Il gruppo è composto da Maria Guerra e Federica Tortorelli.
Il testo scelto è: "Ben-essere disabili" Capitolo 1 "Ben-essere nella disabilità".
Sin dall’antichità il termine “normalità” ha coinciso con un modello di persona conforme alle richieste della società e ogni menomazione fisica diventava causa di omologazione negativa di una persona.
A Sparta, i bambini deformi venivano lanciati dal monte Taigeto. Con il cristianesimo, a Roma, i neonati minorati venivano esposti fuori dalle mura della città e venivano affidati alla pietà dei passanti. Nel 16° e 17° secolo, questi bambini venivano emarginati dalla società. Venne coniato il termine “cretino” per definire “povero Cristo” chi aveva il gozzo. Seguì il termine “idiota” , “subnormale”, “disabile” e più di recente, con la legge 517/77, “handicappato”.
All’inizio del 1800, molti bambini e adulti con disabilità venivano assistiti nelle istituzioni con finalità caritatevoli. In parte queste istituzioni sono cresciute dagli sforzi di Edouard Seguin, un medico francese che guidò la prima scuola per bambini disabili. Seguin promosse la visione che i bambini con disabilità potessero essere appropriamente educati e, quindi, assumere il loro giusto ruolo nella società. Il modello formativo di scuola promosso da Seguin si diffuse rapidamente, ma nel corso del tempo queste scuole cambiarono drasticamente il loro obiettivo. Gli studenti non venivano curati e le scuole divennero meno educative e più affidatarie. Invece di favorire il ritorno di persone nella società, le istituzioni divennero posti per tenere le persone lontane dalla società. Tale isolamento favorì la segregazione, il sovraffollamento e l’abbandono che caratterizzò molte di queste istituzioni.
Tra il 1861 e il 1928, la formazione scolastica degli handicappati non era garantita dallo stato, ma era affidata a organizzazioni private, enti e associazioni religiose. La riforma Gentile del 1923 istituisce per la prima volta nella scuola elementare le “classi differenziali” per gli alunni che presentavano “anormalità di sviluppo”. Nel 1933 nascono le “scuole speciali” per bambini affetti da malattie contagiose, anormali e minorati fisici.
Maria Montessori si interessò in maniera mirata all’educazione dei bambini portatori di handicaps.
Nel periodo fascista, la scolarizzazione dei bambini portatori di handicap fu trascurata.
Negli anni passati si è passati dalla deistituzionalizzazione all’inclusione di queste persone nella comunità, attraverso lo sviluppo di servizi di educazione speciale e supporto alle famiglie, e programmi basati sulla comunità che mirano ad incontrare i bisogni materiali degli adulti come le cure mediche, il cibo, il vestiario, il lavoro. Questi servizi hanno enfatizzato le abilità di adattamento, specialmente comportamenti che facilitano l’indipendenza, e si avvicinano al concetto di autodeterminazione, che mira a rendere in grado le persone con disabilità di compiere scelte personali per la loro vita. Ecco allora che in questa direzione si cerca di promuovere il benessere delle persone disabili e risulta strategico l’aspetto relazionale soprattutto al modo con cui si guarda alla vita e ai rapporti che si costruiscono e si coltivano. Il benessere più che una condizione stabile, rappresenta una costruzione variabile fatta di tappe intermedie e di modificazioni che mutano in rapporto ai cambiamenti dello sviluppo delle diverse fasi evolutive.
E’ importante considerare il benessere non come uno stato individuale, ma come un progetto dinamico da condividere con gli altri. A tal proposito, Aristotele, “nell’Etica Nicomachea, parla di interazione tra il ben-essere e il ben-essere collettivo, tale per cui la felicità viene individuata nell’ambito dello spazio sociale. In questo caso, viene portata in primo piano la relazione tra ben-essere del singolo e sviluppo della collettività, nella quale l’interdipendenza tra individuo e contesto culturale è un dato inequivocabile alla natura umana. La Delle Fave afferma che ciascun individuo deve essere visto come un agente attivo di cambiamento e sviluppo della comunità e questo vale per tutti i membri e soprattutto per i gruppi svantaggiati: persone con disabilità, anziani, immigrati e minoranze. Queste persone non sono di per sé svantaggiate, ma lo diventano in un ambiente in cui la loro condizione comporti conseguenze svantaggiose, a causa di qualche discrepanza rispetto alle aspettative e alle regole sociali.
Ognuno di noi nascendo ha la capacità di ben-essere. Ognuno ha un suo modo originale di vedere, ascoltare, toccare, pensare. E, quindi, ognuno ha un proprio potenziale irripetibile di possibilità e di limiti. Tutti abbiamo la possibilità per decidere di essere ciò che vogliamo attivando questo potenziale e creando un ambiente “facilitante” in cui gli attori possano essere in grado di raggiungere uno sviluppo positivo.
La qualità della vita comprende le esperienze di vita esterne e oggettive vissute dalle persone con disabilità come pure i loro livelli soggettivi di soddisfazione con quelle esperienze. L’obiettivo del Movimento della qualità della vita è l’analisi della soddisfazione interna della persona disabile, sviluppata anche grazie all’aiuto di due agenzie educative, quali la famiglia e la scuola.
La ricerca sulle famiglie ha rilevato che la figura materna è stata assimilata ad una madre che rimpiange la perdita del bambino perfetto e idealizzato, con un dolore che si riaccende ad ogni fase dello sviluppo del bambino. Alla nascita di un figlio sono connesse profonde aspettative di gratificazione personale e sociale. Quando invece del “bambino sano e bello” nasce un figlio con disabilità, il fatto si trasforma in un evento angosciante e luttuoso. Le madri passano attraverso diversi stadi: shock, disorganizzazione emotiva e poi riorganizzazione, dopo che esse si adattano al trauma di avere un bambino con disabilità. Da una ricerca condotta da Mullins su circa sessanta libri scritti da genitori di figli disabili, è emerso che la disabilità dei loro figli ha aggiunto qualcosa alle loro vite rendendole anche più ricche di significato.
In questa situazione, la famiglia tende a ridefinirsi, partendo dalle priorità quotidiane che richiedono l’assunzione di responsabilità di cura da parte dei familiari nei confronti del figlio e/o fratello disabile. In questo processo vengono coinvolti non solo i genitori ma anche fratelli e sorelle che possono vivere in modo diversificato la relazione.
L’arrivo di un figlio è un evento importantissimo: una trasformazione di vita. I partner, oltre ad essere coniugi, diventano genitori e molto spesso si sentono preoccupati e confusi, se non addirittura perduti. Un bambino disabile può capitare alla ragazzina di diciassette anni che resta incinta durante le prime inesperte esperienze amorose, così come può capitare alla coppia in carriera, che prima di avere un figlio predispone tutto, incluso villa con piscina, per il figlio, per poi sperimentare che ha rincorso delle chimere e che di tutto ciò che aveva previsto e per cui aveva lottato non serve.
I risultati di una ricerca condotta da Uppal, evidenziano che le persone disabili alla nascita dimostrano di essere più felici rispetto alle persone che sono diventate disabili nel corso degli anni. Una significativa testimonianza ci è stata data dal professor Palladino, il quale pur perdendo la vista all’età di tredici anni, ha avuto la forza di riorganizzare la sua vita e di viverla con grande felicità. Moltissime sono le parole del professor Palladino che ci hanno colpito: “Mi sento ricco e non posso che augurare a voi tutti questa mia felicità”.
Infondo, che cos’è la felicità?
Il concetto di felicità compare in ogni cultura. Molte lingue distinguono tra qualcosa di immediato (gioia o piacere) e qualcosa di più durevole e significativo (soddisfazione e appagamento).
Molti usi del termine felicità possono essere classificati in tre livelli:
- Primo Livello, dove il senso più immediato e diretto di felicità implica un’emozione o una sensazione, qualcosa come gioia o piacere transitorio;
- Secondo Livello, quando le persone affermano di essere felici della loro vita è perché, facendo un bilancio tra dolori e piaceri, hanno sperimentato più piaceri ed emozioni positive;
- Terzo Livello, nel quale la persona realizza le proprie vere potenzialità con l‘obiettivo del vivere bene.
La felicità, da un punto di vista edonistico, riguarda la massimizzazione dei piaceri e la minimizzazione del dolore, mentre, da un punto di vista eudaimonico, questa riguarda il perseguimento del proprio vero sé.
La seconda agenzia educativa incontrata dal bambino disabile è la scuola.
Le persone disabili sono l’esempio più evidente di quelle forme di esclusione e abbandono scolastico e lavorativo. Per progettare misure di supporto autenticamente emancipative e non rischiare di arrestare la crescita del soggetto in forme di dipendenza e assistenzialismo, il sostegno deve porsi come “un’impalcatura” di supporto alla realizzazione di compiti e di attività. Così come in un’opera edilizia, l’impalcatura serve a sorreggere gli operai mentre realizzano lavori di costruzione, allo stesso modo il sostegno, come modalità di accompagnamento alla crescita, dovrebbe sostenere in modo progressivo il soggetto e prevedere forme sempre più autonome di assistenza a mano a mano che il percorso verso l’autonomia avanza. Il ruolo degli insegnanti nell’educazione di tutti i bambini, quindi, è fondamentale. L’obiettivo prioritario nel campo dell’educazione è quello di favorire l’adozione di un atteggiamento positivo nei confronti delle esperienze di vita per essere in grado di gestire le proprie scelte e di adottare comportamenti consapevoli nella direzione della propria felicità.
Il compito dell’inclusione è quello di favorire una migliore e piena integrazione della persona nel contesto sociale ed economico non solo attraverso l’offerta dei servizi e di assistenza, ma anche di opportunità per tutti i cittadini di sostenere lo sviluppo attraverso la partecipazione attiva.
L’Anno Europeo per l’inclusione sociale rappresenta la naturale continuità di altre iniziative che hanno visto un impegno attivo dell’Unione per la rimozione di ostacoli e barriere sociali,. Ricordiamo come il 2007 sia stato dichiarato Anno Europeo delle pari opportunità per tutti, individuando come obiettivi primari: una maggiore e diffusa consapevolezza tra i cittadini europei del loro diritto ad un trattamento equo ed egualitario e ad una vita priva di discriminazioni; il riconoscimento del valore della diversità per la società europea. Si è inteso contrastare la discriminazione ma anche valorizzare la diversità e la pluralità di talenti promuovendo una maggiore e più diffusa consapevolezza delle risorse, dei diritti e delle possibilità di tutta la popolazione europea. Lo scopo è consentire ai disabili di partecipare alla società, compresi i disabili gravi, prestando la debita attenzione anche alle esigenze e agli interessi dei loro familiari e accompagnatori; integrare la prospettiva della disabilità in tutti i settori per la formulazione e attuazione di politiche sociali; consentire alle persone con disabilità di partecipare pienamente alla vita sociale, eliminando ogni tipo di barriera; diffondere una cultura della disabilità e promuovere strategie basate sulle pari opportunità.
Tutto ciò affinché la diversità non si trasformi in disuguaglianza.
Lavoro esauriente e complesso
la docente