa preoccuparsi che gli studenti vivano bene l’esperienza formativa nel suo complesso contribuendo alla costruzione della loro personalità, favorendo il potenziamento di interessi e attitudini… Una società come la nostra in costante mutamento costringe a dare una risposta immediata agli eventi che quotidianamente ci coinvolgono. La scuola, infatti, come afferma l'OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) deve far sì che bambini e adolescenti possano imparare aspetti critici della salute e sviluppare “life skills”, ovvero, le abilità per un comportamento adattivo e positivo che rendono gli individui capaci di affrontare efficacemente le richieste e le sfide della vita quotidiana. E' necessario dotare i ragazzi di buoni strumenti formativi, che gli permettano di orientarsi con competenza ed efficacia, intraprendendo azioni positive per proteggere se stessi e promuovere le proprie competenze a livello individuale e sociale. Si tratta di promuovere le capacità dell'individuo a far fronte alla realtà sociale e le sfide che si presentano. Per farlo ci si affida ad una metodologia attiva, centrata sul soggetto, cioè i bambini e gli adolescenti, che mira soprattutto a rafforzare la capacità di assumersi la responsabilità delle proprie azioni. Ma come insegnare tutto questo? Si tratta di costruire una conoscenza condivisa, con l'insegnante che diviene facilitatore dell'apprendimento, favorendo un coinvolgimento diretto dei ragazzi, valorizzando le loro esperienze e pensieri nel loro contesto. Su questa strada si muovono le life skills ossia l'insieme di abilità personali e relazionali che servono per governare i rapporti con il resto del mondo e per affrontare positivamente la vita quotidiana, "competenze sociali e relazionali che permettono ai ragazzi di affrontare in modo efficace le esigenze della vita quotidiana, rapportandosi con fiducia a se stessi, agli altri e alla comunità", abilità e competenze "che è necessario apprendere per mettersi in relazione con gli altri e per affrontare i problemi, le pressioni e gli stress della vita quotidiana. La mancanza di tali skills socio-emotive può causare, in particolare nei giovani, l'instaurarsi di comportamenti negativi e a rischio in risposta agli stress".
    Il "nucleo fondamentale" di life skill è costituito da:
    01. Capacità di leggere dentro se stessi (Autocoscienza);
    02. Capacità di riconoscere le proprie emozioni e quelle degli altri (Gestione delle emozioni);
    03. Capacità di governare le tensioni (Gestione dello stress);
    04. Capacità di analizzare e valutare le situazioni (Senso critico);
    05 Capacità di prendere decisioni (Decision making);
    06 Capacità di risolvere problemi (Problem solving);
    07 Capacità di affontare in modo flessibile ogni genere di situazione (Creatività);
    08 Capacità di esprimersi (Comunicazione efficace);
    09 Capacità di comprendere gli altri (Empatia);
    10 Capacità di interagire e relazionarsi con gli altri in modo positivo (Skill per le relazioni interpersonali).
    L’acquisizione di tali abilità è basata sull’apprendimento attraverso la partecipazione attiva. Le azioni di life skills sono sia attive che esperenziali. L’apprendimento attivo impegna l’insegnante e lo studente in un processo dinamico di apprendimento usando metodi come il brainstorming, la discussione di gruppo e il dibattito. L’apprendimento esperienziale è basato sulla pratica attuale di quello che viene insegnato, per esempio attraverso l’uso dei giochi di ruolo. Tutti gli insegnanti dovrebbero essere in grado di sviluppare queste abilità creando esplicite opportunità, all’interno delle attività quotidiane della classe, per praticare e riflettere su esse considerate come parte integrante del processo di insegnamento-apprendimento.

    Lavoro ben fatto,
    le richieste dell'esercizio sono state esaurite e
    la sintesi è coerente e significativa.
    Emergono però poco le considerazioni critiche del gruppo.
    la docente


    PS: Aggiungiamo le considerazioni del gruppo
    Noi del gruppo riflettendo sulla tematica prescelta, abbiamo compreso che l'insegnante svolge un ruolo chiave nel processo di acquisizione delle abilità di vita che consentono di assolvere mansioni e compiti che si presentano quotidianamente. La quantità di informazioni che la società attuale, dinamica nella sua identità, offre ai suoi fruitori, rende necessaria una selezione delle stesse, a tal fine è opportuno che l'individuo sappia operare scelte efficaci. In questa prospettiva il docente deve essere facilitatore di questi meccanismi partendo dall'esperienza perché come scrive l'educatore Fabio Tesser "educare al ben-essere è rendere presente quello che c'è e permettere alle persone di riconoscerlo".
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    Messaggio  iovineconcetta Lun Gen 30, 2012 4:35 pm

    iovineconcetta ha scritto:Gruppo: Iovine Concetta- Petrillo Giuseppina- Reccia Natalina- Schiavone Elisabetta

    EDUCARSI AL BEN-ESSERE


    È risaputo che alla base della politica e della pratica dell’educazione inclusiva ci sia il benessere comune di tutti i bambini ed in questa prospettiva si basa una visione positiva della differenza in cui la diversità dei bambini viene considerata come una risorsa. L’impegno sul fronte educativo è quello di far apprendere ai soggetti a progettare il proprio ben-essere e di conseguenza a padroneggiare tutte le circostanze della propria vita collegate sia agli stati di ben-essere e mal-essere. In quest’ottica il concetto di ben-essere si trasforma da condizione a possibilità con conseguente capovolgimento di atteggiamento dei soggetti nei confronti della propria esistenza in termini auto formativi. Perseguire il ben-essere nella relazione educativa significa preoccuparsi che gli studenti vivano bene l’esperienza formativa nel suo complesso contribuendo alla costruzione della loro personalità, favorendo il potenziamento di interessi e attitudini… Una società come la nostra in costante mutamento costringe a dare una risposta immediata agli eventi che quotidianamente ci coinvolgono. La scuola, infatti, come afferma l'OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) deve far sì che bambini e adolescenti possano imparare aspetti critici della salute e sviluppare “life skills”, ovvero, le abilità per un comportamento adattivo e positivo che rendono gli individui capaci di affrontare efficacemente le richieste e le sfide della vita quotidiana. E' necessario dotare i ragazzi di buoni strumenti formativi, che gli permettano di orientarsi con competenza ed efficacia, intraprendendo azioni positive per proteggere se stessi e promuovere le proprie competenze a livello individuale e sociale. Si tratta di promuovere le capacità dell'individuo a far fronte alla realtà sociale e le sfide che si presentano. Per farlo ci si affida ad una metodologia attiva, centrata sul soggetto, cioè i bambini e gli adolescenti, che mira soprattutto a rafforzare la capacità di assumersi la responsabilità delle proprie azioni. Ma come insegnare tutto questo? Si tratta di costruire una conoscenza condivisa, con l'insegnante che diviene facilitatore dell'apprendimento, favorendo un coinvolgimento diretto dei ragazzi, valorizzando le loro esperienze e pensieri nel loro contesto. Su questa strada si muovono le life skills ossia l'insieme di abilità personali e relazionali che servono per governare i rapporti con il resto del mondo e per affrontare positivamente la vita quotidiana, "competenze sociali e relazionali che permettono ai ragazzi di affrontare in modo efficace le esigenze della vita quotidiana, rapportandosi con fiducia a se stessi, agli altri e alla comunità", abilità e competenze "che è necessario apprendere per mettersi in relazione con gli altri e per affrontare i problemi, le pressioni e gli stress della vita quotidiana. La mancanza di tali skills socio-emotive può causare, in particolare nei giovani, l'instaurarsi di comportamenti negativi e a rischio in risposta agli stress".
    Il "nucleo fondamentale" di life skill è costituito da:
    01. Capacità di leggere dentro se stessi (Autocoscienza);
    02. Capacità di riconoscere le proprie emozioni e quelle degli altri (Gestione delle emozioni);
    03. Capacità di governare le tensioni (Gestione dello stress);
    04. Capacità di analizzare e valutare le situazioni (Senso critico);
    05 Capacità di prendere decisioni (Decision making);
    06 Capacità di risolvere problemi (Problem solving);
    07 Capacità di affontare in modo flessibile ogni genere di situazione (Creatività);
    08 Capacità di esprimersi (Comunicazione efficace);
    09 Capacità di comprendere gli altri (Empatia);
    10 Capacità di interagire e relazionarsi con gli altri in modo positivo (Skill per le relazioni interpersonali).
    L’acquisizione di tali abilità è basata sull’apprendimento attraverso la partecipazione attiva. Le azioni di life skills sono sia attive che esperenziali. L’apprendimento attivo impegna l’insegnante e lo studente in un processo dinamico di apprendimento usando metodi come il brainstorming, la discussione di gruppo e il dibattito. L’apprendimento esperienziale è basato sulla pratica attuale di quello che viene insegnato, per esempio attraverso l’uso dei giochi di ruolo. Tutti gli insegnanti dovrebbero essere in grado di sviluppare queste abilità creando esplicite opportunità, all’interno delle attività quotidiane della classe, per praticare e riflettere su esse considerate come parte integrante del processo di insegnamento-apprendimento.

    Lavoro ben fatto,
    le richieste dell'esercizio sono state esaurite e
    la sintesi è coerente e significativa.
    Emergono però poco le considerazioni critiche del gruppo.
    la docente


    PS: Aggiungiamo le considerazioni del gruppo
    Noi del gruppo riflettendo sulla tematica prescelta, abbiamo compreso che l'insegnante svolge un ruolo chiave nel processo di acquisizione delle abilità di vita che consentono di assolvere mansioni e compiti che si presentano quotidianamente. La quantità di informazioni che la società attuale, dinamica nella sua identità, offre ai suoi fruitori, rende necessaria una selezione delle stesse, a tal fine è opportuno che l'individuo sappia operare scelte efficaci. In questa prospettiva il docente deve essere facilitatore di questi meccanismi partendo dall'esperienza perché come scrive l'educatore Fabio Tesser "educare al ben-essere è rendere presente quello che c'è e permettere alle persone di riconoscerlo".
    Laura Marzocco
    Laura Marzocco


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    ES. 2 - BEN-ESSERE DISABILI (chiude 3 febbraio) - Pagina 10 Empty Re: ES. 2 - BEN-ESSERE DISABILI (chiude 3 febbraio)

    Messaggio  Laura Marzocco Lun Gen 30, 2012 5:02 pm

    mi prenoto cap 6 verso un'educazione inclusiva

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